Il tempo del labirinto e della natura

Antonio Aveta

Fra tutti i simboli che abitano la nostra cultura odierna e che la fanno vivere ce ne sono alcuni che hanno attraversato i secoli e i modi di pensare. Questi “sopravvissuti culturali” hanno cambiato forma e si sono adattati ma hanno anche mantenuto sempre un qualcosa che li legasse indissolubilmente al loro significato originario, il cui fascino non verrà mai meno su di noi. Il labirinto, archetipo della mente umana, è certamente fra questi. La sua geometria fatta di linee ondulate che si distendono le une sulle altre o costruita con linee spezzate che si intersecano e che sembrano fondersi ha suscitato e suscita ancora negli uomini che vi si imbattono un timore reverenziale, il cui mistero arriva prepotentemente nelle nostre menti.

Labirinto inciso nella roccia trovato in Sardegna, risalente al neolitico
Labirinto inciso nella roccia trovato in Sardegna, risalente al neolitico

Lungi dal voler ripercorrere una storia compiuta di questo archetipo, cosa tra l’altro impossibile vista l’estrema quantità di esempi, la sua sconfinata presenza in quasi tutto il mondo e le sue interrelazioni, tenteremo di offrire una spiegazione almeno sufficiente sul possibile significato che esso ha avuto in origine per la cultura occidentale e su quello che ha assunto poi nel tempo, in particolare rifacendoci al mito greco del labirinto di Cnosso e del Minotauro.

Che il labirinto sia nato con le civiltà più antiche è fuori di dubbio, viste le cospicue fonti iconografiche, molto eloquenti a questo proposito, a cui dobbiamo per forza di cose rifarci per tentare di capire il meccanismo di formazione che ne è alla base. Tralasciando la teoria della deriva nel mondo di un’unica civiltà primordiale – che per quanto intrigante è indimostrabile allo stato attuale-, dobbiamo prestare attenzione alle condizioni di vita dell’uomo primitivo e all’arte a cui diede origine, per noi accesso privilegiato sulla psiche. Sappiamo che i popoli dell’antichità avevano un modo diverso, infatti, dal nostro di sentire e di rappresentare le cose; più che ricopiare la realtà così com’era, cogliendone dettagli e ombre, essi preferivano rappresentarla così come credevano che fosse, trasfigurata in simboli ed icone, investita di forze invisibili.

Gli uomini primitivi vivevano immersi nella natura e con essa dovevano confrontarsi costantemente per sopravvivere. Ogni loro gesto, ogni loro parola era rivolta alle misteriose forze e alle imperscrutabili divinità che l’abitavano, nel tentativo di accaparrarsi il loro sostegno e il loro aiuto. Questi uomini dovevano seguire regole e fare attenzione a non infrangere i tabù loro imposti per evitare di incorrere nell’ira divina. La loro vita iniziava nella natura e finiva con essa. E’ a questo sostrato che credo sia plausibile collocare la nascita del labirinto quale rappresentazione simbolica della natura, che con fiumi, foreste, radure, grotte, alberi e impervi sentieri deve aver suggestionato non poco i primi uomini, i quali devono aver trovato un modo particolare per raffigurarsela. La natura diventa nelle loro creazioni rappresentazione della vita in cui camminavano, in cui erano immersi, del labirinto, del percorso in cui si entra nascendo, si arriva al centro e in cui si esce solo con la morte.

Labirinto inciso su una pietra in Cornovaglia, a Tintagel
Labirinto inciso su una pietra in Cornovaglia, a Tintagel

Stesso sostrato ma ben più articolato è quello che ritroviamo nel mito del labirinto di Cnosso, che ben si confà ad una civiltà evoluta e particolare come quella greca. Secondo il mito, di cui esistono numerose variabili, il re di Creta Minosse fece costruire un labirinto dal suo architetto Dedalo per farvi rinchiudere il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, avuto dalla moglie Pasifae in seguito ad una maledizione lanciata da Poseidone offeso dal re dell’isola. Minosse dava in pasto al mostro ogni nove anni – o ogni sette o ogni anno – sette ragazzi e sette ragazze inviate da Atene come tributo. Tra questi vi era Teseo, figlio del re ateniese Egeo. Teseo, grazie all’aiuto della figlia di Minosse innamoratasi di lui, Arianna, e al suo stratagemma del filo, riesce ad uccidere il Minotauro e ad uscire indenne dal labirinto, rompendo così la supremazia di Creta su Atene.

Questo mito è stato reinterpretato innumerevoli volte, viste anche le tante versioni discordanti, ed ancora oggi si cerca una chiave di lettura chiara. Per quanto concerne la nostra indagine, noi possiamo notare come la spiegazione dell’archetipo data in precedenza per le popolazioni primitive si arricchisca ora di nuovi elementi che non fanno altro che sottolineare la nostra tesi iniziale.

Partiamo dall’etimologia della parola, λαβύρινθος, di origine incerta – sicuramente pre-greca – a cui i filologi danno il significato di palazzo della λάβρυς. In una felice intuizione Kerényi1 fa risalire questa costruzione alla λάβρυς, l’ascia bipenne simbolo del potere minoico utilizzata per tagliare le pietre, la quale configurerebbe, quindi, il labirinto di Cnosso come cava di pietra.

Questa ipotesi sull’origine del labirinto minoico non elimina certo l’idea che esso sia nato in origine come simbolo, trasmessosi poi nel tempo di generazione in generazione e diventato infine reale, magari associato ad un luogo che ne richiamava l’idea – fenomeno che tra l’altro accade ancora a noi oggi quando ci ritroviamo in un luogo dalla struttura complicata. Consideriamo sempre il labirinto di Cnosso, quindi, come rappresentazione della natura in cui l’uomo si muove, evoluta ora in una nuova forma. Questi elementi di novità, in ordine, sono Teseo, il Minotauro, Arianna.

Doppia ascia bipenne con motivi floreali
Doppia ascia bipenne con motivi floreali

L’eroe Teseo2 fa parte della lunga schiera capeggiata da Ercole di eroi civilizzatori, dei fondatori di riti e costumi, di città, di quelli che hanno combattuto contro la natura e l’ignoto per spianare la strada alla civiltà. Lui, figlio di re, volontariamente decide di sacrificarsi, di entrare a far parte dei tributi per Creta, adempiendo fino in fondo al suo ruolo di difensore e di capo, e di gettarsi nel labirinto alla ricerca del mostro. Teseo in queste vesti rappresenta i primi uomini, quelli che gettarono con le loro imprese le basi della civiltà greca.

Il Minotauro, metà uomo, metà bestia, frutto di un unione abominevole, contro natura, dettata dal volere di un dio vendicativo, rappresenta la ferinità, l’ignoto, il pericolo che si nasconde nel buio della foresta, la bestia pronta a divorare l’uomo, le forze della natura pronte a scatenarsi. L’uomo comune, debole, può solo fuggire e sperare di sopravvivere, anche se sarà poi solo questione di tempo prima che egli abbia la peggio. Al contrario, l’eroe, l’uomo coraggioso e civilizzatore – Teseo – non può far finta di nulla e affronta la paura, affronta l’ignoto, pronto a morire per portare l’uomo anche di un solo passo in più fuori dal buio. La figura del Minotauro, sicuramente una delle più affascinanti della mitologia presa in esame, è una figura ambigua quanto la sua stessa natura. Esso non è solo la bestia divoratore di fanciulli a lui offerti, custode e unico abitante di un luogo misterioso e oscuro, ma è anche una vittima del destino. Egli non ha scelto la sua sorte, ma paga le colpe di un padre che ha peccato di superbia contro gli dei e che lo ha confinato in una prigione da dove non è possibile uscire o da cui lui non esce, secondo la logica ferrea del perpetuarsi della colpa nella cultura greca antica. L’impossibilità di fuggire da parte del Minotauro, in particolare, mi ha sempre colpito molto perché egli in fondo viveva da essere libero nel labirinto e lo doveva, per forza di cose, conoscere bene perché vi abitava da sempre; non si spiega quindi il perché non abbia mai tentato di uscirne, di guadagnarsi la libertà e magari la vendetta contro il padre tiranno. Credo che la spiegazione sia da ricercarsi non tanto in fattori esterni o materiali – mura, guardie -, ma nella metà bestia del Minotauro e nella funzione assunta dal labirinto. Se il labirinto è, infatti, rappresentazione – anche se artificiale – della natura e il Minotauro è per metà animale, egli non può uscirne al di fuori perché le leggi del mondo collocano gli animali e le fiere in essa, nelle foreste, nelle grotte, nei luoghi bui, dove l’uomo non ha potere. Inteso in questo senso, il Minotauro è allora vittima della sua stessa natura, in accordo con l’antico adagio di Eraclito, “Ηθος Ανθρωπῳ Δαιμων3”.

Pianta del palazzo di Cnosso, Creta, risalente al XV secolo a.C.
Pianta del palazzo di Cnosso, Creta, risalente al XV secolo a.C.

Arianna è la novità più interessante che il mito greco ci offre riguardo al labirinto. Anche se è un tema comune nella mitologia greca quello delle donne che con le loro arti aiutano gli eroi ad uscire dalle situazioni critiche in cui vengono a ritrovarsi – basti pensare a Medea e a Giasone -, la sua funzione è imprescindibile ai fini del buon esito del mito. Arianna, vittima delle circostanze, subisce il fascino dell’eroe ateniese, contraddice il volere paterno e congiura per uccidere quello che a tutti gli effetti è il fratellastro. Arianna non ha alcun modo di aiutare il suo amato Teseo se non quello di dargli un gomitolo di lana che egli dovrà svolgere lungo il suo percorso per ritrovare la strada del ritorno dopo aver ucciso il Minotauro. L’elemento del gomitolo di lana si configura come l’elemento più interessante di questo mito, in quanto agli occhi di noi moderni appare cosi inusuale e “debole” come aiuto, quasi inadatto ad un eroe che sta per affrontare un terribile mostro. La sua funzione, a mio avviso, e quindi anche il suo significato è da ricercarsi nella somiglianza con il filo della vita, quello che le Parche tessono e tagliano decidendo il destino di tutti, dèi compresi. Il paragone della vita con un debole filo è elemento ricorrente nella mitologia greca. Se così fosse, il filo che allora Teseo riavvolge per uscire dal labirinto per non rimanervi intrappolato altro non è se non il filo della sua vita, il suo passato, l’esperienza acquisita, quella che ognuno deve seguire dopo essere maturato per non perdersi e arrivare indenni all’uscita del percorso, che è poi il punto da dove si è entrati. La vita e la morte che di nuovo coincidono.

Con questa lettura l’uccisione del Minotauro diventa gesto rituale di maturazione, rito di passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta; gli elementi che ci fanno propendere per questa interpretazione ci sono tutti: la lotta, l’amore, il pericolo, l’ignoto, il sangue. Teseo entra nel labirinto, seguendo gli impulsi del suo giovane cuore, uccide il mostro e matura, segue il filo che è la rappresentazione materiale della sua esperienza e trova l’uscita dal labirinto, così che trionfante possa ritornare a casa per diventare re. Questa interpretazione, però, coi suoi personaggi e simboli diversi sembra più presentarsi come successiva a quella originaria di una rappresentazione della natura, una rielaborazione “erudita” – per quanto il termine sia una forzatura di noi moderni – che vede l’accostamento di un simbolo a un rituale da parte della cultura greca, magari letta in chiave politica per commemorare la liberazione della città di Atene dal giogo di una potenza straniera.

Si potrebbe anche calcare la mano sul fatto che sia stata la giovane Arianna a consegnare a Teseo il salvifico strumento – il gomitolo di lana – ma questo elemento meriterebbe un’analisi più approfondita che non è lecito affrontare ora.

Moneta di Cnosso, raffigurante su un verso  un labirinto unicursale, risalente circa al 400 a. C.
Moneta di Cnosso, raffigurante su un verso
un labirinto unicursale, risalente circa al 400 a. C.

Il mito greco parrebbe, quindi, arricchire in maniera straordinaria l’idea del labirinto che abbiamo presentato inizialmente ma non sembra, tuttavia, contrastarla in alcun modo. L’idea del labirinto come rappresentazione simbolica della natura può essere stata ripresa e complicata nelle forme dai greci, i quali potrebbero aver calcato l’aspetto della crescita che l’uomo necessariamente si trova a dover compiere quando vive in mezzo alla natura o comunque in un contesto pericoloso. Ecco allora l’interpretazione come rito di passaggio dall’età adolescenziale alla difficile età adulta, fatta tramite l’uccisione di una vittima rituale, in questo caso il toro. Non è da dimenticare, infatti, l’importanza rappresentata da questo animale nella cultura minoica, dove era visto come simbolo di forza e di potere regale, insieme all’ascia bipenne – la λάβρυς. Il labirinto di Cnosso parrebbe quindi il luogo perfetto della regalità minoica. Il palazzo della λάβρυς, infatti, costruito tramite l’ausilio dell’ascia bipenne simbolo di forza e potenza si fonde col mostro taurino al suo interno, altro simbolo del potere regale minoico, in quella che sembrerebbe a tutti gli effetti un rito di liberazione collettivo, un’epopea del giovane Teseo che rompe i gioghi del potere cretese dall’interno, liberando Atene dalla sua ingerenza.

Un ulteriore elemento su cui è interessante soffermarsi è il rapporto che si ottiene accostando il labirinto, visto nella sua rappresentazione del ciclo di vita e di morte, con la Potnia cretese, la Dea dei serpenti. Queste statuette, la cui funzione o significato non sono stati ancora chiariti, raffigurano delle donne che impugnano dei serpenti risalenti circa al XVII secolo a. C. ritrovate nei pressi di Cnosso. Secondo W. Burkert, che ha fermato la sua attenzione sulla posizione delle braccia protese verso il cielo identificandola quale posizione <<epifanica>> e sulla presenza di animali, esse sarebbero rappresentazioni di un dio o comunque di uno status sovrumano4. Se anche queste statuette rappresentassero una qualche divinità ciclica della natura – o un suo rappresentante umano-, esse potrebbero trovarsi in accordo con la nostra definizione di labirinto quale simbolo del ciclo vitale. Il serpente, infatti, che la statuetta stringe tra le mani o che ne decora le braccia, è da sempre con la sua capacità di mutare pelle simbolo del tempo che scorre e dell’immortalità, di mistero, della naturalezza della vita, fatta di nascita e di morte, a cui nemmeno l’uomo può sottrarsi con tutta la sua civiltà.

 Concludendo, possiamo immaginarci la civiltà minoica come una civiltà in cui si nutriva un grande rispetto per la natura e i suoi tempi, dove gli esseri umani non provavano a sottrarvisi ma bensì vi si inserivano in modo del tutto spontaneo. Possiamo credere, infine, che i minoici abbiano cercato di celebrare questo rapporto col simbolo del labirinto rappresentante la natura al cui interno vi si inseriva il normale procedere della vita umana – nascita, crescita, morte -, collegato a delle statuette femminili simboleggianti l’eterno scorrere di questi cicli. Assorbito in seguito dalla cultura greca, divenne, poi, mito celante una simbologia di passaggio e di crescita umana o di liberazione, magari collettiva, legato ai simboli del potere “nemico” – il toro e la λάβρυς.

Antonio Aveta

Bibliografia

  • Apollodoro, Biblioteca, a cura di Giudorizzi G., Frazer J. G., ed. Adelphi, 1995.
  • Burkert W., La religione greca, Jaca Book, 2010.
  • Castleden R., Minoans: Life in Bronze Age Crete, Routledge, 1993.
  • Eraclito, Frammenti, traduzione e cura di Francesco Fronterotta, Biblioteca Universale Rizzoli, 2013.
  • Higgins Reynold, Minoan and Mycenaean Art, Thames & Hudson, 1997.
  • Kerenyi K., Nel labirinto, ed. Bollati Boringhieri, 1983.
  • Plutarco, Vite ParalleleTeseo e Romolo, a cura di Bettalli M., ed. Bur, 2003.

NOTE

[1]   Karl Kerenyi, Nel labirinto, ed. Bollati Boringhieri, 1983.

[2]   Plutarco, Vite Parallele; Apollodoro, Biblioteca, libro II, III.

[3]   Eraclito, fr. 119 in Eraclito, Frammenti, traduzione e cura di Francesco Fronterotta, Biblioteca Universale Rizzoli, 2013.

[4]   W. Burkert, La religione greca, Jaca Book, 2010, p. 92.


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