Il dialogo interreligioso Fondamenti e dimensioni

P. Giuseppe Scattolin
(missionario comboniano)i

Introduzione

Il termine ‘dialogo’ è diventato ormai parte integrante del linguaggio religioso del nostro tempo, anzi quasi una moda, il cui senso è dato per lo più per scontato. Non c’è convegno, religioso e non, ora, nella presente epoca della globalizzazione, in cui non si tocchi da vicino o da lontano (ormai quasi un doveroso cliché) il tema del dialogo nei suoi più vari aspetti: ecumenico, interreligioso, culturale ecc. Ma si tratta di vero dialogo? Ecco la domanda socratica che mette in crisi il diluvio della retorica del dialogo che ci invade da ogni parte.

L’Annunziata di Palermo, Antonello da Messina (sec. XV), palazzo Abatellis, Messina
L’Annunziata di Palermo, Antonello da Messina (sec. XV), palazzo Abatellis, Messina

Vale la pena quindi cercare di esplorare le dimensioni più profonde di tale termine. Esse ci svelaranno probabilmente degli aspetti ignorati, aspetti che se assunti con consapevolezza ci spingeranno ad impegnarci nel campo del dialogo in modo più convinto e profondo di quanto non avvenga comunemente nei vari incontri ufficiali su tale tema. ii

1. Alle radici del dialogo interreligioso. 

1-1. I fondamenti ontologici del dialogo. 

La parola dialogo, come si sa, deriva dal greco dia-logos , che ha il senso generale di una ‘conversazione fra due o più parti’. Il termine è stato spesso usato per indicare un genere letterario, appunto ‘il dialogo’, molto diffuso in molte letterature mondiali di cui esempio famoso rimangono i Dialoghi di Platone.

La parola dialogo è composta da un termine fondamentale, logos , termine che ha avuto una grande importanza per il pensiero occidentale. La parola greca logos è un termine polisemantico, carico di vari sensi di cui ne indichiamo i principali. iii

Prima di tutto il termine logos indica la ‘ragione’, cioè la base o la misura razionale di una cosa. Esso indica quindi la ragione interiore della intelligibilità di una cosa, la sua trasparenza al pensiero umano, la sua intelligibilità (nel senso etimologico di ‘ intus-lego ‘, cioè ‘afferro interioremente, comprendo)’. I primi filosofi greci hanno constatato che il logos è la struttura base dei fenomeni naturali, della natura ( physis ). I fenomeni naturali infatti non avvengono nel buio di un caos irrazionale, ma seguono un ordine, una misura, un’armonia. Il mondo è appunto un cosmos , e non un chaos ; esso è cioè un insieme ordinato, illuminato dall’interno dalla luce del logos , cioè da una razionalità in esso inscritta. E’ per tale ragione che noi esseri umani possiamo capire, com-prendere con il nostro pensiero le cose, cioè intelligere (da intus-legere ) la realta’ di esse. In tale senso i primi filosofi greci hanno trovato che essere e logos sono strettamente corrispondenti: l’essere è razionale, è logos .

Di conseguenza, il termine è stato usato per indicare la potenza, la facoltà umana che è capace di captare, comprendere il logos dell’essere: il pensiero umano. L’essere umano infatti è l’essere capace di logos loghikós ), come diceva Aristotile, cioè capace di pensare, di intelligere (da intus-legere ) l’essere, è l’essere intimamente aperto all’essere in quanto tale. Anche qui i filosofi greci hanno messo in luce che esiste una fondamentale corrispondenza fra pensiero ed essere: il pensiero è logos , cioè capacità di essere illuminato dall’essere, di essere trasparente all’essere, e quindi di com-prendere l’essere.

Infine il termine è stato preso per indicare l’espressione linguistica con cui l’essere umano trasmette il suo logos interno, il suo pensiero: la parola è logos , cioè l’espressione esterna del pensiero umano che si esprime e si trasmette ad altri. Esiste quindi nella visione greca una radicale corrispondenza fra essere, pensiero e parola: questo legame è indicato appunto dal termine logos , il cui senso etimologico (dalla radice leg/log* ) infatti indica l’atto di ‘unire, legare insieme’ gli estremi di qualcosa. Nello sviluppo della filosofia greca il termine logos giocherà un ruolo sempre più fondamentale. Per il filosofi stoici, ad esempio, il logos diviene il principio universale che regge l’intero universo: in ogni cosa c’è parte di esso, essa è cioè partecipe del logos totale e universale.

Rivolgendoci poi alla tradizione biblica vediamo che il centro dell’esperienza religiosa biblica non è, come per i greci, l’ordine astratto-logico del cosmo, ma il rapporto personale con il Signore dell’universo. Tale rapporto è basato sulla ‘parola’ ( dbr ) divina: Dio crea il tutto mediante la sua parola e secondo la sua sapienza, cioè un suo pensiero e disegno. L’Assoluto, il fondamento dell’essere quindi, non è nella visione biblica una legge impersonale, ma è un essere personale nel senso più radicale del termine: Dio parla, agisce e si fa conoscere mediante la sua parola. L’ordine dell’universo quindi, come pure gli avvenimenti della storia, mettono l’essere umano in rapporto non con un destino o un ordine impersonale assoluto (il fatum del pensiero pagano, che si rivela alla fine un fondamento ‘irrazionale’ dell’essere), ma con il Signore del cosmo e della storia, che è il Signore mosso da una sapienza, da un amore e da una misericordia senza limiti: Dio parla all’uomo con la sua parola e con essa l’uomo risponde a Dio; la parola è al centro di tale rapporto.

Le due visioni, quella greca e quella biblica, non sono state viste in contraddizione né dai pensatori ebrei (Filone di Alessandria) né da quelli cristiani (i Padri della Chiesa). Anzi le due visioni sono state assunte ed unite da essi (e sulla loro scia anche dai pensatori musulmani) in profonde e vaste riflessioni che costituiscono un ricco patrimonio di pensiero e di saggezza per tutta l’umanità. Essi infatti hanno visto nella parola divina l’origine ed il fondamento del logos del cosmo e dell’essere umano.

Quello che importa allo scopo della nostra riflessione è che in tale visione la struttura ‘logica’ dell’essere diviene necessariamente una struttura ‘dia-logica’. Il logos unisce l’insieme degli esseri nell’universo in una rete di rapporti fra di loro e con il pensiero umano, ed infine unisce il tutto con il suo fondamento ultimo: l’Assoluto, Dio stesso. Gli esseri non sono dei frammenti isolati, gettati a caso nel buio del nulla o dell’irrazionale fatum , come pulviscoli di particelle senza relazione tra loro, ma sono parti di un tutto, uniti da un insieme di rapporti che li costituiscono e li mettono in relazione reciproca. Questi rapporti vanno dalle forze fisico-chimiche, a quelle bio-psicologiche, e sù sù fino a quelle del pensiero, del logos umano. Ma al di là di tali rapporti orizzontali, gli esseri si rapportanto necessariamente al loro Fondamento assoluto, da cui vengono e a cui alla fine si riferiscono. Essi non sono delle stelle che splendono solitarie nella notte oscura del nulla e dell’irrazionale (come molti filosofi nichilisti amano pensare), essi sono come le luci dell’aurora che illuminate dal sole nascente annunciano il rivelarsi della loro origine, l’Essere. Essere quindi significa sempre ‘essere-con’, ‘essere-in-rapporto-a’. Non esiste un essere isolato, chiuso in in se stesso senza nessun rapporto con gli altri esseri; tale essere sarebbe alla fine irragiungibile e incomprensibile, e quindi inesistente.

Tale rapidissimo scorcio storico sulla storia del termine logos intende far vedere che i fondamenti del dialogo partono da lontano, cioè dalla stessa costituzione ontologica degli esseri. Ogni essere è sempre un ‘essere-con’, quindi esso è sempre in ‘dia-logo’ con gli altri esseri. Ogni essere infatti è, si possiede e si esprime, ed infine si apre, mettendosi in relazione e offrendosi agli altri esseri. La filosofia scolastica parlava dei tre trascendentali dell’essere in quanto tale, cioè di tre aspetti che accompagnano sempre e necessariamente ogni ente che è e quindi partecipa dell’essere. L’essere in quanto tale, e quindi ogni essere esistente, è sempre uno, vero e buono: esso cioè è e si possiede, si afferma e si offre agli altri. Ogni essere quindi non esiste solo in sé e per sé, ma esso ‘esiste-con e in rapporto a’ gli altri, esso è quindi sempre in relazione, in dialogo con gli altri esseri. Cio’ è vero in particolare per l’essere umano. L’essere umano non è solo un essere ‘logico’ ( loghikós , secondo la classica definizione aristotelica), capace cioè di pensare e intelligere l’essere, ma egli è necessariamente anche un essere dia-loghikós , cioè in dialogo continuo con gli esseri che lo circondano come pure con se stesso nei suoi atti di conoscenza e di amore. Infine, esso è in dialogo con il Fondamento ultimo e assoluto dell’essere stesso, cioè con Dio. Vivere quindi il rapporto con gli esseri in modo dialogico mette l’essere umano in armonia con se stesso, con l’universo e con il suo Fondamento ultimo, e tutto cio’ lo mette in armonia con la sua fondamentale costituzione ontologica: solo in questo rapporto profondo con la realtà l’essere umano trova la sua armonia e la sua pace. Quando si realizza in tale dimensione dialogica l’essere umano infatti si rispecchia nella natura e questa si rispecchia in lui; i processi naturali diventano per lui lo specchio dei i suoi processi interiori, e questi trovano il loro corrispondente concreto in quelli. La storia dell’arte, cioè della bellezza, attraverso il lavoro dei pensatori e degli artisti di tutte le culture umane, ha sempre rivelato tale splendore ed tale armonia fra essere umano e natura, frutto dell’ordine inscritto in ogni essere e nell’intero cosmo.

L’epoca in cui noi viviamo pero’ è un’epoca in cui tale dialogo ontologico sembra essere in pericolo a causa del progetto tecnico-scientista dell’uomo. Tale progetto sembra essere guidato non dalla ricerca dell’armonia dialogica con l’essere, cioè dall’armonia ontologica, ma dalla hybris , cioè l’orgoglio prepotente dell’uomo stesso che lo spinge alla utilizzazione e allo sfruttamento della natura mosso da un cieco e pericoloso desiderio di conquista e potenza. In tal modo l’armonia fra essere umano e natura, armonia che è stata alla base del pensiero umano lungo tutta la sua storia, appare incrinata, se non addirittura interrotta. L’uomo non è più il ‘custode-pastore’ della natura (come i miti di molti popoli avevano indicato), ma ne è diventato il ‘rapace-sfruttatore’ (come pure molti altri miti avevano minacciato). Di fronte a tale progetto hybristico dei seri interrogativi si pongono: non porterà tutto questo alla fine ad una ‘disumanizzazione’ della specie umana? E non sarà questo un pericolo mortale per la sua stessa sopravvivenza? Tali interrogativi stanno diventando sempre più drammatici per la nostra generazione, ed essi dovrebbero spronare tutti ad approfondire la dimensione dialogica dell’esistenza per radicarla nei suoi fondamenti più profondi, nelle sue radici ontologiche.

1-2. I fondamenti antropologici del dialogo. 

L’essere umano è quindi, come e più di ogni altro essere, un essere dialogico. Egli infatti vive in un continuo colloquio interiore con se stesso, mediante il proprio logos interiore, e in un continuo rapporto e scambio con il logos dell’essere. In tale dialogo l’essere umano si apre all’essere totale, progredendo nel campo della conoscenza e realizzandosi sempre più come ‘umano’, cioè come essere capace dell’essere, capace cioè della coscienza e comprensione dell’essere, della sempre più piena partecipazione all’essere non al solo livello semplice entitativo, cioè di pura esistenza, ma onto-logico, cioè come ‘essere capace della coscienza e comprensione dell’essere’.

Ma tale dialogo umano con l’essere non avviene nell’intimo di una monade isolata, rapportantesi in modo solipsistico all’essere, come molti filosofi hanno pure pensato. L’eperienza mostra che il singolo essere umano è inserito in uno scambio continuo con gli altri esseri umani: egli è infatti un essere essenzialmente sociale. Non esiste un essere umano isolato in se stesso, autosufficente, staccato da tutti gli altri. Proprio il suo logos -parola porta l’impronta della sua inter-relazione con l’ambiente sociale in cui nasce e vive. L’essere umano è un essere che si forma e si sviluppa in dialogo con gli altri esseri umani mediante il suo logos -parola: egli è frutto di tale dialogo inter-umano. Il suo rapporto con l’essere quindi appare sempre mediato dal suo rapporto con gli altri esseri umani. Le scienze storico-sociali hanno dimostrato ampiamente che il singolo essere umano progredisce proprio perché è inserito in uno scambio continuo col suo contesto sociale: dall’ ambito della famiglia, ai vari tipi di comunità in cui man mano si inserisce, fino alle forme più complesse del suo essere sociale. Senza la mediazione sociale lo sviluppo umano sarebbe difficilissimo, se non addirittura impossibile. Di fatto, quando viene isolato, l’essere umano regredisce a livelli inferiori di comportamento, anche se non si ridurrà mai puramente e semplicemente al solo livello degli istinti biologico-animali. Il linguaggio umano, il logos -parola, appare quindi legato essenzialmente al suo contesto sociale e si sviluppa fondamentalmente in connessione con esso come nel suo ambiente vitale. E’ infatti attraverso il logos- parola che il logos -pensiero dell’individuo umano si apre e si espande alla comprensione dell’essere totale. I filosofi del linguaggio hanno discusso a lungo se il pensiero venga prima del linguaggio o viceversa. Ma, nonostante le loro differenti posizioni, nessuno mette in dubbio che la mediazione sociale è della massima importanza per lo sviluppo del linguaggio, e quindi del pensiero umano, ed alla fine dell’essere umano stesso. L’essere umano si ‘umanizza’ proprio nel rapporto sociale, nel dialogo sociale, che inizia dal suo primo rapporto con la madre e con la sua famiglia, e sù sù fino a tutta la varietà dei rapporti sociali che compongono la traccia della vita umana.

Recentemente alcuni filosofi, come Martin Buber e Emmanuel Levinas, hanno studiato la particolare importanza che ha la categoria ‘dialogo’ nella vita umana. Queste filosofie del ‘dialogo’ hanno messo in luce come l’esperienza del ‘tu’, sia un’esperienza umana fondamentale per accedere alla vera esperienza del ‘sé’ come ‘io’. iv C’è infatti una differenza radicale fra due esperienze umane fondanti: quella dell’ ‘io-tu’, cioè quella inter-personale tra due soggetti, e quella dell”io-esso’ cioè quella oggettiva tra soggetto ed oggetto. E’ mediante la prima, quella dell’ ‘io-tu’, che l’essere umano accede alla propria esperienza dell’ ‘io-persona’. La categoria ‘dialogo inter-umano’ quindi, e non solo l’astratto pensiero teorico (come per i greci), è entrato ormai a far parte delle categorie fondanti e fondamentali che definiscono la costituzione della persona umana in quanto tale.

Un osservazione più ampia tuttavia mostra facilmente che tale inter-scambio dialogico inter-umano è necessario non solo per il singolo essere umano, ma anche per ogni società o gruppo umano. Ogni società o gruppo umano, se vuole progredire veramente nel campo della sua ‘umanizzazione’, ha bisogno di vivere in uno scambio continuo con altre società umane o gruppi umani, e quindi di essere in dialogo con essi. Anche qui si constata che le società umane isolate rischiano di chiudersi in un’identità statica, tribale, perdendo la dimensione dell’apertura verso l’altro, il diverso, infine verso la infinita ricchezza dell’essere. Il dialogo quindi non è solo interpersonale, ma esso deve diventare anche e necessariamente inter-sociale. Esso infatti apre ogni singolo essere umano come pure ogni società o gruppo umano a tutte le altre espressioni umane che esistono al di fuori della propria cerchia, cioè a tutte le culture e a tutte le civiltà create dall’essere umano stesso nel tempo e nello spazio. In tal modo l’essere umano accede ad una più alta e più profonda ‘umanizzazione’. La storia umana, quindi, può e deve essere letta e intepretata sotto la categoria del dialogo, cioè, come un estendersi del dialogo inter-umano nel tempo e nello spazio a livelli sempre più ampi e profondi, in un movimento di arricchimento reciproco verso un più totale sviluppo dell’essere umano stesso. E il tutto tende alla fine verso un telos , un punto finale, che, anche se in modo oscuro, viene percepito come il punto di convergenza di tutta la storia del dialogo umano. Tale termine finale dovrebbe essere il punto della completa realizzazione e rivelazione del dialogo storico dell’umanità. L’attesa di un compimento finale infatti sembra essere una parte costitutiva del dialogo umano stesso, pena la sua caduta nel non senso del caso e dell’assurdo, o nella ripetizione dell’eterno ritorno del medesimo, e quindi del non dialogo. Non si dialoga infatti solo per scambiare delle parole che rimangono alla fine dei frammenti chiusi in se stessi, gettati nel vuoto del non senso e nel buio del niente. Un simile stato è la negazione radicale del dialogo stesso. Ogni parola invece nasce per esprimere un senso, un logos , ed essa è e rimane sempre aperta a sensi nuovi e più comprensivi nella trama della sua inter-relazione con altre parole. Ed infine tutte le parole umane si connettono in un insieme che tende ad esprimere un senso globale, il logos totale, telos finale dell’essere stesso, ma anche sua prima fonte e causa ( aitia ). La fede cristiana, in armonia con le più profonde intuizioni di molte religioni, vede che tale punto finale di compimento, di realizzazione e di rivelazione del senso dell’essere, e quindi del logos totale, può avvenire solo nell’incontro a faccia a faccia con l’origine e il fondamento del tutto: cioè, con l’Assoluto stesso. Allora il dialogo umano entrerà in una dimensione nuova, perché esso entrerà allora nella sua pienezza, cioè nell’Assoluto stesso, poiché questi sarà allora ‘Tutto in tutti’ (1 Cor. 15, 28).

In tale prospettiva si può vedere come quando si parla di dialogo inter-umano a suoi vari livelli individuale, sociale e planetario, questo termine non deve essere confuso con uno scambio di chiacchere vuote, tanto di moda ai nostri giorni da costituire quasi una malattia del nostro tempo presente. Fare dialogo (così infatti bisognerebbe esprimersi, così come si dice fare l’amore, si tratta infatti di opere serie che impegnano la vita) significa in realtà di rispondere ad un’esigenza fondamentale, ontologica, costitutiva dell’essere umano stesso.

L’impegno al dialogo però non chiude gli occhi sulla realtà storica dell’umanità. La storia mostra che in realtà i rapporti fra gli esseri umani sono stati molte, anzi troppe volte, dei rapporti di guerra, di lotte, di eliminazione e di morte dell’altro, del diverso. Tutto ciò deve far riflettere sulla complessità della realtà umana che sta alla base del dialogo. La realtà umana storica, concreta, mostra di contenere in sé degli elementi di violenza e di male che possono esplodere nel modo più irrazionale e distruttivo. Il dialogo quindi per raggiungere il suo scopo, quello cioè di portare l’essere umano verso il suo fine ultimo, verso la sua piena ‘umanizzazione’, esige prima di tutto una sua radicale ‘purificazione’ da tutti gli elementi di violenza e di oppressione che si agitano nelle profondità di ogni essere umano. Senza tale premessa il dialogo diventa impossibile, o si riduce ad inganno più o meno esplicito. Sono questi semi di male infatti che hanno trasformato spessissime volte l’incontro storico degli esseri umani fra loro e con la natura in scontri di morte e di distruzione accompagnati da immani tragedie; e continuano a farlo nel nostro tempo.

L’epoca in cui viviamo, come abbiamo visto, è caratterizzata dall’apertura di tutte le frontiere e dall’incontro di tutti gli esseri umani a livello planetario, globale, in un modo che non ha precedenti nella storia. Essa si presenta, da questo punto di vista, carica di grandi promesse, ma anche di drammatiche minacce. La presente situazione storica è quindi un appello ad un nuova responsabilità per far sì che il presente incontro globale rappresenti per l’umanità una nuova tappa per una sua ulteriore ‘umanizzazione’, e non per una sua, e non del tutto ipotetica, ‘disumanizzazione’. La vera risposta alle sfide dell’ora presente potrà venire solo attraverso un dialogo responsabile e serio fra tutte le nazioni, tutte le culture e tutte le religioni. Questa è la sfida drammatica che l’uomo del villaggio globale deve affrontare, e per questo egli deve impegnarsi nel modo più serio e responsabile nel campo del dialogo inter-umano.

1-3. I fondamenti teologici del dialogov

Il dialogo ontologico è, come abbiamo visto, strutturalmente orientato verso il dialogo antropologico, e questo infine verso il dialogo teologico, cioè verso il dialogo col fondamento dell’essere stesso, con l’Assoluto, cioè con Dio, come suo telos e sua pienezza. Il dialogo teologico appare quindi come il termine ultimo, ma anche come il principio primo, del processo dialogico su cui si costruisce il cammino umano. Senza voler spaziare troppo in un tema tanto vasto, presentiamo qui due aspetti che ci sembrano fondamentali per l’impresa del dialogo teologico.

a. L’essere umano come essere della trascendenza, cioè, del radicale orientamento verso il Mistero Assoluto. 

Il fondamento e l’orientamento della dinamica dialogica che sta alla radice dell’essere umano vengono rivelati e messi in luce dall’analisi esistenziale dell’essere umano stesso. L’essere umano infatti è e si manifesta come ‘l’essere della trascendenza’, cioè come quell’essere aperto alla totalità dell’essere e orientato radicalmente verso l’incontro con il suo fondamento stesso, cioè con l’Assoluto. L’essere umano infatti è un essere che non solo esiste, ma ha coscienza della sua esistenza; egli non esiste come un semplice oggetto fra oggetti, ma sempre come soggetto. Questo vuol dire che nell’essere umano la trasparenza dell’essere giunge ad un completo ‘ritorno a sé’, ad un ‘essere-presso-se-stesso’, ad ‘essere-presente-a-se-stesso’, ed infine ad un autopossesso di se stesso a livello della conoscenza, dell’amore e della libertà. Questo è quanto la filosofia esistenzialista ha messo in luce in mille modi, soprattutto nelle sue recenti espressioni. A proposito K. Rahner afferma:

“Essere una persona significa quindi l’autopossesso da parte di un soggetto in quanto tale in un rapporto cosciente e libero verso la totalità [di se stesso]. Questo rapporto è la condizione della possibilità ed è l’antecedente orizzonte del fatto che il soggetto umano nelle sue singole esperienze empiriche e nelle sue singole conoscenze ha a che fare con se stesso come uno e come totalità “. vi

L’essere umano si esperisce quindi come un essere-presente-a-se-stesso, come una totalità che sta sempre al di là dei singoli elementi che lo compongono. Esso non è semplicemente un composto o un insieme di forze fisico-chimico-psichiche, come una certa visione scientifica limitata e limitante afferma con troppa superficialità. L’essere umano è quell’essere che è presente a se stesso e che si coglie come totalità, ed è perciò ‘responsabile’ di sé. Infatti proprio attraverso tale movimento di ritorno a sé, di auto-presenza e di auto-coscienza, l’essere umano emerge in un orizzonte che lo costituisce e cui ogni suo atto è necessariamente riferito: l’essere umano si manifesta infatti come l’essere aperto all’essere in quanto tale, cioè alla totalità dell’essere, da cui emerge e verso cui si trova radicalmente orientato. Ed è proprio nell’esperienza della propria finitudine che l’essere umano sperimenta la presenza della non-finitudine, cioè dell’infinito, come orizzonte e condizione previa e fondamentale di ogni suo atto umano di conoscenza, di libertà e di amore, da cui esso radicalmente proviene ed a cui è ultimamente orientato. Ed è proprio in tale atto di apertura e trascendenza verso la totalità dell’essere che l’essere umano si esperimenta come spirito. K. Rahner continua:

“Nell’atto di porre la possibilità di un orizzonte puramente finito del suo questionare, tale possibiltà è già superata, e l’essere umano si rivela come l’essere di un orizzonte infinito . Nell’esperire la sua radicale finitudine, egli si protende già al di là di essa, ed egli esperisce se stesso come l’essere della trascendenza, come spirito. L’infinito orizzonte del questionare umano è esperito come un orizzonte che recede sempre più quanto più numerose sono le risposte che l’uomo riesce a darsi”. vii

L’essere umano si esperisce quindi come l’essere-della-trascendenza, cioè come essere radicalmente aperto e orientato all’incontro col l’Assoluto che sempre lo avvolge come un orizzonte irraggiungibile; così K. Rahner:

“Tuttavia l’essere umano è e rimane l’essere della trascendenza, cioè egli è quell’esistente al quale la incontrollabile e silente infinità della realtà si fa continuamente presente come mistero”. viii

L’Assoluto quindi è presente allo spirito umano come quell’orizzonte che tutto circoscrive ma non è circoscritto, come la misura che tutto misura ma non è misurata, come la domanda che lo interroga e lo risveglia nel profondo della sua coscienza e cui egli è chiamato a rispondere. Tale orizzonte infinito è la condizione di tutte le distinzioni categoriali, oggettive, finite che accadono nell’esperienza umana, ma esso a sua volta non è oggettivabile, né definibile, né definito. Esso è Colui cui ogni nome si riferisce, ma che a sua volta è al di là e al di sopra di ogni nome. Esso è il fondamento ( Grund ) che tutto sostiene, ma non è sostenuto da nulla, che tutto comprende ma non che non può essere esso stesso compreso. La trascendentalità dell’essere umano, cioè la sua apertura ed il suo orientamento radicali verso il Mistero assoluto, fondamento ed origine dell’essere nella sua totalità, appare quindi come il movente primo del dialogo teologico, così come si presenta nell’esperienza umana, analizzata nelle dimensioni profonde della sua esistenza. Il Mistero assoluto e santo è infatti il sempre presente orizzonte, e la sempre ricercata meta del cammino umano.

Abbiamo sottolineato sopra il fatto che l’essere umano è un essere essenzialmente sociale. Quindi anche la trascendentalità dell’essere umano non viene esperita nel solipsismo della monade umana, ma nel dialogo inter-umano delle persone, comunità e società umane. Le filosofie del dialogo hanno messo bene in luce il fatto che la relazione interpersonale fondamentale ‘io-tu’ rimanda essa pure necessariamente ad un fondamento ultimo, ed infine ad una relazione fondamentale con il ‘Tu infinito’, di fronte cui il ‘tu’ umano si pone e che solo può assicurare al singolo ‘tu’ del soggetto umano una consistenza durevole. Questo ‘Tu infinito’ di fronte cui l’essere umano si trova e si esperisce è ciò che nel linguaggio biblico e coranico è chiamato il ‘volto di Dio’, desiderio, meta e termine del cammino umano. E’ davanti a Lui che l”io’ umano trova il suo senso e la sua consistenza ultimi. Anche da questo punto di vista, cioè nella profondità della sua esperienza interpersonale, l’io umano si esperisce come l’essere dell’apertura radicale ed dell’orientamento ultimo verso il Fondamento dell’essere, in una parola egli è l’essere della trascendenza verso il Mistero assoluto.

Il Mistero assoluto e santo, cioè Dio, appare quindi il fondamento, il termine ultimo, il telos e la pienezza finale, non solo dell’essere umano come singolo individuo, ma anche dell’essere umano come comunità. Il dialogo umano quindi che si intreccia con l’insieme di tutti gli esseri esistenti, ma in particolare con gli altri esseri umani, avviene sempre, in modo esplicito o non, all’interno dell’orizzonte ultimo del dialogo, cioè il Mistero assoluto e santo, Dio, che è il fondamento ( Grund ) che tutto sostiene e l’orizzonte che tutto avvolge. La storia dell’umanità è in fondo la storia dell’uomo alla ricerca del ‘volto di Dio’, come fondamento primo e termine ultimo della sua auto-realizzazione ultima, cioè proprio come ‘umana’. Alla luce di questa realtà, i miti e i simboli religiosi di tutte le culture umane possono e debbono essere letti ad un livello più profondo di quanto facciano normalmente le scienze empiriche. Essi non sono solo espressioni di ‘bisogni sociali’, come sono spesso definiti nelle scienze empiriche, ma ben di più, essi sono espressioni del cammino dell’umanità alla ricerca del ‘volto di Dio’. L’umanità, infatti, cercando se stessa essa cerca Dio, e, viceversa, cercando Dio cerca veramente se stessa.

b. L’essere umano come l’essere dell’assoluta auto-comunicazione del Mistero Assoluto, cioè di Dio. 

questo punto però si pone una questione fondamentale che attraversa necessariamente l’esperienza religiosa umana: la trascendentalità dello spirito umano, cioè la sua radicale apertura verso il Mistero assoluto, verso Dio, deve rimanere solo un orientamento verso un termine irraggiungibile, un orizzonte inavvicinabile, un punto asintotico mai abbordabile? Dovrà egli rapportarsi a Lui solo mediante dei simboli che da lontano lo annunciano, senza mai svelarlo realmente? Dovrà quindi l’essere umano essere l’eterno scrutatore del Mistero, assiso ai suoi bordi, senza che mai il suo sguardo possa spingersi verso le sue profondità ? Appare chiaro che la risposta a tale questione non può venire dall’uomo, ma solo dall’Assoluto stesso. Questi infatti, appunto in quanto tale, cioè in quanto Assoluto, rimane sempre libero di rivelarsi e di donarsi, dato che nulla né dall’interno né dall’esterno di Sé potrebbe costringerlo o potrebbe impedirglielo, se no Egli cesserebbe di essere l’Assoluto.

Numerose sono state le risposte che le varie religioni hanno dato a tale domanda. Si può dire però che in generale (e non mi pare di semplificare) le religioni hanno sempre sottolineato la distanza invalicabile tra l’essere creato e l’Assoluto. L’essere umano potrà al massimo, alla fine di tutti i suoi sforzi ascetici e delle sue ascensioni mistiche, sparire, annientarsi in o essere assorbito da, ma mai raggiungere, comunicare con l’Assoluto stesso.

La rivelazione cristiana, invece (e qui si può certamente parlare di ‘pretesa cristiana’) crede e proclama che è stato l’Assoluto stesso che ha fatto tale passo inimmaginabile e decisivo nella storia umana, rivelandosi e donandosi all’uomo nell’evento della sua auto-comunicazione assoluta. Di conseguenza essa proclama che la ricerca umana dell’Assoluto, di Dio, cioè il movimento trascendentale dello spirito umano, è da sempre preceduto, sostenuto ed orientato dal dono che Dio ha fatto di Se stesso all’uomo, cioè dalla sua auto-comunicazione. L’uomo storico concreto quindi non è semplicemente l’essere aperto a ed orientato verso l’Assoluto come un punto asintotico irragiungibile, ma la sua trascendentalità è già stata da sempre elevata ed orientata verso il Dio dell’auto-comunicazione assoluta, del dono assoluto di Se stesso all’uomo. L’uomo quindi va incontro ad un Dio che già si è fatto incontro a lui: “Tu non mi avresti cercato, se Io per primo non ti avessi trovato”, proclama Pascal con i mistici di tutti i tempi e sotto tutti i cieli. Queste parole acquistano nella visione cristiana un senso più profondo.

Dio quindi, il Mistero santo e l’Orizzonte trascendente ha voluto farsi presente e donare ‘Se stesso’ proprio nella storia umana, e questo dono è stato dato a tutta l’umanità in generale, come pure ad ogni singolo essere umano in particolare. Questo significa che Dio, pur non cessando mai di essere Dio, cioè il Mistero santo e l’Orizzonte trascendente che tutto comprende senza mai essere compreso, che tutto avvolge senza mai essere a sua volta avvolto, ha voluto farsi vicino all’essere umano nella sua realtà più intima, senza per questo divenire un semplice costituente della realtà umana. La volontà salvifica di Dio infatti, così crede e proclama la fede cristiana, è universale, poiché universale e incondizionato è il suo amore gratuito per tutta l’umanità : “Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità ” (1 Tim. 2, 4). Questo è il Mistero profondo che sta al cuore dell’esperienza umana, e questo è pure il cuore dell’esperienza e del messaggio della fede cristiana. L’uomo si esperisce come l’essere che va alla ricerca dell’Assoluto, di Dio, ma questi si è già fatto presente al cuore dell’uomo stesso, nel dono assoluto di Se stesso. I teologi hanno cercato di comprendere, descrivere e specificare tale auto-comunicazione, tale ‘assoluta vicinanza dell’Assoluto’ all’essere umano, ben espressa dalle parole di S. Agostino: “Tu sei più intimo a me stesso della mia stessa intimità “. Ad ogni modo, al di là di ogni spiegazione, rimane saldo per la fede cristiana che Dio, senza cessare di essere tale, ha voluto comunicare all’essere umano non solo delle cose e delle qualità (questo lo si trova in tutte le religioni), ma Egli ha voluto comunicare Se stesso, e nel più alto grado possibile. Il Dio della fede cristiana quindi non è il Dio della pura trascendenza, quasi prigioniero di essa come di un limite per Lui invalicabile. Dio invece ha voluto essere il Dio della più assoluta vicinanza alla sua creatura, nel dono di Se stesso, cioè nella sua assoluta auto-comunicazione. Qui sta il paradosso del dono divino, paradosso che costituisce nello stesso tempo l’inquietudine più radicale ma anche la pace più profonda di ogni essere umano: il dono divino è assolutamente gratuito, ma esso è anche assolutamente necessario. Ciò significa che esso non è dovuto all’essere umano come un suo elemento essenziale, datogli con la sua costituzione come essere umano. Tuttavia senza tale dono divino l’essere umano ormai non può più raggiungere lo scopo e la pienezza della sua esistenza. Cosicché si deve dire con K. Rahner:

“Nell’unico ordine di cose che è il solo reale il vuoto della trascendentalità della creatura esiste perché la pienezza divina crea tale vuoto al fine di poter comunicare ad esso Se stesso”. ix

Alla luce di tale realtà si può dire pure che l’esperienza del vuoto, del nulla, dell’assenza di Dio, esperienza presente in tanta parte dell’esistenza e del pensiero umani, è appunto l’esperienza della trascendentalità dello spirito umano che non ha ancora accolto il dono dell’Assoluto. E, dato che nulla può riempirla se non l’Assoluto stesso, lo spirito umano non può sperimentare che il vuoto, secondo la famosa espressione in cui S. Agostino ha riassunto tutta la sua vicenda umana: “Ci hai fatti per te, o Signore, ed il nostro cuore è senza quiete finché non riposa in te” (Conf. 1, 10). Cercare infatti la pienezza altrove, al di fuori della vera meta dello spirito umano che è il Dono divino, non può condurre che al vuoto, al nulla, esperienza che è contraria a quella della pienezza, ma anche in un certo senso sua conferma, cosi’ come non si potrebbe percepire l’errore se non si avesse in sé il criterio della verità : l’errore è infatti una conferma del criterio della verità, senza la presenza della verità neanche l’errore sarebbe possibile. La trascendentalità umana verso l’Assoluto è quindi di fatto, da sempre e per sempre, sostenuta, elevata, orientata e portata al suo compimento dalla e nell’auto-comunicazione di Dio stesso. Di conseguenza, l’essere umano concreto ora, nel presente ordine di cose, pur rimanendo pur sempre libero di accettare o no il Dono divino, è di fatto da sempre e dovunque l’essere orientato a tale auto-comunicazione di Dio fino alla sua pienezza, nella visione del ‘faccia a faccia’. K. Rahner può quindi affermare:

“L’essere umano è l’evento di una libera, gratuita e perdonante, e assoluta auto-comunicazione di Dio “.x

Questa diviene ora la più vera e comprensiva definizione dell’essere umano. L’essere umano quindi non è solo un essere ‘loghikós’ (Aristotile), né solo un essere dialogico, in senso orizzontale, cioè con le altre creature. L’essere umano infatti è ormai da sempre elevato al dialogo con e nell’Assoluto stesso, poiché è stato reso partecipe della sua auto-comunicazione.

Occorre però aggiungere che, essendo l’essere umano un essere comunitario e storico (poiché è solo attraverso le dimensioni comunitarie e storiche che egli si realizza come tale), ne risulta che l’auto-comunicazione di Dio a questo essere umano concreto deve assumere necessariamente le dimensioni umane della comunità e della storia. La storia umana (e, si deve ben aggiungere, con essa la storia del cosmo tutto che viene riassunta e continuata in essa) assume allora, alla luce di tale verità, delle dimensioni nuove, sublimi, inimmaginabili al di fuori della rivelazione cristiana.

Per quanto riguarda la nostra presente riflessione occorre dire che Dio stesso ha voluto entrare come partner del dialogo umano, anzi del dialogo inter-umano, cioè della storia umana. Dio ha voluto rapportarsi all’essere umano non come una potenza cieca, assoluta, dominante dall’alto in modo univoco, come il fatum delle mitologie pagane. Egli invece ha voluto entrare come partner della storia umana per condurre l’essere umano, ed ogni singolo essere umano, alla sua pienezza, pur sempre nel rispetto assoluto della sua libertà, dato che Dio stesso è l’origine ed il fondamento della libertà umana.

Quindi tale auto-comunicazione di Dio deve essere vista come coestensiva a tutta la storia umana, non solo ma anche a tutta la storia dell’universo in quanto tale. Tutta la storia, umana e cosmica, è infatti una ‘storia di salvezza’ per tutti, dato che tale storia è radicalmente fondata nella realtà dell’auto-comunicazione divina, ed è orientata alla sua pienezza in essa. Di conseguenza la storia delle religioni in particolare non può essere letta, nella visione cristiana, come una storia neutra, quasi di pura natura, o puramente negativa, quasi un’opera demoniaca; visione negativa assai comune in passato. La storia delle religioni è necessariamente una ‘storia di salvezza’, perché essa è stata da sempre assunta nel cammino dell’auto-comunicazione storica di Dio all’umanità e della sua volontà assoluta di salvezza per tutti. Dio infatti, secondo il suo beneplacito, ha voluto elargire il suo dono in modi e tempi differenti: egli è infatti il Dio che, come afferma la Scrittura, “…in molti modi e in molte maniere ha parlato ai padri” (Ebr. 1, 1). Questo schema graduale, ‘pedagogico’ (secondo l’espressione dei Padri della Chiesa) della rivelazione divina è valido sia per quanto riguarda la storia particolare del popolo di Israele, quale preparazione immediata all’evento-avvento di Cristo, come pure in generale per la storia di tutta l’umanità. Questa storia umana infatti non si svolge al di fuori della volontà universale di salvezza da parte di Dio, ma essa è stata da sempre assunta in essa. Tutta la storia umana infatti è da sempre e per sempre una storia di grazia, fondata, sostenuta ed orientata dal dono di grazia, che è l’assoluta e gratuita auto-comunicazione di Dio. Tale dono infatti, secondo l’imperscrutabile volonta’ di Dio stesso, non è stato dato in un solo momento. Esso invece arriva a noi, punto questo che ci è chiarito dalla rivelazione divina nella storia, in tempi e momenti diversi, in una storia che avanza gradualmente verso la sua pienezza nei tempi e momenti che Dio solo conosce ed ha stabilito nella sua sapienza e nel suo amore. E siccome la fede cristiana proclama che Dio è amore (1 Giov. 4,8) tutta la storia umana trova in questo amore il suo fondamento primo e il suo termine ultimo.

La fede cristiana proclama inoltre che tale storia universale di salvezza, che include tutto il cosmo e tutta l’umanità, ha trovato la sua pienezza nell’evento unico di Cristo. In Lui Dio ha attuato il disegno primo ed lo scopo ultimo della sua volontà di salvezza, quello cioè di comunicare Se stesso in modo assoluto e definitivo all’essere umano in un evento che ne sia la realizzazione completa, insuperabile e definitiva. Gesù Cristo è infatti per la fede cristiana l’evento escatologico, insuperabile e definitivo dell’auto-comunicazione di Dio al mondo, e in questo senso Egli è il Salvatore assoluto. La fede cristiana proclama infatti che “in nessun altro nome c’è salvezza” (Atti, 4, 12), dato che è Lui, nella sua persona, la piena e completa realizzazione dell’auto-comunicazione di Dio voluta e destinata a tutta l’umanità, anzi a tutto il cosmo. Commenta K. Rahner:

“In questa oggettivizzazione, cioè appunto in Gesù Cristo, il Dio che comunica Se stesso e l’uomo che accetta l’auto-comunicazione di Dio diventano nel modo più irrevocabile uno, e la storia della rivelazione e salvezza di tutta l’umanità – a parte la questione della salvezza individuale – perviene alla sua meta”. xi

La fede cristiana a buona ragione quindi legge e comprende la storia religiosa dell’umanità, che è la storia del dialogo fra Dio e l’uomo, come storia di salvezza, cioè come storia dell’auto-comunicazione di Dio all’uomo che grado a grado giunge alla sua pienezza in Cristo. Tale auto-comunicazione ha, per usare la terminologia di Rahner, la sua origine ( Wovonher ), il suo fondamento ( Grund ) e il suo scopo ultimo ( Woraufhin ) nell’Assoluto stesso, cioè in Dio.

Quindi in ogni storia religiosa umana si può e si deve vedere la ‘luce del Verbo’, che ‘illumina ogni uomo’, e l’opera dello Spirito che ‘opera tutto in tutti’, poiché da sempre e per sempre tale storia umana è stata chiamata, potenziata ed elevata dal dono divino ad entrare nelle profondità del Mistero divino, che è il mistero della vita trinitaria.

2. Le dimensioni del dialogo interreligioso. 

Alla luce delle considerazioni fatte sopra riguardo alle radici e ai fondamenti del dialogo, si possono ora evidenziare con più chiarezza le dimensioni del dialogo interreligioso.

2-1- Dialogo nella storia umana. 

Occorre prima di tutto prendere coscienza del fatto che le comunità religiose non vivono isolate in se stesse, nel proprio mondo religioso, ma esse si collocano all’interno e sono parte di ciò che può essere chiamato il cammino umano o l’avventura umana in generale. L’uomo infatti è quell’essere che non solamente è, ma che porta dentro di sé un ‘progetto di essere’, un desiderio di realizzazione di sé oltre i limiti del suo essere attuale. La storia, o l’avventura umana, è appunto la storia della realizzazione dell’essere umano a tutti i livelli possibili nell’ambiente in cui si è venuto a trovare. Il rapporto fra l’essere umano e il suo ambiente costituisce di fatto il tessuto della storia dell’umanità. L’essere umano si è trovato fin dal suo inzio proiettato verso l’esplorazione ed il dominio del suo ambiente, si potrebbe dire alla ‘umanizzazione’ del suo ambiente. Tutta la storia umana, cioè la storia del lavoro, della cultura e delle civiltà umane, può e deve essere letta come il succedersi, attraverso lo spazio ed il tempo, dei vari tentativi della realizzazione del ‘progetto-uomo, o, in altre parole, come lo svolgersi dell’avventura umana attraverso il tempo nelle sue molteplici tappe e modalità.

In tale contesto è importante sottolineare che tutti ed ognuno in particolare, come esseri umani, siamo necessariamente implicati come parte, sia passiva che attiva, di questo processo. Nessuno è solamente uno spettatore esterno, nessuno è fuori del gioco, tutti siamo, volenti o nolenti, partecipi dello stesso destino umano.

In tale visione il dialogo antropologico fra culture e civiltà appare in tutta la sua importanza e serietà. Ogni cultura, ogni civiltà umana è sempre un frammento della realizzazione dell’essere umano, e quindi fa parte di ognuno di noi. A tale proposito dovrebbe essere preso come principio base per il rapporto inter-umano il famoso detto dello scrittore romano del II sec. A. C., Terenzio: “ Homo sum: nihil humani a me alienum puto ” – “Sono un essere umano: e nulla di ciò che è umano considero estraneo a me”. Questo detto esprime quello che può essere chiamato il principio del vero umanesimo, cioè dell’umanesimo universale, come opposto allo spirito tribale: nessun essere umano mi è estraneo. L’umanità infatti non è esclusiva o limitata ad un determinato gruppo umano, ma essa è comune a tutti i gruppi umani, e perciò ogni valore umano deve essere considerato patrimonio di tutta l’umanità. Di conseguenza, la perdita di un gruppo umano, come pure la perdita di alcuni valori umani, significa in realtà una perdita per tutta l’umanità.

Occorre notare però che la storia umana concreta, cioè l’incontro storico tra i vari popoli, tra le varie culture e civiltà umane, non è stato sempre un incontro pacifico. Scontri, conflitti, guerre di tutti i tipi, giustificati sotto i più vari pretesti, si sono susseguiti lungo tutto il cammino storico dell’uomo, cammino in cui accanto a grandi realizzazioni c’è stato un susseguirsi di immense tragedie umane. L’essere umano ha dimostrato di avere in sé un potenziale di violenza cui nessun animale selvaggio è mai arrivato. Questa realtà storica umana pone un serio interrogativo sulla impresa storica dell’umanità. L’aumentare della potenza fa aumentare necessariamente, come l’esperienza storica tragicamente testimonia, anche la capacità di distruzione e di morte dell’essere umano. La storia umana quindi si è svolta e continua a svolgersi sotto il segno di una profonda ambiguità : la realizzazione del progetto-uomo non è per nulla garantita.

Tutto questo deve portare ad una seria riconsiderazione del cammino umano. E’ tempo ormai che ogni uomo, e soprattutto i responsabili dei destini dei popoli, pensino seriamente ai mezzi con i quali è possibile abbattere la violenza umana, sradicarla dal cuore umano per poter costruire nuovi e pacifici rapporti tra i popoli.

La presente situazione di villaggio globale può offrire un’opportunità unica di pace per tutta l’umanità. Un dialogo serio e aperto fra le varie culture e civiltà umane appare ormai come il mezzo più necessario ed efficace per la realizzazione di una convivenza pacifica fra i quartieri del villaggio globale.xii Il fatto, ad esempio, che l’Europa, dopo secoli di terribili e devastanti guerre fra i suoi popoli per l’egemonia degli uni sugli altri, si sia avviata, da oltre mezzo secolo ormai e in modo stabile, ad una cooperazione prima, e poi ad una unione fra i suoi popoli, può essere visto come un segno ed una speranza anche per il resto del mondo. Anche per altri continenti quindi c’è la possibilità di realizzare delle comunità di popoli e nazioni, che superino i loro conflitti ancestrali per entrare in un rapporto di collaborazione pacifica. La guerra non è il necessario ed ineluttabile destino dell’umanità, come alcune filosofie della storia, che si vogliono realiste, vorrebbero suggerire! Ma un tale risultato positivo può essere ottenuto solo a patto di un cambiamento radicale di mentalità, cioè di una radicale conversione a livello personale e sociale.

Quindi è nel contesto del dialogo umano, o meglio inter-umano, che il dialogo interreligioso trova il suo posto e la sua estrema importanza. Il dialogo interreligioso è chiamato a portare una dimensione nuova e più profonda al primo, dato che esso si colloca al cuore del cammino umano. Il dialogo interreligioso infatti si colloca là dove l’essere umano si pone la domanda sul suo senso ultimo, cioè si interroga sulla origine prima, sul fondamento e sulla meta finale della sua esistenza e della sua storia, in una parola si pone la domanda sull’Assoluto.

2-2- Dialogo con il Dio della storia. 

La storia o l’avventura umana non può essere valutata a livello delle sole realizzazioni esteriori, cioè degli oggetti che l’uomo ha prodotto nei suoi differenti habitat. In altre parole, il ‘progetto-uomo’ non si esaurisce nei suoi prodotti esteriori. La storia umana è, e deve divenire sempre più, la storia dell’autorealizzazione dell’essere umano mediante la presa di coscienza sempre più totale del suo essere profondo e del suo destino ultimo. L’essere umano infatti nel suo movimento storico non esplora solamente il suo ambiente esterno, ma con esso esplora se stesso ponendosi la domanda fondamentale del senso della sua esistenza e cercando una risposta ad essa. Tale domanda lo mette inevitabilmente in rapporto con la sua origine prima e il suo fondamento ultimo, cioè l’Assoluto. Penetrando nel profondo di sé, l’essere umano si scopre come l’essere della trascendenza, cioè come l’essere chiamato all’incontro con Dio. E tale incontro, come è stato detto, è da sempre preceduto da e fondato sull’auto-comunicazione di Dio all’umanità. La storia umana quindi è da sempre anche una storia di Dio con l’umanità, è da sempre una proposta di salvezza da parte di Dio e una risposta, in libertà responsabile, da parte dell’uomo. La storia religiosa dell’umanità può quindi e deve essere letta alla luce del dialogo che Dio ha voluto instaurare con essa. Le religioni, in tutte le loro varie espressioni ed i loro molteplici simboli, descritti dalle scienze empiriche, storiche, sociali, psicologiche ecc., possono e devono essere in realtà comprese nel loro senso senso più profondo solo quando sono lette come storia di Dio con l’uomo e risposta dell’uomo alla chiamata di Dio: chiamata e risposte che fondano, costituiscono ed attraversano tutto il tessuto della storia religiosa dell’umanità.

Questa visione della storia umana come ‘storia universale di salvezza’ è quella che è stata proposta dal Concilio Vaticano II a tutta la Chiesa cattolica, riprendendo in questo alcune delle più profonde intuizioni che i Padri della Chiesa avevano elaborato a loro tempo. xiii

Alla tale luce di tale verità fondamentale, il pluralismo religioso che ha caratterizzato e caratterizza la storia dell’umanità non può essere visto come un fatto unicamente negativo, ma deve essere visto come un fatto voluto e guidato da una provvidenza di Dio. E’ su tale base che una nuova teologia del pluralismo religioso e della storia religiosa dell’umanità deve essere sviluppata, e con essa una corrispondente spiritualità deve essere coltivata. In questa visione le varie esperienze religiose dell’umanità non appaiono più come semplici esperienze umane, ma esse sono esperienze guidate dalla presenza di Dio, che si comunica all’umanità da sempre mediante la sua Parola ed il suo Spirito. In questa luce il linguaggio religioso umano, fatto di parole, gesti e simboli (esso è infatti un linguaggio che deve esprimere una realtà, la realtà di Dio, che non è un semplice oggetto tra gli oggetti), tale linguaggio religioso umano è da sempre carico di un senso, di una valenza e di un riferimento, cioè di un’intezionalità (nel senso letterale di ‘tensione a’) trascendente che sorpassa anche la coscienza esplicita, empirica di chi lo pone e lo usa. Esso è di fatto sempre un ‘linguaggio di Dio’, perché è un linguaggio preceduto, sorretto e guidato dall’auto-comunicazione di Dio.

Occorre sottolineare anche in questo contesto che la storia religiosa dell’umanità non è stata solo una storia positiva. Aspetti negativi manifesti in tutte le varie forme di superstizione, di violenza, di sopprusi ecc., ci sono stati e continuano a fare parte della realtà religiosa dell’umanità storica. In breve, anche la storia religiosa umana è stata di fatto anche una storia di peccato, e perciò una storia che si svolge sotto il segno di un’ambiguità ineluttabile. Ecco perché un serio discernimento critico sulle varie manifestazioni religiose della storia umana è necessario. La domanda che rimane alla fine del discorso religioso è proprio quella del ‘criterio’: qual’è (se c’è) il criterio in base al quale si può fare un discernimento critico della storia religiosa umana per togliere da essa l’ambiguità profonda tra bene e male che l’avvolge? Una simile domanda rimane sfida permanente per ogni religione. Essa è inevitabile e deve essere sempre tenuta presente in un serio dialogo interreligioso. Di fatto, molte sono le religioni, soprattutto quelle che avanzano delle pretese universalistiche (in ordine storico si può ricordare l’Induismo, il Buddismo, il Taoismo, il Giudaismo, il Cristianesimo, l’Islam, e molte altre), che hanno avanzato la pretesa di avere in sé tale ‘criterio ultimo’ che illumina il senso della storia religiosa dell’umanità, indicandone la meta ultima, un criterio cioè in base al quale si può esercitare un discernimento critico su tutta la storia religiosa dell’umanità. D’altra parte, il rifiutare l’esistenza di tale criterio, o il dichiarare semplicemente che ogni religione equivale ad un’altra e che non esiste nessun criterio assoluto in tale campo, questo significa in realtà dare sempre una risposta, anche se negativa, alla ineludibile domanda di fondo sul criterio delle religioni. Affermare l’assenza di criterio infatti è già affermare un criterio, cioè quello della sua assenza, così come il proclamare l’assenza di valori è già ammettere un criterio di valore, è appunto quello dell’assenza di valori. Il problema quindi non sta tanto nel rifiutare la questione del criterio, ma nel valutare qual’è il criterio che dia garanzia di non essere semplicemente una invenzione umana, ma abbia una validità più alta, perché basato su di una precisa volontà divina. Sembra infatti abbastanza ovvio che la storia religiosa dell’umanità come storia di Dio con l’umanità debba essere alla fine decisa non dall’uomo, ma da Dio stesso, dato che essa è alla fine la ‘storia di Dio’ con l’umanità. E’ in tale senso, nel contesto cioè della ricerca di tale ‘criterio divino’, che il dialogo interreligioso acquista tutta la sua importanza e serietà. Non si tratta semplicemente di scambiarsi delle informazioni religiose in campo neutro, in cui nessuno vuole compromettersi. Si tratta invece di decifrare insieme la storia di Dio con e nell’umanità. Quindi un vero dialogo interreligioso, che vada al di là dei semplici complimenti verbali, deve svolgersi sotto una domanda molto seria che non lascia alternative: che cos’è ciò che Dio vuole da noi? Dov’è che Egli ha rivelato la piena verità di Se stesso e della sua volontà assoluta? Certo ognuno risponde a tale domanda partendo dalla luce che gli è data, cioè dalla propria tradizione religiosa. Ma ognuno è pure chiamato ad aprirsi con umiltà e serietà alle luci che Dio ha dato agli altri. In tal senso si realizza la parola del Salmo: “Nella tua luce (cioè quella che ci hai dato nella nostra tradizione religiosa) vediamo la luce (che si può scrivere con la lettera maiuscola ‘Luce’, la tua Verità completa)” (Salmo 35/36, 10). Il dialogo interreligioso raggiunge il suo vero scopo quando si trasforma in una ricerca comune della verità divina nel suo aspetto più totale e comprensivo. E’ chiaro che un tale cammino comune richiede una profonda trasformazione delle persone in causa, richiede pure di mettersi tutti in una simpatia ed empatia profonde e reciproche, in un’apertura incondizionata di ognuno verso gli altri. Ma è tempo ormai di uscire dalle vecchie polemiche autocentriche e autoreferenziali in cui ogni religione si poneva in una posizione di difesa ed di attacco per provare la propria verità contro quella degli altri, partendo in genere con uno sguardo negativo, o per lo meno molto distorto e parziale, della religione dell’avversario. Sarebbe tempo ormai che con spirito libero ognuno cerchi di conoscere la ‘verità ‘ dell’altro, cioè come questi si vive e si autocomprende nella sua esperienza religiosa, per poi mettersi in un atteggiamento di comune discernimento per scoprire insieme la verità più vera e più comprensiva. Dialogare significa sempre anche camminare insieme e cercare insieme la verità totale. C’è infatti da sperare che partendo dalla propria luce e aprendosi alle luci degli altri, quindi partendo da tutto ciò che Dio ha fatto conoscere di Sé nella storia umana ‘in molti tempi e modi’, Dio farà arrivare tutti alla Luce totale che è la sorgente prima di tutte le luci, cioè a Sé stesso.

2-3- Dialogo nel Mistero trinitario. 

Il Cristianesimo, come abbiamo visto avanza insieme con molte altre religioni la pretesa di avere il criterio definitivo della storia religiosa dell’umanità. Nella visione cristiana la storia umana non è né un succedersi a caso, senza fine, di vari avvenimenti, né è il ripetersi periodico all’infinito degli stessi avvenimenti. Erede in questo della tradizione biblica, la fede cristiana crede e proclama che la storia umana è guidata da un progetto divino, essa cioè ha un principio e un/una fine ( telos ). Non solo, ma essa proclama anche che tale mistero ‘nascosto in Dio dai secoli’, che nessuna sapienza di questo mondo ha mai potuto né può conoscere, tale mistero è stato rivelato nella storia umana, nell’evento di Gesù Cristo. Egli è quindi per la fede cristiana la pienezza della rivelazione di Dio, perché è Dio nella sua vicinanza più assoluta alla storia umana, ed Egli è nello stesso tempo la risposta assoluta a tale offerta di salvezza storica realizzata nella sua pienezza. Gesù Cristo, nel mistero della sua realtà profonda di ‘Parola di Dio fatta carne’, è quindi per la fede cristiana l’avvenimento escatologico, cioè il definitivo ed insuperabile avvenimento dell’auto-comunicazione di Dio all’uomo: egli è perciò il ‘Salvatore assoluto’ e, di conseguenza, Gesù Cristo è il criterio assoluto per un discernimento critico della storia religiosa dell’umanità. La fede cristiana infatti proclama da sempre e per sempre che è lui che tornerà per ‘giudicare i vivi e i morti’, cioè tutta la storia umana passata e futura.

In questa affermazione la fede cristiana si sente chiamata a conciliare due verità ugualmente fondamentali e irrinunciabili. Da una parte la fede nell’amore assoluto ed universale di Dio per tutta l’umanità e in tutta la storia umana. In tale visione la fede cristiana afferma che nessun uomo è mai stato e ne sarà mai privato della possibilità dell’incontro con l’amore di Dio, e perciò della salvezza, e quindi della visione del ‘faccia a faccia’ con Dio, pena il contraddire l’assioma fondamentale del Cristianesimo stesso che ‘Dio è amore’ in senso assoluto, e quindi amore assoluto, gratuito ed incondizionato per tutti. Il Dio dell’amore assoluto infatti non può essere un Dio esclusivo, partigiano e parziale: “Dio, è forse Dio solo degli Ebrei? o anche dei Pagani? Sì, anche dei Pagani!”, esclama S. Paolo (Rom. 3, 29). D’altra parte l’evento-Cristo ha per la fede cristiana una posizione ed importanza unica ed insostituibile: è in Lui, e in Lui solo, che l’amore di Dio è stato manifestato e donato nella sua pienezza perché in Lui solo la ‘Parola eterna di Dio’ è divenuta ‘carne’, ha assunto cioè la natura umana in senso pieno e definitivo. E’ in Lui quindi che tutta la storia umana trova il suo senso definitivo, ‘salvifico’, in cui sarà radunata, ‘ricapitolata’, alla fine dei tempi,, nella ‘pienezza dei tempi’. Allora il Regno di Dio, cioe’ la sua auto-comunicazione alla sua creatura, sarà pienamente realizzato in Cristo, perché è in Lui che Dio sarà “tutto in tutti” (1 Cor. 15, 28).

E’ con tale perspettiva di fede che il cristiano entra in dialogo interreligioso. Egli non può mettere tra parentesi la sua verità, cioè la luce, che ha ricevuto, anche se dovrà proporre la sua visione non con ‘prepotenza’ (come è stato fatto molte volte nel passato), ma in umiltà e pazienza, senza atteggiamenti polemici ma sempre con un profondo senso di rispetto, di comprensione, di simpatia ed empatia verso la verità dell’altro, che egli sa provenire sempre dallo stesso Dio. Il cristiano infatti deve lasciare a Dio la scelta dei tempi e dei modi per farsi conoscere e accettare. E Dio, e la storia umana ce lo mostra abbondantemente, ha ‘preso e perso’ molto tempo, anzi una quantità incredible di tempo con l’uomo e la sua storia, per rispettare in modo assoluto la libertà del suo cammino verso di Lui. Quindi non ci dovrebbe essere, in linea di principio, nessun inconveniente se anche noi ‘prendiamo e perdiamo’ tempo per dialogare con gli uomini, nel rispetto assoluto dei tempi e dei modi di Dio, cioè nella ‘pazienza di Dio’.

In tale ‘pazienza divina’ il cristiano guarda alla storia umana con occhi nuovi, cioè alla luce della rivelazione di Dio in Cristo. In tal modo il cristiano entra sempre più nella visione di Dio, nel mistero cioè della sua auto-comunicazione all’umanità, auto-comunicazione che significa in definitiva, come abbiamo visto, la partecipazione alla vita divina, cioè alla comunione trinitaria. In questa comunione infatti tutta la storia umana è stata assunta ed in essa è destinata ad entrare per giungere alla sua pienezza. Esiste quindi una reale ‘storia della Trinità ‘ con tutta l’umanità, ed essa può e deve essere decifrata in una lettura attenta dell’opera di Dio nel cuore di ogni religione e di ogni uomo in essa. Tuttavia la fede cristiana afferma che è solo nell’evento-avvento di Cristo che tale storia trova la sua piena realizzazione e compimento, dato che in Lui l’auto-comunicazione divina è giunta alla sua pienezza. Cristo infatti è la porta che conduce tutti alla comunione divina, facendo entrare l’umanità e tutta la creazione nel suo dialogo eterno col Padre nello Spirito, cioè nell’eterna comunione di vita e di beatitudine che costitutisce il mistero della vita trinitaria. Questo è quanto afferma S. Giovanni all’inizio della sua prima lettera con parole semplici e profonde in cui esprime l’essenza della sua esperienza cristiana e dell’annuncio di salvezza:

“Ciò che era fin dall’inizio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che i nostri occhi hanno contemplato, ciò che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita – sì, perché la Vita si è manifestata, e noi l’abbiamo vista e ne portiamo testimonianza, e noi vi annunciamo la Vita eterna che era presso il Padre e che si è manifestata a noi -; ciò che noi abbiamo visto e udito questo noi vi annunciamo, affinché voi pure siate in comunione con noi. La nostra comunione poi è col Padre e il suo Figlio Gesù Cristo” (1 Giov. 1, 1-3).

Guardata da questo punto di arrivo la dimensione dialogica che anima tutto l’essere, nella sua singolarità e nella sua totalità, dimensione che avvolge ed attraversa tutta la storia umana spingendola verso orrizzonti sempre più ampi e abissi sempre più profondi, tale dimensione dialogica appare quindi ora come l’impronta, il riflesso o meglio l’irradiazione del Mistero che sta al cuore stesso dell’Essere: cioè il Mistero della comunione eterna della Trinità, da cui tutto viene e a cui tutto ritorna.

2-4- Dialogo tra croce e risurrezione. 

Occorre infine mettere in luce in questo contesto che il dialogo teologico, che come abbiamo visto è il cuore stesso del dialogo interumano, non si è svolto né si svolge in modo idillicamente pacifico. La possibilità del rifiuto della luce, dell’ostinazione nel male fino al puro odio per la verità e per l’amore divini, sono realtà presenti da sempre e sempre possibili nella nostra concretezza umana. La storia umana è stata e continua ad essere anche una storia di rifiuto della luce, di ostinazione nel male, di odio per la verità. A tale situazione umana la risposta di Dio non è stata il rifiuto, o la rottura dei suoi rapporti con l’umanità ostinata e peccatrice. Anzi, e questo fa pure parte da sempre dell’annuncio cristiano, il peccato è stato l’occasione della manifestazione del suo amore in modo piu’ sovrabbondante fino ‘all’estremo’ (come afferma Giovanni). La fede cristiana crede e proclama infatti che la croce di Gesù Cristo è stato l’evento della manifestazione di tale amore divino, perdonante e misericordioso fino ‘all’estremo’, e che proprio in tale amore donato per ‘i vicini ed i lontani’ la salvezza è offerta a tutti. La croce indica quindi un’importante dimensione del dialogo teologico e religioso. Non si può entrare in un serio dialogo interreligioso se uno non è disposto ad amare l’altro fino ‘alla dimensione della croce’, cioè con le più profonde disposizioni di perdono, riconciliazione e amore. Il dialogo umano deve quindi essere fatto il più possibile ad ‘immagine del dialogo divino’. E come la croce di Cristo è per la fede cristiana la vittoria finale dell’amore di Dio contro le potenze del male, cioè l’avvenimento escatologico di salvezza per tutti che si e’ manifestato nella risurrezione, così essa crede che il dialogo portato fino all’estremo dell’amore, ad immagine del crocifisso, sarà per tutti un dono di salvezza che porta alla vittoria sul male, e quindi alla risurrezione.

3. Le vie del dialogo interreligioso. 

3-1. Il dialogo interreligioso nella storia. 

Occorre prima di tutto dire che il dialogo interreligioso non è una novità assoluta nella storia umana; sappiamo infatti che molte forme di dialogo interreligioso sono avvenute nel passato. Occorre ricordare prima di tutto che i predicatori delle grandi religioni dell’umanità (si pensi ai saggi delle Upanishd indù, a Confucio, a Budda, a Cristo, a Maometto) furono grandi uomini di dialogo. La loro predicazione è avvenuta per lo più in uno scambio continuo, fino al confronto, con la gente del loro tempo. Tale forma dialogica è stata preservata negli scritti che riportano le loro predicazioni, ed in seguito è stata imitata dai loro successori. In tal modo la forma del dialogo è divenuta molto comune nella letteratura religiosa di tutti i tempi, fino a costituire un vero e proprio genere, il dialogo religioso appunto, distinto e parallelo ad altri generi come la poesia ed il trattato, ecc. Molti sono gli esempi famosi di dialoghi religiosi registrati nella storia umana. Ricordiamo prima di tutto il libri delle Upanishd e il poema epico la Baghavadgîta nella letteratura Induista, e sulla scia di questa la ricca letteratura buddhista che ha sviluppato in modo molto acuto la tecnica del dialogo. Nella letteratuta cinese famosi sono rimasti i dialoghi di Confucio. La forma del dialogo ricorre poi lungo tutta la rivelazione biblica. I Vangeli, ad esempio, sono molte volte radatti in forma di dialogo fra Gesù e le persone che incontrava sul suo cammino. Anche la letteratura rabbinica posteriore ha pure continuato e sviluppato una raffinata tecnica di dialogo. E in parallelo ad essa, la forma del dialogo è stata ampiamente adottata dagli scrittori cristiani come tecnica per esporre le verità della fede cristiana.

Tuttavia, nonostante la innegabile ricchezza e la grande varietà del dialogo religioso nella storia passata, occorre sottolineare che esso ha senza dubbio assunto e sviluppato dei caratteri nuovi nell’epoca moderna .

Si può facilmente osservare che i dialoghi del passato avvenivano per lo più fra il Maestro, che possedeva ed insegnava la verità, e i suoi discepoli, che da lui imparavano. Il dialogo era più una tecnica di insegnamento che un vero scambio ed incontro di opinioni, pareri e fedi diversi. Con gli avversari, il dialogo prendeva molte volte la forma della controversia per provare la giustezza della propria opinione e confutare quella dell’avversario. Anche quando persone concrete si incontravano (si pensi ai famosi dialoghi fra cristiani e musulmani alle corti dei califfi e dei principi musulmani a Baghdad e nella Spagna araba) le condizioni di vita erano tali che non permettevano una vera e totale libertà di espressione e di critica. La parte debole, politicamente e socialmente, poteva esprimere il suo punto di vista in modo molto condizionato e prudente, pena rappresaglie a livello politico-sociale, come appare appunto dai resoconti storici dell’epoca.

Nell’epoca moderna, e soprattutto ora, nella presente epoca della globalizzazione, la situazione esistenziale umana è e deve essere, radicalmente cambiata. Ora si possono e si devono creare delle condizioni per cui tutti i partner del dialogo si sentano ad un medesimo livello di rispetto e di libertà, per cui possono esprimere il loro pensiero senza tanti condizionamenti esteriori. Ma soprattutto ora c’è una base culturale assai ampia e comune per cui si può superare il livello della disputa e della controversia apologetiche per inoltrarsi, come abbiamo detto più volte nel corso delle nostre riflessioni, nel campo della reciproca comprensione. Lo sforzo dovrebbe ora essere orientato non tanto nel vincere l’avversario quanto nel comprendere in profondità l’altro come compagno di un viaggio comune verso la verità sempre più ampia e sempre più totale. A tale scopo una nuova mentalità deve essere creata, cosa questa, occorre ammetterlo francamente, non ancora facile in molti ambienti religiosi, cristiani e non.

Una vera mentalità di dialogo può di fatto svilupparsi solo in una reale pratica di dialogo. Solo allora gli ‘altri’ non appariranno più come dei ‘lontani’, degli estranei, se non addirittura dei nemici, ma come vicini, compagni ed alla fine amici di viaggio. L’epoca moderna ha visto vari tentativi di incontro diretto delle religioni mondiali. Occorre in qualche modo socializzare in modo più franco e chiaro con i nostri compagni di viaggio sul comune cammino delle fedi religiose.

Famosa è rimasta la prima riunione delle religioni mondiali tenuta dal cosidetto ‘Parlamento mondiale delle Religioni ( World Parliament of Religions ) radunatosi a Chicago nel 1893, in cui un gran numero di religioni mondiali si incontrarono. L’intento fu chiaramente quello di mettere ogni religione in stato di assoluta parità con le altre, in uno scambio ad armi pari. Questo è stato senz’altro uno dei primi tentativi per realizzare un incontro di religioni ‘alla pari’. Altri tentativi ci sono stati in seguito, soprattutto fra le due guerre mondiali, con l’intento di fare della religione uno strumento di pace fra i popoli, anche se ciò, come la storia provò, fu invano.

Dopo la seconda guerra mondiale c’è stata infatti una forte ripresa del dialogo interreligioso sentito come una necessità sempre più impellente per il bene di tutta l’umanità. La Chiesa cattolica ha accolto infine tale ‘segno dei tempi’, e nel Concilio Vaticano II, vincendo molte resistenze interne, ha lanciato il dialogo interreligioso proponendolo ai cattolici come uno degli impegni principali della Chiesa nel nostro tempo. Da allora moltissime sono state le iniziative di dialogo che si sono sviluppate a tutti i livelli.

A cavallo dei due millenni, l’umanità è entrata in un’epoca nuova, l’epoca della globalizzazione. Si spera che in essa il dialogo sia destinato a diventare sempre più una delle caratteristiche basilari di un nuovo tipo di umanità, un’umanità che sappia superare le proprie frontiere e i propri complessi tribali per aprirsi agli altri in atteggiamento di mutuo rispetto e comprensione. Le religioni sono chiamate infatti a dare un contributo importante all’uomo ‘globale’, per far sì che la globalizzazione della nostra epoca possa risultare alla fine in una reale ‘umanizzazione’ dell’umanità e non nel suo contrario. E non c’è dubbio che un dialogo serio e sincero fra le culture e le religioni rimane uno dei mezzi più importanti per la realizzazione di tale impresa.

3-2. Forme di dialogo. 

I documenti della Chiesa più che elaborare una teologia o una teoria del dialogo si sono preoccupati di dare delle indicazioni per un dialogo concreto fra persone di fedi differenti. Nel documento Dialogo ed Annuncio (1991) (forse il più completo in materia) al n. 42 vengono suggerite quattro forme o livelli di dialogo, che sono divenuti da allora un punto di riferimento e di orientamento per le riflessioni e gli incontri avvenuti in seguito. Il documento formula tali forme di dialogo nei seguenti termini:

a. Il dialogo della vita , dove le persone si sforzano di vivere in uno spirito di apertura e di buon vicinato, condividendo le loro gioie e le loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni.

b. Il dialogo delle opere , dove i cristiani e gli altri collaborano in vista dello sviluppo integrale e della liberazione della gente.

c. Il dialogo degli scambi teologici , dove gli esperti cercano di approfondire la comprensione delle loro rispettive eredità religiose e di apprezzare i valori spirituali gli uni degli altri.

d. Il dialogo dell’esperienza religiosa , dove persone radicate nelle proprie tradizioni religiose condividono le loro ricchezze spirituali, per esempio per ciò che riguarda la preghiera e la contemplazione, la fede e le vie della ricerca di Dio o dell’Assoluto. xiv

Il documento non vuole essere né esaustivo né sistematico, però è chiara in esso l’indicazione che il dialogo deve coinvolgere tutti i piani dell’esistenza umana, sia a livello individuale che sociale.

In conclusione, riassumendo le riflessioni sopra presentate, si può dire che il dialogo interreligioso tocca il cuore di ogni religione. Dialogare sul piano religioso significa infatti mettersi a contatto con i due misteri più profondi da cui scaturisce e su cui poggia l’esistenza umana. Da una parte c’è il mistero di Dio, nella sua assoluta trascendenza e libertà : Egli sta sempre al di là di ogni formulazione umana. Anche i dogmi che riguardano Dio, non possono essere presi come delle descrizioni o definizioni di Dio, ma solo come indicazioni verso cui orientare la propria fede, e come vie con cui mettersi in comunione col suo mistero, che è sempre un mistero di amore infinito. Dall’altra parte stà il mistero della persona umana, nella sua libertà, limitata sì ma altrettanto profonda e reale. Il cuore umano, sempre mosso nel suo profondo dal desiderio più o meno conscio di incontrare il senso della sua esistenza, cioè l’Assoluto, rimane esso pure avvolto nella sua libertà da un mistero in cui nessuno può penetrare se non l’Assoluto stesso. Dio solo infatti può scandagliare il mistero del cuore umano poiché Egli lo ha creato a sua ‘immagine e somiglianza’. Il dialogo interreligioso significa alla fine l’incontro di questi due misteri: il mistero di Dio e il mistero dell’uomo. Solo chi ha il senso di questi due misteri può entrare in un vero dialogo interreligioso, senza banalizzarlo in vuote chiacchere. Solo per chi ha il senso di questi due misteri entrare nel dialogo interreligioso significherà entrare sempre più nel buio luminoso del mistero di Dio, e quindi nella sua beatitudine.

3-3. Spunti per un dialogo con l’Islam. 

Il dialogo con l’Islam rappresenta certamente una sfida particolare, data l’eredità storica di scontri e guerre che hanno opposto i due mondi, il cristiano e l’islamico. Da molte parti si sente ormai vivo il desiderio di superare i molti pregiudizi reciproci che esistono nei due campi come retaggio delle astiose polemiche del passato. Molti passi sono stati fatti negli ultimi anni, ma molto sicuramente resta da fare per poter entrare in una reciproca comprensione fatta di rispetto, di ricerca della verità e di simpatia reciproca.

Oltre alle indicazioni sopra accennate, che si trovano nei documenti ufficiali della Chiesa, ci sono altre indicazioni utili fornite da molte altre fonti. Può essere utile, ad esempio, prendere in considerazione le sfide comuni che le religioni del nostro tempo devono affrontare, come rivisitare il proprio messaggio originale, confrontarsi con la modernità, mettersi in dialogo con le altre religioni, impegnarsi per la giustizia nel mondo.xv Qui intendo invece evidenziare tre aspetti o tre campi che mi sembrano particolarmente importanti per il dialogo islamo-cristiano.

a. Il campo della ragione o dell’investigazione razionale. 

La storia mostra come in questo campo ci sono stati importanti scambi nel passato tra il mondo cristiano e quello islamico. Si pensi all’influenza della filosofia araba sul pensiero cristiano nel medioevo, e quello del pensiero moderno sul pensiero islamico contemporaneo. La ragione rappresenta senza dubbio una base comune su cui persone animate da buona volontà possono e devono incontrarsi. La ragione umana infatti è non è un privilegio di alcuni, ma un patrimonio comune a tutti gli esseri umani in quanto tali, al di là delle loro differenze culturali, e quindi essa è e deve rappresentare un punto di incontro fra di essi. Un buon e sano uso della ragione fatto da tutte le parti, e soprattutto ora aiutato da metodi di ricerca scientifici accettati e approvati da tutti, può aiutare senz’altro a superare molti pregiudizi storici ed a fare incontrare le persone in una mutua comprensione. Soprattutto nel campo della ricerca storica, credo, siamo giunti ad un punto per cui si possono e si devono superare molte rappresentazioni ‘mitologiche’ della propria e dell’altrui storia, miti che hanno condizionato la mente umana per secoli e che molte volte sono stati le fonti delle ideologie del fanatismo di tutti i tipi e colori. E, come il confronto del cristianesimo e del giudaismo con la critica razionale moderna può dimostrare abbondantemente, un accostamento più scientifico alla propria storia, anche sacra, non diminuisce per nulla il suo contenuto profondo di rivelazione e di fede. Anzi, tale accostamento scientifico conduce ad una fede più adulta e matura. Credo che nell’incontro con l’Islam occorra insistere su di un accostamento razionale critico della propria storia, anche di quella del suo momento fondante, cioè della rivelazione. Tale accostamento critico può liberare la mente da tanti miti che bloccano un vero scambio fra l’Islam e le altre religioni.

b. Il campo del pensiero teologico. 

Anche il campo del pensiero teologico può rappresentare, a dispetto delle acrimoniose polemiche del passato, un campo di incontro. Una seria riflessione sulla propria ed altrui fede, fatta alla luce di una sana ragione, mette in luce delle problematiche comuni che i credenti delle differenti fedi religiose devono affrontare e che le formulazioni dogmatiche indicano, ma non risolvono. Anche qui un accostamento più scientifico alla riflessione teologica può liberare la mente dall’idolatria delle formule teologiche. Non si nega certamente l’importanza che le formulazioni teologiche hanno per l’espressione della propria fede, ma esse non possono né devono essere prese come definizioni del Mistero di Dio. Anzi quelle formulazioni teologiche contengono delle problematiche di fondo che sono lontane da essere risolte sul piano razionale. Si pensi, ad esempio, alle problematiche che riguardano l’unità ed la pluralità in Dio. Esso è presente nel pensiero cristiano nel dogma della Trinità, ma esso è presente pure nel pensiero islamico nella questione della molteplicità degli attributi divini e del loro rapporto con l’unica e semplice essenza divina. Nonostante le accese e lunghissime polemiche del passato, le varie formulazioni teologiche cui sono approdate tali discussioni sono ben lontane dall’aver risolto il problema; esse hanno solo indicato un Mistero, che sta sempre al di là di ogni formulazione umana, e che sarà risolto in realtà solo alla fine della storia, nella visione del ‘faccia a faccia’. Si pensi anche al mistero della libertà umana nel suo rapporto con l’onnipotenza divina, mistero che pure ha fatto scorrere fiumi di inchiostro da tutte le parti senza che nessuno possa dire di averne trovato la chiara soluzione finale. Sono problematiche queste che fanno toccare a tutti i contendenti la limitatezza della comprensione e dell’espressioni umane. E la costatazione del comune limite umano dovrebbe rendere ciascuno dei dialoganti più umile, liberandolo da certo tipo di dogmatismo borioso e vanitoso, fonte di fanatismo e polemiche. Ognuno dovrebbe giungere all’umile accettazione della luce che può venirgli anche dall’altra parte, accettando che questa possa dargli qualche lume per risolvere in parte almeno delle problematiche comuni e che appaiono irrisolvibili sul piano razionale. Bisogna però riconoscere che questo aspetto non è stato tanto sviluppato nel passato, e che superare lo spirito di polemica e controversia rimane ancora un’impresa difficile per molti. Molti vi vedono il pericolo di perdere la propria identità, di tradire la verità ecc. Ma il vero motivo di tale paura è in realtà la poca apertura verso la totale verità di Dio, limitandosi al proprio sicuro tribalismo religioso. Ora però, soprattutto alla luce dello sviluppo delle scienze religiose comparate, dovrebbe risultare più facile guardare al di là dei propri confini, dei propri steccati tribali, per mettersi in un nuovo rapporto di incontro e di comprensione con l’altro che ci sta di fronte.

c. Il campo dell’esperienza spirituale o mistica .

Qui siamo ad un livello che sta chiaramente al di là di ogni formulazione logico-razionale. Qui si tratta infatti prima di tutto di esperienza, di un’esperienza personale, esistenziale in cui la persona umana entra in contatto col Mistero divino. In tale incontro, come le testimonianze dei mistici di tutte le religioni rivelano chiaramente, accadono delle cose ‘che nessun occhio umano ha visto e nessun orecchio umano ha udito’. I mistici che hanno avuto un vera esperienza di contatto con Dio hanno sperimentato un superamento di tutti i limiti in cui le nostre esistenze umane sono immerse ed incatenate. Là ‘solo lo Spirito è legge’ diceva S. Giovanni della Croce; là l’essere umano si riveste degli attributi divini, dicono i mistici musulmani. In ogni caso i mistici parlano in un linguaggio che solo chi ha avuto tale esperienza può capire. A questo punto bisogna che l’arroganza della ragione umana si arresti, lasciando spazio alle intuizioni del cuore. A questo punto bisogna avere il coraggio di lasciare parlare tranquillamente il proprio cuore, senza la paura che ‘la testa del mistico cada sotto la penna di qualche giudice’, come i sufi, eruditi da tragiche esperienze storiche, hanno affermato. A questo punto occorre che i mistici si incontrino ‘cuore a cuore’ in libertà e spontaneità, ed essi troveranno forme di incontro che superano le vie della ragione. Tipico a tal riguardo fu l’incontro del monaco cristiano, Thomas Merton, con il leader buddista, il Dalai Lama, descritto da Merton nel suo ultimo scritto The Asian Journal.xvi Era la prima volta che i due si incontravano, eppure fu come si fossero conosciuti da sempre. Questa è forse la più alta forma di dialogo religioso, e quella che ne realizza veramente lo scopo, quello cioè di portare i dialoganti a contatto col Mistero stesso di Dio. Nel passato non ci sono stati grandi esempi a proposito. Ogni santo si è sviluppato all’interno della sua tradizione religiosa, anche se nelle sue profondità egli ha ben ben sperimentato il Mistero divino che supera tutte le formulazioni. Occorre che ora le varie esperienze mistiche escano in qualche modo allo scoperto, aprendosi le une alle altre, con grande rispetto e comprensione. Il vero mistico del futuro, si può dire, non potrà più essere tale solo per la sua tradizione religiosa, ma dovrà essere uno che si è aperto ed è andato incontro alla presenza del Mistero divino che esiste anche nelle altre tradizioni religiose, ed è quindi diventato in qualche modo ‘il fratello universale’ che tutti hanno riconosciuto, sentito e amato come tale. Alcuni esempi recenti come la suora Madre Teresa di Calcutta (m. 1998) e il monaco benedettino Bede Griffiths (m. 1993), provano che la santità può essere riconosciuta anche al di fuori delle proprie appartenenze confessionali. Essi sono quindi dei segni di un cammino nuovo, che si spera diventerà sempre più frequente nel futuro. xvii

4. Conclusione

Siamo entrati ormai in un tempo nuovo della storia umana in cui il dialogo a tutti i livelli appare ormai sempre più come una dimensione necessaria ed irreversibile della nostra esistenza umana. Solo quella religione e quella cultura che saranno capaci di maggior dialogo ed apertura verso ‘l’altro da sé’ potranno sperare di apportare un contributo positivo alla nuova era che si sta aprendo per tutta l’umanità. Questa apertura illimitata e reciproca sembra essere l’unica alternativa per superare i conflitti tribali che hanno afflitto l’umanità fin dal suo sorgere, e che lungo tutta la sua storia sono stati la causa di infinite tragedie.

Cristo chiamando i suoi discepoli a seguirlo comandò loro di gettare le reti nel mare per pescare, e, come dice il Vangelo, essi catturarono ogni genere di pesci. Questo appello è rivolto anche a noi, nel nostro tempo: siamo invitati a gettare le reti del dialogo, nonostante tutte le apparenze contrarie, fiduciosi che questa rete sarà parte della rete del ‘Regno di Dio’, che, come dice il Vangelo, raccoglie ogni genere di pesci. Non sta a noi giudicare e separare ora, nel nostro tempo presente; tale compito spetta a Dio solo nei tempi e modi che Egli ritiene più opportuni. A noi ora spetta solo gettare la rete, operando “la verità nell’amore” (Ef. 4, 15), per far crescere il seme del Regno di Dio che opera nelle profondità di tutta la storia umana e di ogni singola persona umana, facendo in modo che il tutto cammini verso la sua maturazione finale, cioè verso la fine dei tempi quando Dio sarà “tutto in tutti” (1 Cor. 15, 28), e noi potremo vederlo “faccia a faccia” così “come Egli è” (1 Giov. 3, 1).

P. Giuseppe Scattolin


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NOTE:

i) P. Giuseppe Scattolin, missionario comboniano, e’ attualmente professore di mistica islamica all’Universita’ Gregoriana e al PISAI (Roma). Questo articolo e’ preso dal suo libro Islam e dialogo, EMI, Bologna, 2004, pp. 11-52.

ii) Per un’introduzione generale al tema dialogo vedi Eric J. Sharpe, “Dialogue of Religions”, in The Encyclopedia of Religion, Mircea Eliade (ed.), New York-London: Macmillan, 1987, vol. 4, 344b-348a.

iii) Sul tema logos vedi Felix J. Oinas, “Logos”, in The Encyclopedia of Religion, Mircea Eliade (ed.), New York-London: Macmillan, 1987, vol. 9, 9b-15b.

iv) Martin Buber, Il principio dialogico ed altri saggi, San Paolo, Milano, 1993. Emmanuel Levinas, Totalité et infini (1961), MalinnuNijhoff, Paris, 1971 (tr. it. Totalita’ ed infinito, Jaca Book, Milano, 1980); id., Humanisme de l’autre homme, (1972), Fata Morgana, Paris, 1972 (tr. it. Umanesimo dell’altro, Il Melangolo, Genova, 1985).

v) Le presenti riflessioni si ispirano in gran parte al pensiero teologico di Karl Rahner; in particolare il suo Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Roma, 3a. ed. 1978 (=CFF); trad. inglese Foundations of Christian Faith: An Introduction to the Idea of Christianity,, transl. by William Dych, New York, Crossroad, 1999 (1st ed. 1978) (= FCF ), ed. ted. Grundkurs des Glaubens – Einfürhung in den Begriff des Christentums, Herder Verlag, Freiburg im Breisgau, 1976 (= GdG ). Nelle traduzioni ho tenuto presente i tre testi, tedesco, italiano ed inglese per cercare di riprodurre in italiano il difficile linguaggio rahneriano.

vi)GdG p. 35, CFF p. 53, FCF, p. 30.

vii) GdG p. 36, CFF p. 55, FCF, p. 32.

viii)GdG p. 39, CFF p. 59, FCF, p. 35. .

ix) GdG p. 123, CFF p. 171, FCF, p. 123. .

x) GdG p. 116, CFF p. 161, FCF, p. 116.

xi) GdG p. 166, CFF p. 227, p. 169 .

xii) Di questo abbiamo trattato in ‘L’Islam ed il futuro della religione: riflessioni e prospettive’, in Asia News 6 (1995) 47-55; e come ‘ Islam: i contrasti e le interpretazioni’, in Il Regno 8 (1995) 251-255, ripreso in ‘L’islam nel villaggio globale’, in Islam nella globalizzazione, EMI, Bologna, 2004, pp. 63-92.

xiii) Per la posizione della Chiesa cattolica a riguardo del dialogo interrelgioso vedi la raccolta dei documenti del Magistero in Francesco Gioia (ed.), Il dialogo interreligioso nel magistero pontificio (Documenti 1963-1993), Citta’ del Vaticano, Libreria Citta’ del Vaticano, 1994; in inglese id., Interreligious Dialogue – The Official Teaching of the Catholic Church (1963-1995), Boston, Pauline, 1997; in francese, Le dialogue interreligieux dans l’enseignement de l’Eglise Catholique (1963-1997), Éditions de Solesmes, Paris, 1998.

xiv) Il dialogo interreligioso p. 716.

xv) vedi nota 11.

xvi) Thomas Merthon, The Asian Journal of Thomas Merthon, Brother Patrick et alii (ed.), New York, New Directions Books, 1973, 100-125.

xvii) Di questo abbiamo trattato in “Spirituality in Interreligious Dialogue: Challenge and Promise’, in Encounter 274 (April, 2001) 3-12; id., in SEDOS Bulletin 34/1 (January, 2002) 12-18, ripreso in ‘Spiritualita’ nel dialogo interreligioso – Una sfida e una promessa’, in Islam e dialogo, o. c., pp. 53-80.


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