Ermeneutiche del simbolo (da àtopon Vol. III)

Tratto da Jacques Vidal, Profils d’identité du symbole, in  Symboles et religions (cap. IV – 3ªparte, pp. 391-403), Série Cahiers, vol. I, coll. Homo Religiosus, edito da Julien Ries, Louvain-la Neuve 1989. Si tratta delle lezioni universitarie tenute da Jacques Vidal e trascritte dagli studenti (anno acc. 1986-87).

Jacques Vidal

 

ERMENEUTICA RELIGIOSA DEL SIMBOLO (*)

Epifania di Gesù Miniatura dal Menologion di S. Basilio (fine X sec.)
Epifania di Gesù
Miniatura dal Menologion di S. Basilio (fine X sec.)

All’origine del senso spirituale del simbolo si colloca l’esperienza, assolutamente particolare, del sacro. Ogni simbolo deriva da una energia fondamentale, l’energia del sacro. In altri termini, se il simbolo ha un senso spirituale è perché esso risponde ad una qualità originaria di energia o ad una energia di una qualità originaria: il sacro.

A) Il Simbolo è manifestazione del legame tra Uomo e Sacro 

Ogni simbolo è in fondo una ierofania,
una manifestazione del legame dell’Uomo con il Sacro”
 1.

Parliamo dell’identità del simbolo proponendo una formula di Paul Ricoeur. L’affermazione è prodigiosa, e rappresenta la convinzione finale raggiunta al termine della sua ricerca intorno al simbolo. P. Ricoeur riconosce che il simbolo non può spiegarsi che attraverso lenergia della ierofania, cioè della manifestazione di un legame dell’uomo con il sacro.

È questa una delle tesi di base di Mircea Eliade che compaiono in tutte le sue opere sin dal suo primo grande libro, Trattato di storia delle religioni. In questo volume infatti il primo capitolo ha come titolo ‘Struttura e morfologia del Sacro’, e si interroga sull’energia che è possibile cogliere all’origine del simbolo, soprattutto del simbolo religioso.

Si giunge dunque alla struttura dei simboli partendo dall’energia: struttura e morfologia del sacro distribuite nello spazio (lo spazio sacro), nel tempo (tempo sacro) e attraverso tutte le realtà che possono funzionare come simboli. Ritroviamo questa affermazione di base di Mircea Eliade anche nel volume Images et Symboles. Essais sur le Symbolisme.

Possiamo dunque affermare che non può esserci ermeneutica religiosa se non si riconosce nel simbolo l’origine energetica specifica dello spirituale, cioè del sacro.

Jung mette chiaramente in atto una ermeneutica spirituale del simbolo, quindi una ermeneutica religiosa. Egli ha toccato il sacro, e ne è cosciente.

Jung ha tentato diverse definizioni del sacro, ma non ha colto con sufficiente distinzione il ruolo energetico del sacro. Il sacro è presente, ma non oggettivato, analizzato nelle sue strutture, nella sua morfologia, nel suo funzionamento energetico per una ermeneutica religiosa del simbolo, come in Mircea Eliade.

B) Il Simbolo è una funzione essenziale dello spirito 

Citerò un altro esempio: il libro di J. Juszezak, Les sources du Symbolisme.

Il simbolismo è una funzione essenziale dello spirito ed è anche la ricerca dell’essenza della poesia […].

Possiamo forse dire che il simbolo, quando sviluppa un processo di simbolizzazione, attua l’essenza della poesia e che la rappresentazione simbolica è una forma di espressione che, al di là delle manifestazioni convenzionali proprie di ogni messaggio umano, traduce ciò che è generalmente indicibile.

Offerta d'incenso Rilievo del tempio di Osiride ad Abido (Egitto)
Offerta d’incenso
Rilievo del tempio di Osiride ad Abido (Egitto)

Quando il simbolo diventa mito, cioè linguaggio, si può correre il rischio di dire ciò che rimane indicibile. Per questo la parola butor, che significa silenzio o segreto, dice cose che, pur essendo dette, continuano ad abitare un segreto e un silenzio. Ma questo indicibile è presenza vivente di un mistero concreto, come appare nei simboli religiosi. Abbiamo dunque l’evocazione di ciò che è segreto e l’ammirazione per questa sopra-realtà inafferrabile (‘realtà suprema’) che non è tanto l’essenza invisibile delle cose, quanto lo sguardo dello spirito attraverso il quale il mondo si carica di significato umano.

L’attività simbolica corrisponde al bisogno più profondo dello spirito umano, in quanto lo spirito umano è ‘in-quietudine’, mancanza di riposo e desiderio di assoluto. Ricercare le sorgenti del simbolismo significa dunque interrogarsi non soltanto sui fondamenti del sapere umano, ma anche sulla finalità di ogni attività della creazione.

C) Mircea Eliade: l’ermeneutica religiosa del simboli

Quali sono i cammini che l’esperienza del simbolo, radicata nell’esperienza del sacro, permette?

1.  Per Mircea Eliade il sacro è una struttura della coscienza e non uno stato provvisorio 

Il sacro è una modalità dell’esistenza che manifesta, a partire da ogni realtà esterna o interna, la presenza naturale di una trascendenza atta a assicurare la consistenza del reale riconducendolo al divino di cui l’uomo è portatore. Il sacro non è un’esperienza riservata alle cosiddette religioni primitive, come ha ritenuto l’Occidente alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX con Lucien Lévy-Bruhl, uno dei primi grandi etnologi e sociologi. Come se i primitivi vivessero del sacro, mentre l’uomo moderno civilizzato, avendo scoperto la scienza dell’economia, non avesse più bisogno di sacro.

Mircea Eliade ha combattuto con forza questa modalità di pensiero. Il sacro è uno dei dati della condizione umana, quale che sia la cultura alla quale si appartiene, e dunque anche una cultura che creda di aver fatto economia del sacro. Anzi, in tal caso, dovremmo attenderci, alla luce della psicologia del profondo, che il sacro rimosso, data la potenza della sua energia, ritorni in maniera violenta e distruttrice, accanendosi contro i fondamenti della cultura che lo ha respinto. Così le distruzioni e le violenze, nell’Occidente troppo secolarizzato, possono essere spiegate come un ritorno distruttore del sacro che abbiamo voluto respingere.

In secondo luogo il sacro si inscrive in tutta l’esistenza umana. Questo progetto dell’interezza dell’uomo ha una modalità sacra; in altre parole, l’esistenza stessa è sacra e portatrice di una modalità sacra.

Martin Heidegger ha approfondito la questione dei rapporti dell’essere con il Sacro e il Divino: il Dio, i mortali, la terra e il cielo, non possono essere compresi che a partire dal Sacro. Ha dunque riconosciuto questa modalità d’esistenza, inespugnabile, costitutiva del proggetto stesso dell’esistenza.

Come identificare questa struttura della coscienza o questa modalità dell’esistenza chiamata sacro? […]

Il sacro è la trascendenza naturale atta a assicurare la consistenza dell’Universo, è la realtà suprema atta a condurre l’uomo al divino.» ciò che Jung designa psicologicamente e psichicamente come un archetipo dell’inconscio collettivo, il solo che non faccia numero con gli altri: l’archetipo degli archetipi, l’archetipo del divino. […]

Cristo nella mandorla, circondato dai quattro simboli degli evangelisti St. Jacques des Guérets (Loire-et-Cher)
Cristo nella mandorla, circondato dai quattro simboli degli evangelisti
St. Jacques des Guérets (Loire-et-Cher)

2. La ierofania o manifestazione del sacro associa tre livelli di realtà 

– L’oggetto naturale (albero, animale, uomo, avvenimento).
– La realtà invisibile percepita attraverso l’oggetto naturale.
– L’oggetto mediatore stesso, rivestito di sacralità, cioè di un riflesso o di una parte della realtà trascendente invisibile.

Su questa analisi Mircea Eliade ritorna frequentemente soprattutto in Il sacro e il profano. Egli ci dice che il sacro è una struttura della coscienza e una modalità dell’esistenza e, in quanto tale, incontra oggetti e articola in un triplice modo il suo contatto con essi:

– C’è, ad esempio, l’albero, l’oggetto naturale.

– Da questalbero ascolteremo un messaggio venuto da altrove. Inizia il sacro, il mito inizia la sua opera: l’albero è in movimento verso l’alto, è dunque fecondità, afferma la sua metamorfosi verso l’alto nel fiore e nel frutto e ci dice che anche noi siamo questo slancio e questa metamorfosi verso l’alto. Ci dice che c’è una realtà dietro, nascosta, invisibile, alla quale dobbiamo offrire i nostri fiori e i nostri frutti, proprio come fa lui.

– Allo stesso modo l’albero conserva qualcosa, dei messaggi, ciò che chiamiamo sacralità.

L’albero si apre dunque ad una realtà che va al di là di se stesso, un invisibile. Lo rende presente, portatore di un messaggio diurno, il messaggio della sacralità ; sta a noi saperlo ascoltare, prenderlo in considerazione.

Uomini e donne delle culture tradizionali, sia in Africa, sia in Asia, sia in America del Sud fanno ciò spesso: hanno alberi sacri. Si tratta di una disposizione elementare che funziona nelle culture tradizionali a dominanza simbolica: ciò favorisce l’esercizio del sacro e del simbolo. La cultura dell’Occidente, essendo a dominanza razionale, respinge queste modalità e allo stesso modo rende più difficile la spontaneità del simbolo.

3.  Il sacro ierofanico resta legato all’esercizio della ‘dicotomia’ sacro-profano

Si tratta di un antagonismo irriducibile, conflitto di due imperialismi, necessario all’equilibrio dell’uomo, al centro di se stesso e del suo ambiente. Una delle ricchezze dell’ermeneutica religiosa di Mircea Eliade è d’aver percepito che il profano è indispensabile al sacro, come il sacro è indispensabile al profano. Sono le due gambe necessarie a camminare. Non c‘è un vero cammino, cioè sacro-ierofanico ­ il sacro che si manifesta ­ se il sacro non è legato al profano. I due debbono rimanere associati, sapendo che l’uno e l’altro sono portatori di un progetto imperialistico: il sacro vorrebbe che tutto fosse sacro, il profano che tutto fosse profano.

Ma la storia dell’uomo vuole che ci sia equilibrio tra sacro e profano. Qui si articolano le metamorfosi, con le loro qualità ontologiche o metafisiche e teologiche. Sacro e profano sono in una dimensione conflittuale e l’energia del sacro, di cui abbiamo parlato, si esplica in questo conflitto, cioè nella tensione con il profano. Non c’è energia senza conflitto, senza tensione tra sacro e profano. Bisogna comprendere il significato della natura del conflitto perché possa essere percepita l’originalità della natura dell’energia stessa.

L’uomo sta tra sacro e profano. Se si dichiara interamente sacro si entra in una forma di imperialismo di cui la storia degli uomini e in particolare la storia delle religioni ci rivela tristi esempi. Non c’è nulla di più pericoloso che sacralizzare tutto, ridurre tutto all’esperienza del sacro. D’altra parte se si afferma totalmente il profano, fino in fondo, ed è questo il caso dell’Occidente contemporaneo, volendo escludere il sacro attraverso un cammino che si è chiamato prima secolarizzazione, poi secolarismo, abbiamo un’altra forma di totalitarismo. E il sacro tornerà in maniera distruttrice, proprio come il profano ritornerà in maniera distruttrice là dove il sacro pretende di imporsi totalmente.

[…] Dunque ci viene detto che possiamo vivere il sacro solo se situato in rapporto al profano, cioè nell’uomo che appunto sta tra sacro e profano. All’uomo è rimesso questo dono. Egli è al centro dell’Universo, nella misura in cui si colloca al centro del conflitto sacro-profano.

Dobbiamo prendere sulle nostre spalle il conflitto più violento dello stato di cose del mondo: il conflitto sacro-profano. Dobbiamo collocarci al centro per gestirlo, senza dare ragione a un termine piuttosto che a un altro. Si tratta di arrivare ad altro, ad un terzo stato, ad una trascendenza che il sacro porta e che il profano richiama. Il profano ci ricorda di non dimenticare le cose che sono in basso, l’ordinario, il quotidiano, il banale. L’energia del sacro, se ci fosse soltanto il sacro, ci farebbe entrare in un movimento ascensionale, come un fuso, e questa verticalità esaurirebbe l’energia. Il movimento del sacro deve dunque comporsi con quello del profano che è soprattutto un movimento verso il basso.

è importante, senza salire direttamente in alto, né scendere totalmente in basso, trovare un cammino di centralità attraverso il quale potrà avvenire il rinnovamento del mondo, attraverso il rinnovamento dell’uomo. Il sacro stesso si trasformerà durante questo cammino.

4.  La ‘mutevole morfologia’ della ierofania in cerca di riconciliazione tra sacro e profano poggia su una dialettica riconducibile a quattro fasi

a) La separazione, una rottura del livello ontologico, rottura di omogeneità. Quando il sacro è riconosciuto, comincia con il separare e spezza l’omogeneità, apre il tetto della casa.

b) L’elezione, cioè l’uomo è scelto come centro del mondo tra sacro e profano. è eletto. Questa elezione si concretizza, si pone al centro del conflitto; suppone che l’uomo si separi dallo stato attuale del mondo per divenire centro del mondo e al tempo stesso asse del mondo. Non si tratta di un centro statico, ma di un centro per un cammino che è un asse, l’asse generatore del nuovo mondo, della realtà suprema, della trascendenza che prepara il Sacro nell’uomo.

c) La cratofania è un termine creato da Eliade; vuole dire la manifestazione di una forza, una forza differente, una forza nuova. Colui che risolve il conflitto del sacro e del profano collocandosi al centro, sapendosi scelto per un asse e un cammino, si scopre portatore di una forza nuova, esplosiva. Rudolf Otto l’aveva vista, ma si era limitato a ciò, quando ci parlava del ‘mysterium tremendum’. è la forza cratofanica che esplode con proiezioni ambivalenti, buone e cattive, benefiche e malefiche, spesso impegnate nella magia o nei comportamenti magico-religiosi.

d) La teofania: in questa nuova forza, alcune figure divine, alcuni messaggi divini, soprattutto attraverso la Chiesa, cominciano a manifestare il divino. Allora il sacro comincia a divenire religione.

Jacques Vidal

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NOTE:

*Riduzione e traduzione dal francese a cura di A. Iacuele

1) Paul Ricoeur, Finitude et Culpabilité, Aubier-Montaigne, Paris, p.331


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