L’entanglement e il Grande Orologiaio

Giuseppe Lampis

Entanglement, intrico.

Nel 1935 Schrödinger chiamò con questo nome un fenomeno di correlazione istantanea fra particelle che non erano in contatto diretto. Una correlazione « senza » interazione. Determinati mutamenti di una particella si osservavano istantaneamente in un’altra senza che fra le due fosse intervenuto alcun contatto.

Il fenomeno rese impellente un riesame dei principi della teoria quantistica, vale a dire dei fondamenti della visione della realtà elaborata dalla scienza.

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Sarebbe da verificare se nella nozione dell’entanglement non si riaffacci l’antica idea del grande orologiaio. O anche della creazione ripetuta di continuo della gnosi sciita ismailita (v. Corbin).

Mandala della cosmologia del Monte Meru
Mandala della cosmologia del Monte Meru

In breve, delle varianti della dottrina che non riconduce il nesso fra gli eventi – che appaiono separati – all’aristotelico rapporto di causa e effetto, bensì a un atto primario di impostazione che li comprende tutti anticipandoli in sé.

Intendo la dottrina secondo la quale dio avrebbe creato l’insieme degli enti regolando ab initio l’orologio di ognuno in modo da intrecciare armonicamente movimenti e mutamenti reciproci. Così, non sarebbe la mia volontà a causare che il mio braccio si sollevi, ma è dio ad aver programmato il braccio in modo che si alzi proprio nell’attimo in cui io lo voglio alzare.

La tesi si è presentata presso alcuni seguaci di Cartesius nel XVII secolo, prima con l’olandese Geulincx e poi con il francese Malebranche, ambedue approdati a una forma di misticismo, e si ritrova nell’architettura matematica di Leibniz.

L’idea è però molto più antica, dobbiamo risalire almeno al Timeo di Platone e al pitagorismo. In Europa entra attraverso la speculazione islamica.

L’unità dell’universo, per essa, non è dovuta a una catena di cause ed effetti, quale a noi appare erroneamente. Non c’è alcun contatto che si ripercuota a scala da un ente nell’altro, il coordinamento ordinato è il risultato di una sincronia originaria impostata dal principio creatore.

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Sarebbe perciò da verificare se nell’entanglement delle particelle elementari subatomiche non si riaffacci l’antica affermazione.

L’entanglement, dicevo, è il fenomeno secondo cui questi centri di energia, anche se disposti a grandissime distanze, mutano in sincronia senza avere stabilito contatti e senza trasmettersi alcun segnale. (Sincronia non è nesso di causa ed effetto.)

Le particelle sono entangled, intrecciate, impigliate. Quasi provengano da un compatto primordiale da cui non si sono mai sciolte. La correlazione colta dalla fisica tocca il cuore del problema della legge per cui i molti separati e distinti sono tuttavia uno.

Sembra doversi concludere che l’universo del discreto e del discontinuo, « ta panta – tutto questo », sia iperconcentrato in un punto denso nel quale il grande e grandissimo è altresì piccolo e piccolissimo.

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Inoltre c’è qualcosa di più radicale e suggestivo nel fenomeno dell’entanglement.

Finora abbiamo parlato di coincidenza di stati e proprietà fra gli enti elementari oltre le distanze locali, spaziali. Ma lo spazio della fisica einsteiniana non è lo spazio euclideo, contenitore indifferenziato di oggetti–sostanze, è un campo di forze quadrimensionale, spazio–tempo. Sicché la distanza di cui si parla è anche distanza nel tempo.

In altri termini, i centri di energia basilari del mondo (e naturalmente dell’uomo) possono stare, a determinate condizioni, in una particolare relazione oltre lo spazio e oltre il tempo. Una relazione di questo genere, non essendo (o non apparendo) diretta, spinge all’ipotesi che siano componenti di una unità reale sovrastante.

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Tale conclusione stava nell’« infinito in atto » rappresentato dalla monade di Leibniz. Nell’infinito in atto, infatti, microcosmo e macrocosmo si corrispondono. In esso le singole parti (le monadi, che sono centri dinamici e non enti statici) si implicano e coesistono tutte assieme nell’istante.

Non saprei dove, e se, la posizione di Leibniz, nella quale pure confluivano pensieri di Cusano e Bruno, abbia trovato sviluppi.

La fisica sta di fronte al problema della totalità o dell’infinito. Il concetto di infinito ha sollevato forti problemi e paradossi variamente affrontati da Galilei a Cantor a Russell. E la ricerca si ripercuote sugli scenari cosmologici via via discussi, e discutibili.

Peraltro, oltre che nel concetto di infinito in atto, la totalità è pensata in quello di insieme e in quello di campo. Ad ogni modo, è fin troppo ovvio che i processi di approfondimento della fisica hanno bisogno delle evoluzioni della matematica e della logica.

Frattanto, gli scienziati, giunti al tema dei massimi sistemi e dell’essere, rileggono i filosofi greci. Einstein ha insistentemente affermato di seguire Parmenide.

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La fisica, dunque, convinta che l’universo sia una rete unitaria di energia, cerca di trovare la formula che valga per ogni dimensione. La fisica sa che i vari piani, la costituzione e il movimento dell’universo e la costituzione e il movimento delle particelle elementari, si corrispondono e che sono uno « stesso » ma non ha ancora risolto il perché.

Proponendosi in essa il massimo attuale dell’avanzata intellettuale dell’uomo, possiamo dire che l’uomo non ha ancora risolto il problema del proprio posto.

Sarebbe interessante comprendere la ragione che fa sì che io sia quello che sono in quanto il resto infinito è quello che è.

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Un’ultima questione, infine, e forse la più importante. Importante proprio perché sta alla base dell’impasse che riferivo.

L’entanglement quantistico descrive un cieco determinismo, come sembra per i mondi delle teorie precedenti con le quali lo sto paragonando? Rispondo di no.

Nelle filosofie del grande orologiaio e della creazione ripetuta ad ogni istante si intravedono le grandi linee che ritroviamo nella teoria dei quanti. Per questo è importante spiegare perché non sono una fondazione del determinismo e che, al contrario, danno in mano all’uomo il suo destino.

Ora, l’idea della creazione continuamente nuova puntuale (i quanti?) è sostanzialmente il grado esoterico di quella dell’orologiaio.

Contro il fraintendimento che prende per un banale determinismo materialistico l’unità ab initio dell’insieme di ogni evento, la gnosi ismailita chiarisce che la realtà, lungi dall’essere un meccanismo bruto, è libertà creativa, atto puro, incondizionato.

Invito a notare che si tratta di spiegazione riservata agli iniziati della cerchia dei sapienti (oggi diremmo dei competenti o esperti).

Il cosmo nasce ad ogni istante. Il sole di Eraclito è sempre nuovo.

Con esso noi siamo sempre nascenti, poiché siamo fatti – per l’appunto – dei medesimi elementi primi di cui esso è fatto. Non siamo « solo » quello che siamo, lo siamo « con » quello che il tutto è.

Capirlo o sentirlo, già o non ancora, fa parte del gioco dell’entanglement.

Giuseppe Lampis


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