Editoriale Vol. I

Annamaria Iacuele

Átopon è un luogo di incontro, ma non è un luogo e tuttavia emergono affinità, relazioni, tendenze che si riportano a un concorso che prende significato. Rispondere alla domanda del perché questo possa accadere è umile e tenace proposito del nostro impegno in quanto riteniamo che una comunità dialogante sia strumento di espressione di un fondo inesauribile che si presenta multiforme, pur rimanendo sempre identico a se stesso. È il simbolo? Molti sono i suoi nomi.

Nel primo articolo, di Gilbert Durand, abbiamo un’evocazione della simbolica del Graal, della sua storia segreta che l’autore ritiene, in accordo con H. Corbin, possa emergere soltanto volgendo lo sguardo oltre il corso della storia essoterica collettiva.

Si cerca di giungere attraverso una fenomenologia integrale, quale quella di Eliade, Jung, Corbin, alla comprensione dell’evento policulturale del Graal, evitando pregiudizi letterari, etnologici, sociologici, psicoanalitici o storicistici. Non si cerca, dunque, di spiegare il Graal, ma di domandarsi ciò che il Graal implica nella costellazione sempre aperta delle sue apparizioni, in ognuna delle quali si coglie l’esistenziazione di una grande immagine trans o meta-storica. Per presentificare il Graal si fa ricorso alle più esaustive convergenze comparative (omologie, similitudini, analogie, ecc.), ai miti, agli archetipi, nella linea della “Poetica della Revérie” in cui le immagini rendono conto delle immagini e il senso è sempre in divenire, aperto, incompiuto, di una incompiutezza costitutiva.

L’uomo è definito nell’articolo di Julien Ries Homo religiosus, con un suo modo specifico di esistenza caratterizzato, fin dalle più arcaiche testimonianze e durante tutto il corso della storia, dall’esperienza del sacro e dal credere in una Realtà assoluta che trascende il mondo e che sola può conferire alla vita la sua dimensione di compimento. Per Ries il sacro è legato alle istituzioni religiose che ne hanno creato e ne mantengono e trasmettono il vocabolario, ne sono depositarie della memoria attraverso il mito e la storia sacra e, soprattutto, ne rendono possibile l’esperienza vissuta attraverso la simbolica ed il rituale. Grazie al mito e al rito, situati all’interno dell’universo simbolico, è possibile, pur rimanendo nella realtà del mondo, trascenderla operando il passaggio dal significante al significato, dall’immaginario all’ontologico, dal segno all’essere.

Si passa quindi, con l’articolo di Jacques Vidal, a sottolineare l’importanza dell’ermeneutica in quanto scienza del senso acquisita a partire dai suoi avvenimenti. E l’uomo è portatore del progetto dell’esistenza che si esercita liberando un senso che non cessa di accadere. La ricerca di questo senso è il senso stesso del simbolo e il compito dell’ermeneutica, scienza mercuriale e transdisciplinare.

Sulla scia di Gilbert Durand le ermeneutiche sono distinte in: ermeneutiche riduttrici che pur aprendosi ad una dimensione simbolica ne impediscono la possibilità di evocare un senso ulteriore; ermeneutiche instauratrici che favoriscono la messa in atto del simbolo senza pretendere di esaurirne il senso; ermeneutiche religiose che, partendo dalla fede e dalla religione, permettono una ulteriore possibilità di cogliere la inesauribile profondità del simbolo.

Lima de Freitas evidenzia come le scienze fisiche negli ultimi decenni, concordano con le antiche conoscenze tradizionali, abbiano suscitato radicali trasformazioni nell’idea di spazio, proprio mentre lo sviluppo della storia comparata delle religioni, dell’antropologia in generale e dell’antropologia dell’immaginario in particolare, propongono una riformulazione innovatrice dei paradigmi che governano la produzione delle immagini dell’Universo e dello Spazio. Ci troviamo dunque di nuovo a confrontarci con una concezione dello spazio qualitativa nella quale l’uomo e il suo mondo fabbricano lo spazio, lo polarizzano e lo fanno esistere, ne fanno scrigno di significati, tessuto palpitante che si esprime come enigma e decifrazione, macrocosmo omologo del microcosmo umano, egualmente soggetto alle leggi misteriose della nascita, della crescita e della morte e al destino indicibile del rinnovamento e della rinascita.

Nell’articolo di Giuseppe Lampis viene preso in esame il passaggio dal paleolitico al neolitico, interpretato come una crisi nei rapporti uomo-sacro, crisi così grave da condurre ad un decadimento di tipo antropocentrico.

Poiché i cacciatori non stanziali conoscevano gli elementi della coltivazione, l’adozione dell’agricoltura come sistema centrale non è ridotta a semplice evoluzione di varianti tecniche nella acquisizione del nutrimento. La svolta è invece attribuita a moventi più complessi e collocata nella dimensione in cui si pongono gli orientamenti nel mondo, e cioè nella dialettica dell’anima religiosa. La contiguità, l’implicazione reciproca e il passaggio tra le due epoche sono riletti alla luce della necessità di ricostruire una visione del mondo che si è incrinata e, in ultima analisi, di rielaborare il rapporto con il sacro.

L’uomo del neolitico è interpretato come figlio di una catastrofe e di una crisi verticale il cui sentimento è consegnato nel fondo delle sue nuove costruzioni mitiche. Il profondo mutamento del passaggio cosmico è introdotto dall’homo sapiens sapiens, post-neandertaliano, a cui la lunga incubazione delle culture paleolitiche è andata via via predisponendo gli elementi mitico-simbolici suscettibili di spingerlo a ricostruire il proprio orientamento.

Data la opacità documentale dello sterminato paleolitico, la ricerca retrospettiva delle sue tracce è condotta come sondaggio introspettivo delle risonanze tematiche che permangono nella nuova formazione culturale.

I grandi sommovimenti ambientali della fine dell’ultima glaciazione rovesciano la visione paleolitica del mondo (centrata sull’archetipo della identificazione animali-uomini) e sono considerati come messaggi che impongono un nuovo orientamento, cioè una nuova interpretazione della circolarità della vita (dall’assimilazione all’animale all’assimilazione alla pianta alimentare). Il problema della morte e della rinascita si associa per la prima volta all’azione umana, che ne viene caricata di risalto fondamentale e drammatico. Il movente profondo della nuova cultura è il sentimento di dover rimontare una caduta e un respingimento. Tramontato l’archetipo della solidarietà diretta con l’Universo, si fa avanti un nuovo, complesso sistema di mediazioni materiali e spirituali che dà  risalto al simbolismo antropocentrico.

Annamaria Iacuele