Che succede alla politica nell’età dello sbandamento?

Giuseppe Lampis

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La città si è disfatta

Per anni abbiamo respirato un’aria di caldo disfacimento sentendo che offriva quiete e blanda accoglienza. Troppo tardi! Troppo tardi abbiamo scoperto il suo volto di pericolo e che non era nemmeno disfacimento ma l’azione violenta di un dio barbaro che stava ricreando il mondo.

Uno spirito negativo e distruttivo si è impossessato delle cose belle e giuste che erano state fatte e le ha stravolte immettendole in una corrente inversa e nera. Dalla grande letteratura alla medicina, dall’architettura alla politica.

La politica? Il massimo della politica è mettere in ordine e abbellire dove l’uomo esiste e abita la terra, e invece ora le città sono sotto l’assedio del brutto, stravolte e lordate, da Napoli a Venezia a Roma a Parigi, ogni città che incantò è divenuta un luogo da cui saltare a lato…

I popoli lo sentono, oggi sarebbero assolutamente inconcepibili canzoni innalzate alla propria città, irritanti riuscirebbero un Montand con Á Paris e una Magnani con Quanto sei bella Roma! L’ultima 35 anni fa su Roma fu un lamento della band Matia Bazar intenzionalmente patetico e rétro: «prigione tu … non sai che pena mi fai». Un segno dei tempi.

Non bisogna fare o dire niente che abbia sangue, non bisogna alimentare quel demonio negativo.

Solo un dio ci salverà o, come dicono i napoletani, ci salverà « ‘a Maronn’ »!

 

2
Alla base del dominio della Tecnica

Ho letto che Severino, coccolato scrittore di settimanali progressisti (sì, proprio lui che ce l’ha col progresso), di recente va attaccando la Tecnica in termini meno contorti del solito.

Questo l’argomentum: la Tecnica è basata sulla scienza e la scienza deve essere basata sulla verità, ma lo straordinario sviluppo del potere della Tecnica è basato sull’accantonamento della verità, ergo potrebbe arrivare il momento della caduta della Tecnica perché poggia su un errore di base.

L’errore di base sta nel credere che sia possibile « creare » e « distruggere », vale a dire sta nel presupporre che possa esistere il « non essere », e lo si presuppone pensando che si possa uscire dal non essere o entrarvi (infatti, si crea dal nulla e si distrugge annullando).

Dal saggio con cui nel 1964 abiurò il cattolicesimo neotomista della sua Università di lancio e « ritornò » a Parmenide, per Severino c’è unicamente l’essere; di modo che il cambiamento è folle e impossibile (consistendo nel passaggio da essere a non essere o viceversa).

Fino a qui nulla di nuovo, c’è tuttavia un’esplicitazione che emerge, sia pure nel linguaggio delle dispute scolastiche in cui lo avvolge; eccola:

che è l’uomo in quanto tale a essere in radice « volontà (di fare) », e quindi a essere Tecnica, e quindi volontà (folle) di fare il non essere…

Sicché, sotto sotto, dice che la sconfitta della Tecnica deve essere la sconfitta dell’uomo.

 

3
Rivolta o accelerazione?

Osservo che non è una gran trovata e, soprattutto, che non risolve alcunché.

Severino parla dell’uomo generico che in un certo senso è un non–uomo, uno che ha abdicato a sé stesso. Questo non–uomo è da tempo uno sconfitto, passato al nemico. Esiste un altro tipo di combattente che potrà e dovrà spingerlo via e restaurare l’uomo autentico?

Il punto dolente sta proprio nel fatto che è l’uomo generico e banale a essere votato a fungere da misero strumento della sua stessa presunzione e a divenire servo del demonio nella maniera di Faust con Mefistofele; servo, fuor di metafora, del complesso tecnico–scientifico–industriale e della menzogna.

La rivolta può venire esclusivamente dall’uomo integrato che si riappropri del destino e del ruolo della Tecnica: la Tecnica è un’arma e per poterla dominare ci vuole l’uomo alto e integrato che abbia il sapere dei forgiatori di armi.

Ciò si verificherà al collasso del sistema in atto, sistema che è una trappola in cui il Signore della Verità ha spinto il Signore della Menzogna.

Al momento, non resta che prepararsi al gran finale e lasciar correre verso la catastrofe i folli demoniaci neri e, se possibile, spingerli e accelerare la corsa fatale. La storia non può essere fermata o invertita, meglio accelerare le cose.

 

4
L’uomo della Tecnica

L’intera partita dipende dalla consapevolezza che la Tecnica ha per natura di essere un’arma. Lo è perché è uno strumento che utilizza le forze naturali per dare potere e signoria. Dall’essere un’arma derivano conseguenze rigorose: le armi sono proprie dell’uomo libero e signore di sé. In antico, libero era colui che aveva titolo a portarle e che sapeva usarle e dominarle secondo misura, gli altri erano servi.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Il giovane Hegel ha spiegato che la manipolazione della materia, comportando il passaggio dall’essere al nulla, può venire esercitata soltanto sotto la direzione dell’uomo che ha affrontato e superato il nulla.

Il discorso sta in un libro sulle « figure » strutturali del cammino della storia. Le figure sono tappe inaggirabili della maturazione della verità. Primaria fra esse è l’esito del duello per la vita: tale duello approda al rapporto–tipo della dominazione, alla « figura » signore–servo. Uno dei due sfidanti, terrorizzato dalla possibilità di morire, pur di essere salvato–servato si arrende a colui che non ha paura del baratro del nulla e, da salvato–servato, accetta di lavorare la materia in sua vece per lui. Dato che il lavoro implica la pericolosa manipolazione del non essere, deve venire esercitato esclusivamente da un uomo–servo sotto la direzione dell’uomo–signore. Questo l’assunto.

Successivamente il servo diventerà consapevole del potere che ha e tenterà il rovesciamento della propria condizione. E avrà bisogno di un altro servo…

Il contrasto ha incendiato un’intera epoca politica. In verità, non è stata abolita l’idea centrale che il lavoro comporti in sé necessariamente un rapporto di dominazione (privata o pubblica, nascosta o esplicita, locale o internazionale, la sostanza non cambia). Del resto, le bandiere del « tutto il potere ai lavoratori » e delle « autogestioni » dal basso si sono afflosciate tragicamente o meno e i periodici ritorni pararomantici si sono rivelati effimeri ritorni di un’eterna illusione.

 

5
Il ribaltamento

A ogni modo – riprendiamo il tema principale –, la storia non può essere fermata o invertita, meglio accelerare le cose.

A tale scopo, non bisogna alimentare le forze nere, non bisogna offrire loro alcuna creazione ispirata al vero; sotto la corrente distorta dominante in atto ogni cosa positiva sarebbe mutata di segno e lungi dall’ostacolarle darebbe loro altra forza. Bisogna tenerle lontane e difendere la verità con ostinata gelosia.

In questo quadro, non esiste spazio per un’azione politica di inversione del nichilismo, non esiste spazio per nessun contro–nichilismo pratico, e addirittura per nessuna autentica politica tout court, perché manca il presupposto.

Le poleis sono esplose, corrose da un’interna degenerazione, non offrono punto al­cuno d’appoggio ad alcuna leva. La gerarchia delle classi è stata ribaltata, chi doveva eseguire si è impancato al comando e le classi atte a dirigere, per competenza e natura, sono state scientificamente disperse e perseguitate quando hanno osato dei contromovimenti.

Non solo, un eguale procedimento di sostituzione invidiosa e rancorosa si è realizzato a cascata anche all’interno delle classi, nelle corporazioni arti e mestieri – per così dire.

Guardando alla sostanza, non si pone più nemmeno un vero problema di costituzioni, di sistemi giuridici, di regole di competizione nel cosiddetto mercato dell’offerta politica e di formazione di soggetti politici.

La questione è divenuta ancora più elementare. Si sono scatenati ribaltamenti e inversioni che, per farla corta, hanno portato in alto lo strato umano che doveva stare in basso, secondo il merito e l’ordine sano delle funzioni basilari della città.

La politica è stata declassata e ridotta a mero entertainment di copertura delle azioni delle potenze reali del sistema tecnico–scientifico–industriale.

Nella generale riorganizzazione dei mercati, gli stati (la politica) ormai servono limitatamente a rastrellare il risparmio nazionale e a offrirlo al sistema superiore dei gruppi dominanti sovrastatali. Risparmio e, naturalmente, ogni altro bene che tale sistema esiga, a cominciare dai prestatori d’opera per finire alle risorse naturali. Neocolonialismo puro, e per il rimanente svolgono il ruolo di enti locali assistenziali.

La democrazia è diventata via via una forma subdola per disarticolare ogni autorità centrale e unitaria degli (ex)stati e infilare i cunei del sistema tecnico–scientifico–industriale nel loro interno acquisendo e asservendo separatamente i vari gruppi in competizione.

La democrazia? « Il migliore sistema dei peggiori », era la battuta di Churchill che si intendeva bene di imperi, compresa la loro fine, avendo assistito alla liquidazione del suo, acquisito nel nuovo ordine globale americano.

 

6
Non alimentare l’eone in atto

Churchill è un esempio eccellente di quanto dicevo all’inizio relativamente al fatto che la corrente dominante nel nostro eone muta di segno qualunque azione avviata con propositi positivi.

Chiamato a dirigere la patria in procinto di venire strangolata dal diavolo Hitler, Sir Churchill escogitò di allearsi con il diavolo Stalin. Per evitare il danno supremo, addivenne a un pactum sceleris inaudito; si riservava, con perfido disegno, di lasciarlo cadere e di correggerne le conseguenze una volta ottenuto il supremo vantaggio di garantire la vita all’amata Inghilterra?

Nessuno, comunque, ha il monopolio della perfidia e della furbizia. Specie sui nodi di fondo. La politica, sui nodi di fondo, ha ben poco da dissimulare e deve essere perfino sincera.

Errore grande fu il suo, perché i grandi fanno errori grandi. L’Inghilterra sopravvisse ma senza impero, mutò natura, perse l’anima severa e consegnò l’Europa direttamente (la metà militarmente occupata) e indirettamente (l’altra metà condizionata dai potenti partiti filosovietici) proprio al nemico giurato e radicale degli ideali che aveva rappresentato e diffuso nei secoli.

 

7
E nell’attesa?

Dunque?

Solo un dio – secondo che diceva Heidegger in una famosa intervista – ci può salvare?

Sì, purché sia un altro dio, altro rispetto a quello che sta combinando la storia della menzogna in corso, perché solo la verità ci eviterà la liquefazione.

Hegel, protagonista profondo della drammatica storia della filosofia dell’Europa, scriveva in una lettera tagliente come un rasoio che la rappresentazione (l’idea) domina la politica:

« mi convinco ogni giorno di più che il lavoro teorico realizza nel mondo più fatti di quello pratico; una volta rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà politica non vi resiste. »

L’affermazione è netta: allorché subentra una determinata idea egemonica, niente resiste, diviene inevitabile eseguirla. I capi della città non possono muoversi che al suo interno. L’azione infatti non può che svolgersi dentro un mondo, un ordine, una forma, e mondo ordine forma sono idea e rappresentazione.

E se e finché le idee non sorgono?

Il tedesco Heidegger aspetta un dio il quale, conoscendo Heidegger, dovrebbe avere un volto antico e filosofico.

A Napoli aspettano « ‘a Maronn’ », ancora più primordiale del dio. Tutti, uomini e dèi, li ha generati Gea, la Grande Madre Terra.

Chissà?

Giuseppe Lampis

 


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