Mnemosyne e l’Orfismo

La bellezza brillava allora intera ai nostri occhi, quando
insieme col coro dei beati, seguendo noi Zeus, altri un
altro Iddio, godevamo di una vista e di uno spettacolo
beatificante, e c’iniziavamo alla più beata, è ben lecito
dirlo, delle iniziazioni che celebravamo, allorché perfetti
e immuni dai mali che ci attendevano nell’avvenire,
iniziati ai più profondi misteri, godevamo di quelle
visioni perfette, semplici, calme, felici, in una luce pura,
puri noi stessi e non sepolti in quella tomba
che chiamiamo corpo . . .
PLATONE, Fedro 50 bc

Desideriamo offrire il nostro commosso saluto all’appassionato studioso di storia antica e all’umanista generosamente impegnato fino agli ultimi giorni della sua vita nel testimoniare la necessità di ascoltare, vivere e tramandare ‘la parola del passato’.

Profondamente grati per il luminoso insegnamento da lui ricevuto lo ricordiamo con il suo discorso di apertura al III Convegno dell’Istituto di Psicoantropologia Simbolica Mythos: “Memoria e coscienza dall’orfismo alla psicologia del profondo” tenutosi a Roma il 15-16 aprile 1994.

 

Giuseppe Pugliese Caratelli

L’Orfismo costituisce un problema molto interessante e importante per l’influenza che ha avuto sul pensiero antico e per aver alimentato il pensiero moderno.

Sono di particolare interesse i rapporti di questo movimento religioso col Pitagorismo e col Platonismo: intendo dire con la dottrina di Pitagora e dei suoi seguaci e successori e con Platone, prima ancora che con i neoplatonici.

Problema fondamentale è quello di aver chiara la nozione di Orfismo, perché vi è una tendenza a dichiarare orfico buona parte di quello che ci è stato conservato del pensiero religioso e filosofico antico riguardante i problemi dell’aldilà, il problema della morte, come anche i fondamenti della vita morale, della vita e delle modalità di vita nell’ambito dell’esperienza terrena.

Il primo problema è quello di chiarire quale sia la documentazione veramente orfica. Per tale ragione ho ripreso in esame i documenti autentici, distinguendoli dalle tante descrizioni o rielaborazioni della dottrina orfica e dalle esposizioni che risentono degli orientamenti delle informazioni degli stessi antichi. Infatti le stesse nostre fonti antiche sono in molti casi interpretazioni di tradizioni più antiche e non riferiscono sempre con precisione in quanto si rifanno a testi di autori ignoti appartenenti ad età varie. Inoltre l’interpretazione dell’Orfismo che è stata data nella tarda antichità ha molto influito sulla raffigurazione dell’Orfismo che noi abbiamo.

Mi è parso dunque che fosse necessario esaminare i documenti autentici, cioè quelli che sono una specie di vademecum per gli iniziati e che sono rappresentati da testi incisi su lamine d’oro deposte nelle tombe perché servissero come una guida nei viaggi dell’aldilà.

Orfeo - Mosaico - Museo archeologico di Istanbul
Orfeo – Mosaico – Museo archeologico di Istanbul

Ma qui si presenta subito un altro problema: questi testi hanno tra loro delle affinità, ma non hanno la stessa ispirazione. Da qui nasce la necessità di distinguere o di cercare di riconoscere ciò che si può veramente dire orfico (e naturalmente sopraggiunge il problema di tale definizione), e che comunque gli antichi stessi, meglio informati, riconoscevano come Orfico, e ciò che oggi è chiamato orfico e come tale era chiamato anche nella tarda antichità, quando tuttavia, a mio parere, la nozione di orfismo era già oscurata.

Ho studiato questi testi e sono giunto alla conclusione che alcuni di essi possono essere considerati genuinamente orfici se riconosciamo nell’orfismo una dottrina religiosa che si alimenta del pensiero filosofico riconducibile alla dottrina pitagorica e delle comunità pitagoriche. Ritengo infatti che l’Orfismo, il movimento religioso a cui spetta legittimamente il nome di Orfismo, sia la religione dei Pitagorici.

In Platone ci sono degli accenni a ciarlatani che diffondono testi attribuiti ad Orfeo. Naturalmente Platone non aveva preso posizione contro l’Orfismo, ma contro quei ciarlatani che spacciavano come testi orfici testi di discutibile autorità e genuinità, che servivano più per i loro scopi pratici che come documenti di un autentico pensiero religioso.

Studiando le lamine orfiche si nota subito una divergenza tra un gruppo di lamine in cui ricorre un riferimento a Mnemosyne, vale a dire alla divinizzazione della memoria, e invece un altro gruppo più numeroso, più diffuso e che si trova in Magna Grecia, in Tessaglia, Macedonia e anche Creta. (Per quel che riguarda Creta si apre un altro problema che riguarda una certa tesi secondo la quale l’Orfismo potrebbe avere le sue radici proprio a Creta).

Questo secondo gruppo non conosce Mnemosyne, non fa alcuna citazione di questa personificazione, divinizzazione della memoria e invece si richiama ai consueti numi dell’aldilà : Persefone, ecc… «Vengo puro tra i puri», oppure «vengo tra i puri, o pura regina degli Inferi [Persefone]». In questi testi si riconosce un riferimento ad altre raffigurazioni della vita dell’aldilà per gli iniziati, riferimenti che troviamo per esempio in Pindaro o anche in altri testi: la ricompensa per chi ha osservato le norme di purezza proprie degli iniziati ad una religione misterica è rappresentata da un perenne soggiorno prossimo agli dei inferi, godendo della loro vicinanza.

Non ritroviamo invece tale rappresentazione nei testi appartenenti al gruppo delle laminette che ho definito mnemosinie. In esse non è definitivamente indicato il termine di questa esperienza oltremondana. Inoltre le lamine orfiche in cui compare la citazione di Mnemosyne vedono per le anime degli iniziati l’inizio della salvezza (cioè la possibilità di sottrarsi al ciclo delle rinascite e delle successive esperienze legate ad una vita nel corpo) in un’esperienza dell’aldilà. Vale a dire che per l’iniziato che si presenti puro nell’aldilà è comunque decisivo, al fine di non condividere la sorte delle altre anime, il fatto che egli si disseti bevendo la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne (tutto ciò è naturalmente simbolico).

Cito a titolo di esempio il testo più completo e più importante inciso in una laminetta trovata in Magna Grecia, nella necropoli di Hipponion, presso Vibo Valentia. Si tratta di 16 versi che dicono:


«Andrai alle case ben costrutte di Ade: vi è sulla destra
[una fonte,
accanto ad essa si erge un bianco cipresso;
lì discendono le anime dei morti per aver refrigerio. 

A questa fonte non accostarti neppure;
ma più avanti troverai la fredda acqua che scorre
dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi i custodi,
ed essi ti chiederanno, in sicuro discernimento,
che mai cerchi attraverso la tenebra dell’Ade caliginoso.

Dì: “Son figlio della Greve e del Cielo stellato;
di sete son arso e vengo meno: ma datemi presto
da bere la fredda acqua che viene dal lago di Mnemosyne”.
Ed essi sono misericordiosi per volere del sovrano degli
[Inferi,
e ti daranno da bere (l’acqua) del lago di Mnemosyne;
e tu quando avrai bevuto percorrerai la sacra via su cui
[anche gli altri
mystai e bacchoi procedono gloriosi.»

Laminetta Orfica - IV sec. a.C.
Laminetta Orfica – IV sec. a.C.

Secondo la mia interpretazione le anime che si affollano alla fonte accanto al bianco cipresso sono le anime che desiderano rinascere, che rimpiangono la vita terrena e desiderano rinnovare questa esperienza perché non hanno saputo prepararsi al viaggio nell’aldilà attraverso l’iniziazione ai misteri Orfici e non si sono resi degni dell’acqua vitale di Mnemosyne che sola permette di sottrarsi al ciclo delle rinascite.

La formula di riconoscimento che i mystai debbono pronunciare: «Io sono figlio della terra e del cielo stellato» è un’antica formula che ritroviamo già nella Teogonia di Esiodo ed è ricca di significati perché vi è presente l’idea della sottrazione all’ambito puramente ctonio, puramente terrestre, e il legame col cielo, vale a dire con l’infinito. Si allude infatti non al cielo diurno, in cui la luce del sole non rivela i segni dello spazio infinito rappresentato dagli astri, ma il cielo sidereo, il cielo stellato, che richiama l’infinito del cosmo e che più facilmente induce a superare i vincoli con l’esperienza terrena.

Qui non troviamo una definitiva indicazione della mèta, a differenza della visione escatologica delle altre dottrine misteriche. La confusione è facile, perché tutte le religioni misteriche hanno naturalmente un fondo comune, ma sia i misteri demetriaci che i misteri dionisiaci, non orfici, non mnemosinii (ossia non legati alla visione dell’intervento di Mnemosyne) presentano la salvezza eterna sotto forma di un soggiorno perenne, sia pur in una visione paradisiaca, presso numi inferi o uranii.

I testi orfici invece, quelli in cui si parla di Mnemosyne, non accennano al termine di questa esperienza, termine al quale tuttavia si riconnettono i testi platonici. Naturalmente bisogna ricordare che Platone non poteva parlare con chiarezza e precisione della dottrina orfica o della religione pitagorica, perché appunto non era dottrina da rivelarsi ai profani; ma in più luoghi platonici (specialmente nel Fedro, oltre che nel Fedone) vi sono accenni a questa beatitudine, beatitudine pienamente spirituale che prescinde da ogni bellezza di soggiorno, da ogni presenza o vicinanza di numi, bellezza del tutto spirituale, un raccogliersi nella visione della divinità (non di questo o di quel nume, ma proprio della divinità ).

Si tratta di una visione di grande profondità e ricchezza intellettuale. Da qui l’importanza di Mnemosyne.

Espongo molto sommariamente questi temi, tracciando solo alcune linee della discussione sulle varie dottrine misteriche e sulla distinzione che a mio avviso si deve fare per evitare confusione.

Se prendiamo la famosa raccolta di testi dell’autorevole studioso Otto Kern, Orphicorum Fragmenta, troviamo uniti insieme testi che indubbiamente non sono assimilabili: testi in cui ricorre l’invocazione, il richiamo a Mnemosyne e altri di differente ispirazione che appartengono invece ad altre esperienze di iniziati, ad altre escatologie, ad altre dottrine esoteriche, ma a mio parere è necessario proprio evitare questa confusione e distinguere quanto più è possibile. Il segno distintivo, differenziante, che fa pensare ad un legame con la dottrina filosofica quale la pitagorica, è proprio il richiamo a Mnemosyne, la quale è divinizzazione appunto della Memoria.

La prima volta in cui ho esposto questa mia teoria in una riunione di studiosi a Torino, un autorevole studioso di filosofia greca ha dato un’interpretazione riduttiva sostenendo che il richiamo di Mnemosyne semplicemente significa che l’iniziato deve ricordare ciò che gli è stato insegnato, la dottrina che gli è stata impartita. Questo è troppo riduttivo. Nei testi mnemosinii ci confrontiamo con qualcosa di più complesso, che possiamo comprendere se lo colleghiamo con la dottrina platonica dell’anamnesis e con tutta l’esperienza dotta appartenente non soltanto ai filosofi, ma anche agli scienziati. Pensiamo solamente a quel che ha rappresentato l’anamnesis nella importante riforma scientifica del grande medico Ippocrate, la cui dottrina (in cui la reminiscenza è fondamentale per la visione dello svolgimento del processo morboso) ha avuto enorme influenza non solo sulla medicina, ma su tutto l’orientamento scientifico greco.

L’esigenza dell’anamnesis è cioè un presupposto necessario per intendere un ricordo del passato, ma anche un’esperienza necessaria per intendere il presente e per antevedere il futuro. Non si tratta di una previsione nel senso profetico o di un indovinare in senso mantico, ma della comprensione del necessario sviluppo delle premesse, ricordate attraverso l’anamnesis, riconosciute attraverso la diagnosis e dalle quali si può giungere alla pronoia, la previsione.

Questo metodo è stato applicato da Tucidide alla dottrina politica quando ha affermato che i grandi politici, come Pericle e Temistocle, avevano la capacità di intendere e di capire quali sarebbero stati gli sviluppi di una serie di eventi storici, proprio come Ippocrate il quale consigliava al medico la conoscenza del passato, l’anamnesi, e il riconoscimento, la diagnosi, come premessa necessaria per cogliere il corso della malattia. Questi momenti (l’anamnesis, la diagnosis, la pronoia) sono i momenti strutturanti di qualsiasi ricerca; legati e distinti per esigenze didattiche e pratiche, ma in realtà momenti di un processo indivisibile. Grazie a questo stesso principio ritroviamo la visione della vita e dell’anima, le cui premesse, le cui prime manifestazioni sono nella dottrina pitagorica.

La scuola pitagorica ha rappresentato una rivoluzione nel pensiero greco perché di là dalla ricerca dei principii, delle archai, dei presupposti, ha posto proprio l’esigenza dell’esperienza. Ciò vale sia per lo scienziato che per il politico, come pure per l’uomo che vive la sua vita e che deve considerare la sua esperienza terrena come un episodio, senza un visibile principio e quindi senza una conclusione in forma di premio. Ciò che è importante, secondo quanto dice molto chiaramente Platone nel Fedro e quanto troviamo nella dottrina pitagorica, è il rapporto costante tra l’uomo e l’universo e tra l’uomo e la divinità e l’inseparabillità dell’esperienza terrena dalla visione cosmica che fa della vita solo un episodio.

Da qui la necessità per l’uomo di conoscere tutto ciò e di ricordare sempre la sua origine («Sono figlio della Greve e del cielo stellato»). Il concetto dianamnesis (il sapere è un ricordare) è stato molto importante per la formazione della dottrina platonica dell’idea. Il legame, storicamente accertato, tra Platone e la scuola pitagorica della Magna Grecia e il suo studio dei testi pitagorici ci confortano nella nostra visione.

Abbiamo qui voluto dare soltanto un accenno della ricchezza di pensiero e di fede religiosa che è nella dottrina cui, a mio avviso, spetta il nome di Orfismo.

Giuseppe Pugliese Caratelli