Simbolismo ed esperienza della luce
nelle grandi religioni
(da átopon Vol. VI)

AA.VV.
a cura di Julien Ries e Charles Marie Ternes
Jaca Book, Milano 1997

Annamaria Iacuele

Questo volume che inizia la collezione «Homo religiosus, Serie II» presenta a teologi, antropologi, sociologi, fenomenologi, umanisti, comparatisti e a quanti si interessano al pensiero umano gli Atti dell’Incontro internazionale Simbolismo ed esperienza della luce nelle grandi religioni (Lussemburgo 1996).

simbolismoJulien Ries nella nota editoriale sottolinea che fin dai primordi, la volta celeste con la sua luminosità ha suscitato una forte esperienza religiosa nella coscienza dell’uomo ed è divenuta simbolo di trascendenza. La luce stessa è divenuta caratteristica della divinità il cui nome deriva dall’indoeuropeo deiwo (la cui radice dei + ha il significato di “brillare”, “emettere una luce”). Dei e dee vengono percepiti dall’immaginazione e rappresentati come sfavillanti, rivestiti di luce, cinti di splendore tanto più intenso quanto più grande è il loro potere; la profusione dell’oro di statue, templi e santuari cerca di riprodurre la luce, simbolo dell’invisibile, del mistero della presenza divina. L’esperienza della luce porta alla contemplazione che genera a sua volta nuova luce e una nuova più chiara visione dell’universo. Il cammino dell’uomo alla ricerca della luce è testimoniato dall’antropologia culturale.

Il volume si articola in sei sezioni.

La prima ( Prospettive ed approcci ) si apre con un articolo di Julien Ries dedicato al simbolismo e all’esperienza religiosa, iscritte fin dai primordi nel processo stesso di ominazione. «…i millenni della preistoria, considerati tempora ignota , non possono più passare sotto silenzio quando si parla di esperienza religiosa. Dall’interno delle vestigia della cultura di cui è stato egli stesso creatore, a Olduvai, più di due milioni di anni fa, Homo habilis ci fa cenno presentandosi come symbolicus , dotato di sensibilità estetica, di senso di simmetria e di coscienza della creatività ».

La seconda ( Vicino oriente antico e mondo classico ) è dedicata all’esperienza della sacralità della luce nell’antico Egitto, nell’Anatolia, in Grecia e a Bisanzio.

Particolarmente interessante ci è sembrato l’articolo di Christian Cannuyer L’illuminazione del defunto come ierofania della sua divinizzazione nell’antico Egitto .

Secondo l’autore al cuore della religione faraonica è una certezza: «l’uomo è fatto per la luce del cielo». L’Egiziano dei tempi faraonici sperava nell’immortalità sentita come accesso alla divinità, come trasformazione radicale in essere di luce potente ( akhu ). La fede nel divenire luminoso dei morti assolti dal tribunale degli dei e divenuti simili a Osiride, il dio morto e resuscitato, consustanziale a Re, dio della luce, veniva manifestata attraverso il simbolico splendore dell’oro, di pietre e metalli lucenti, di illuminazioni con torce.

L’esperienza della luce (sostanza “vicina all’incorporeo” e strettamente legata all’intellegibile) è anaforica, sottolinea Pierre Somville, rinvia ad altro da se stessa. «Dal poema di Parmenide fino al VI e VII libro della Repubblica di Platone, il visibile e il suo orizzonte costituiscono il supporto immediato dell’idea, o, meglio il suo angolo di incidenza. Partecipando di entrambi i mondi, la luce è come l’estremo tentativo di materializzazione dell’intellegibile. Il miracolo ( thauma ) è rappresentato dal fatto che noi possiamo partecipare dei due aspetti di questa duplice articolazione, segno e senso, iscritta nella chiarezza doppia ed elementare, percepita dall’occhio e dalla mente».

La terza sezione è dedicata all’India antica.

L’articolo di Jacques Scheuer si sofferma sul tema presente nella cosmogonia e cosmologia vedica della opposizione luce/tenebre e in particolare della notte che si trasforma in giorno. Lo scenario è quello di un combattimento che Indra, il dio guerriero della luce, ingaggia contro le forze oscure del disordine, del caos e della morte impersonate dal mostro, serpente o caverna. È necessario che sia vinto il potere di «colui che avvolge» e «che blocca» (Vrtra) perché le acque possano liberamente irrigare il mondo, manifestare la luce e generare la vita: è questo il preludio alla messa in ordine di un mondo armonioso e luminoso che troverà la sua espressione nel corso regolare del tempo scandito dalle aurore quotidiane.

La luce e il sole si trovano al centro di numerosi riti brahmanici, come i «riti perfettivi» ( isamskara ). L’invocazione vedica al sole ( savitri ), trasmessa dal maestro al discepolo, è particolarmente importante nel processo di iniziazione e si può dire contenga l’essenza dei Veda : «Su questo desiderabile splendore di Savitar, su questo splendore del dio, meditando: possa egli stimolare i nostri pensieri». Nelle Upanishad dove il rituale vedico diviene supporto simbolico di un procedimento tutto interiore, la luce diviene simbolo della conoscenza liberatrice, garanzia della vera e propria immortalità, mentre l’oscurità è simbolo dell’ignoranza e dell’illusione che rende prigionieri. Alla meta finale del cammino l’iniziato perverrà al di là del giorno e della notte, diverrà egli stesso luce, fonte di ogni visione e non farà più distinzione tra il soggetto che vede, l’oggetto della visione e l’atto del vedere così che dirà : «Io sono colui che vede tutto e che non ha gli occhi».

La quarta sezione è dedicata alla tradizione biblica.

Il popolo di Israele, popolo dell’Alleanza, non si prostra davanti alla luce del sole, della luna e delle stelle, ma davanti al creatore di ogni luce, a colui che guida l’uomo, illumina i suoi occhi e lo conduce verso la gioia di un giorno luminoso.

Isaia annuncia che il popolo che camminava nelle tenebre vedrà un giorno una grande luce: il Dio vivente illuminerà i suoi fedeli e il suo servo sarà luce delle nazioni.

Clémence Hélou si sofferma sul simbolismo del conflitto tra le tenebre e la luce negli scritti giovannei. Il conflitto tra tenebre e luce, vera guerra di potenze, o di dei, costituisce secondo Gilbert Durand, (cf. Le strutture antropologiche dell’Immaginario ) uno degli archetipi fondanti, dei miti soggiacenti alla storia dell’umanità.

Giovanni riprende questa dinamica archetipica nelle sue dimensioni cosmiche, antropologiche ed escatologiche attraverso metafore spaziali (salire/scendere, etc .), temporali (passato/futuro; tempo fisico/tempo umano, etc .) arricchite dal simbolismo dei colori. Ma soprattutto sviluppa il tema della mediazione tra questi opposti: essa si attua nell’Agnello sacrificato, in cui l’animalità si trasforma in luce e che dunque in se stesso sintetizza la morte e la vita, le tenebre e la luce e tutti i volti del Dio. Nell’ Apocalisse Giovanni parla della realizzazione della vittoria della Luce in un al di là e in un non-luogo: questa vittoria rappresenta il riassorbimento totale del conflitto che oppone le tenebre alla luce, in quanto «non ci sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole perché il Signore Dio li illuminerà (i servi) e regneranno nei secoli dei secoli» ( Ap 22, 5).

La quinta sezione è dedicata a Gnosi e iniziazione.

ISimbolismo della luce e illuminazione gnostica nei testi manichei copti di Julien Ries ci porta al cuore del mistero centrale della fede manichea e della soteriologia gnostica: al regno della luce e alla sua dinamica di liberazione dell’anima prigioniera della materia tenebrosa, attraverso l’illuminazione che consente la conoscenza trascendente dei misteri divini.

Il Noûs -luce, inviato dal paradiso delle luci e messaggero della gnosi celeste entra nell’uomo per illuminare il Noûs , la parte divina dell’anima e risvegliare la psyche immersa nell’oblio. Grazie all’opera del Noûs -luce l’eletto sente il richiamo delle sue origini divine: l’uomo vecchio si trasforma per divenire il puro gnostico che segue ad ogni istante la via della ricerca della salvezza e del ritorno alla luce del regno del Padre.

Anche nel linguaggio dei mistici musulmani è dominante il simbolismo della luce.

Samir Arbache affronta il tema della conoscenza come teofania in Ibn ‘Arabi.

Attraverso un commento di alcuni passi della sua opera maggiore, Al-Futuhat al-Makkiyya Le illuminazioni della Mecca ) ci mostra come il tema della luce sia concettualizzato per esprimere i rapporti tra l’Unico e il molteplice, tra il mondo dell’essere e quello della testimonianza.

Dice Ibn‘Arabi: «L’Unico si è dato in teofania in diversi tipi di entità. Queste hanno visto la loro forma in lui, il mondo si è diversificato in questo unico. Una parte del mondo è in relazione e corrisponde, un’altra parte non è in relazione ed è divergente. In tal modo è apparsa la corrispondenza e la divergenza nelle entità del mondo, sulla terra e nell’aldilà. In effetti le entità del mondo non cessano di vedersi reciprocamente in questo unico in teofania, le cui luci si riflettono su di esse grazie a ciò che acquisiscono da lui (…). L’unico non si copre mai di un velo, il mondo è sempre in uno stato di testimonianza e sempre resta il cambiamento, che consiste in ciò che conviene e ciò che non conviene, designati da ciò che è utile e ciò che è nocivo» (pp. 213-14).

La sesta ed ultima sezione è dedicata all’ Estetica e liturgia .

François Boespflug tratta il tema della Trasfigurazione ( metamorphosis ) nell’arte medioevale in Occidente (IX-XVI secolo).

La Trasfigurazione rappresenta il tema della luce maggiormente evidenziato nell’arte cristiana, ma anche un problema prezioso che chiede grande apertura dello spirito.

Per l’autore la maggior parte delle opere occidentali, in rottura con il canone bizantino, rivela una difficoltà ad articolare in modo convincente il corpo (del Cristo) e la luce divina (il monte Tabor), l’umano e il divino.

Gli artisti sembrano aver perso il contatto immaginativo con la luce teofanica del corpo trasfigurato e sembrano trovarsi di fronte ad un’alternativa: o la realtà del corpo di Cristo senza la gloria o la manifestazione della sua divinità, a discapito del corpo, il quale perde la sua realtà.

Il volume si chiude con un saggio di sintesi di Julien Ries sull’ Esperienza della luce nella condizione umana e con il ricordo della prospettiva «vita-verità -luce» del messaggio cristiano, sottolineata dal ricco simbolismo della luce nella liturgia (il nuovo fuoco pasquale), come nell’architettura e nelle varie forme dell’arte sacra.

Annamaria Iacuele


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