Nel tempo in cui si pensa di aver già “scoperto” tutto lo scibile, quando si pensa non vi sia più nulla da scoprire negli scaffali delle biblioteche nostrane, Ezio Albrile ha fatto un ritrovamento a suo modo “archeologico” tra gli antichi manoscritti un po’ bruciacchiati della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino.
Era una fredda notte tra il 25 e 26 gennaio del 1904, qualcuno forse inavvertitamente lasciò una stufa accesa più del dovuto, forse un custode per vincere i brividi di un inverno eccezionalmente rigido: fu l’origine di un terribile incendio che devastò gran parte dei fondi librari rari e manoscritti della Biblioteca torinese. Tra i materiali irrimediabilmente perduti vi furono incunaboli, aldine e in particolare manoscritti: un terzo dei codici vennero distrutti, altri recanti i segni indelebili del fuoco e dell’acqua di spegnimento saranno recuperati nei decenni successivi. Forse a causa di questo eccidio cartaceo, il fondo manoscritto della Nazionale di Torino sarà spesso dimenticato dai percorsi paleografici dei filologici più titolati. Ma non solo, perché anche gli adepti di Ermete, quello “Tre volte grande”, il Trismegisto, dimenticheranno le rarità alchimiche in essa custodite.
Il libro di Albrile parla infatti di questa consistente riscoperta di manoscritti di alchimia, che coprono un segmento temporale che va dalle origini greco-egizie sino all’universo simbolico barocco. Quindi il ritrovamento è anche una occasione per tracciare una storia dell’”arte regia” studiata nei suoi documenti originali.