Il cavaliere armato che esce da un labirinto e che è stato scelto come logo del Centro Studi MYTHOS è tratto dal fregio dell’oinochoe (brocca per il vino) di Tragliatella trovata nel 1878 in una tomba etrusca nei pressi dell’antica Cere (Cerveteri) e attualmente custodita nel Palazzo dei Conservatori a Roma (Sala del Camino, n. inv. 358). L’oinochoe (datata intorno al 620 a.C.), di produzione etrusca su modelli protocorinzi, è decorata con disegni graffiti disposti in 4 bande orizzontali.
I fregi
Nella zona del collo è rappresentato un uomo completamente nudo, imberbe, con lunghi capelli, mentre tiene con una fune un caprone selvatico che lo precede. Segue una coppia di uccelli, l’incontro tra un uomo e una donna, quindi una barca, senza remi né vele, e un capro disposti verticalmente (fig. a).
La fascia successiva ha una decorazione a “denti di lupo” (fig. b) nei quali si possono riconoscere dei bucrani con vitte sacrificali.
Sull’ansa troviamo la figura di un serpente.
Nella fascia inferiore sono raffigurati due animali che corrono: una lepre e un cane (fig. e).
Più interessanti appaiono le figure della banda più larga posta sulla pancia del vaso (figg. c – d) . Innanzitutto un labirinto di tipo cretese a sette corridoi sul quale è scritta da destra a sinistra la parola “Truia”. La rappresentazione del labirinto è identica a quella che troviamo nelle monete di Cnosso e in monumenti anche posteriori.
Dal labirinto escono due guerrieri inberbi probabilmente con ghirlande sul capo o con dei copricapi. Entrambi reggono con la destra le redini del cavallo e con la sinistra uno scudo sul quale è raffigurata la parte anteriore di un uccello (oca o gru) . Il secondo cavaliere impugna una lancia. Innanzi a loro avanza o danza un uomo nudo, senza barba con un lungo bastone o lancia. Egli è preceduto da sette guerrieri imberbi, probabilmente nudi o con perizoma, ciascuno dei quali impugna tre corte lance e uno scudo rotondo sui quali è raffigurata la parte anterire di un cinghiale.
Una scritta – secondo W. Deecke ‘mi amnu arce’ (questa brocca Amnu fece) – separa questa scena da un’altra dove troviamo un uomo anche lui senza barba, coperto da un perizoma, che mentre posa la mano destra sulla spalla di una ragazza di piccole dimensioni offre con la sinistra un oggetto tondo (mela o gomitolo) alla donna che gli sta di fronte o forse da lei lo riceve. Il Deecke legge la scritta accanto alla ragazza: mi velena (questa è Elena) e ipotizza che i tre personaggi rappresentino il giudizio di Paride. Giglioli legge, invece, mi veleli a, facendo cadere ogni riferimento a Paride Afrodite e Elena. Accanto alla donna si può leggere: mi thes athei (quella (brocca) dona Ateia).
Accanto ad un mucchio di pietre, forse un altare, vediamo una donna eretta, dagli ampi gesti difficilmente interpretabili, vestita di un abito a losanghe con in mano un oggetto (forse uno specchio o un ventaglio).
La zona che segue è divisa in due piani dove troviamo rappresentate due coppie in unione sessuale.
Simbolismo dei fregi
La parte del fregio che ha suscitato maggiore interesse negli autori che hanno studiato l’oinochoe dal punto di vista esegetico è quella centrale dei guerrieri armati: sette fanti che si muovono a passo di danza e di due cavalieri che escono dal un labirinto. Si tratterebbe infatti del documento più antico in cui è raffigurata il rito originario della cerimonia iniziatica del Troiae lusus, di cui sono rimaste documentazioni letterarie molto più tarde. Tra queste la più importante la descrizione di una forma ibrida del rito, forse non più compresa completamente, fatta da Virgilio nel V Libro dell’Eneide in cui si celebrano i sacrifici e le cerimonie funebri in onore del padre Anchise.
La cerimonia del Troiae Lusus (ludo Troiano), nata in Etruria, era un ludo cultuale di cavalieri a cui partecipavano come a un mysterium, solo gli iniziati e si svolgeva in occasione di onoranze funebri e della fondazione di città e successivamente, in giorni di espiazione celebrati annualmente in date fisse.
La valenza simbolica della battaglia rituale e del percorso labirintico in occasione delle esequie è certamente molteplice. Il percorso labirintico esprime la distanza che separa la sfera della vita e quella della morte e la difficoltà del pasaggio dall’una all’altra.
Al tema dell’uscita dal labirinto è ampiamente riconosciuto un significato rituale e iniziatico.
Il labirinto è un luogo periglioso, oscuro, pieno di insidie, inaccessibile per chi non sia spiritualmente pronto ad affrontare il pericolo in esso racchiuso. Solo l’eroe, cioè colui che è riuscito a superare i limiti dell’umano, può raggiungere il centro, il cuore del labirinto e rapportarsi al mistero che esso racchiude. L’immagine del labirinto è dunque la rappresentazione simbolica di un percorso rituale iniziatico (dal lt. inire = entrare dentro) che porta, attraverso molteplici circonvoluzioni, probabile allusione ai vari gradi di purificazione interiore, dall’esterno all’interno, dalla periferia al centro, punto di svolta dal quale inizia l’inversione del percorso e quindi l’uscita dal labirinto.
Il centro del labirinto si ricollega al tema tradizionale del centro quale simbolo di origine, di punto di partenza e di ritorno di tutte le cose o anche di Principio primo, fulcro della realtà sensibile e transeunte; esso sembra racchiudere il mistero della vita oltre la morte, o meglio della vita scaturita dalla morte, fonte di ricchezza per chi sappia penetrarlo. La sequenza vita-morte-rinascita rappresenta il paradigma fondante di tutte le manifestazioni della natura, delle stesse divinità ed anche dell’esistenza individuale. Il rito dell’attraversamento del labirinto è attualizzazione e assimilazione di tale motivo. La morte vi è intesa come morte iniziatica, passaggio rituale da una condizione ad un’altra, trasformazione radicale che porta l’uomo alla sua patria celeste.
La presenza del motivo del labirinto su questa brocca per il vino, facente parte di un corredo funebre, testimonia un ricorrente legame tra tema del labirinto e necropoli, ampiamente sottolineato dal Kereny.
Il labirinto, nelle rappresentazioni che si rifanno al modello cretese, ha al centro il Minotauro, mostro, per metà uomo, per metà toro, raffigurazione della morte che inghiotte. Si tratta di raffigurazioni non univocamente negative, come ricorda Kereny; Talvolta esso è rappresentato da una stella, Asterion o Asterios (altro nome del Minotauro) o dalla luna, l’astro che eternamente si rinnova, e che ci riporta al mitologema di Hainuewele-Arianna-Persefone, che, rapita, discende agli inferi, per poi tornare nuovamente alla luce. Il mito di Persefone, secondo Kerenyi, rappresenta il modello archetipale dell’esistenza dell’uomo il quale è destinato ad essere rapito dalla morte e a discendere agli inferi, ma, come Persefone, si prepara a rinascere.
La parola Truia, scritta da destra a sinistra nell’ultima circonvoluzione del nostro labirinto, secondo alcuni autori, rimanderebbe alla città di Troia, città archetipale, la cui distruzione è il fondamento di nuove civiltà.
Il tema simbolico qui espresso sembra essere quello di una città eterna o città dell’origine, immagine microcosmica della struttura del mondo assunta come nucleo inviolabile, inespugnabile collegato all’idea del Centro, del Principio primo, trascendente. La città di Troia ricorderebbe dunque che la vita e lo sviluppo procedono secondo precise leggi superiori intorno ad un centro significativo di organizzazione e di riferimenti, analogico all’asse celeste.
Icavalieri che escono dal labirinto rimanderebbero dunque proprio all’impresa, all’esperienza del centro, quale esperienza di morte e rinascita individuale. Il cavaliere, l’uomo in dialettico rapporto con il cavallo, in quanto lo guida, ma è a sua volta da esso portato, è presente in moltissimi miti, quale unità simbolica di aspetti vitali, istintuali, ctonii e di aspetti spirituali, celesti. La battaglia che il cavaliere combatte non è solamente una battaglia esterna contro nemici fisici, ma soprattutto una psicomachia, lotta spirituale contro il male per il Bene Supremo. E il cavaliere deve essere dunque un “iniziato” che sa affrontare la morte in quanto è presago di un avvenire ulteriore e in ciò gli è fedele alleato il cavallo, animale chiaroveggente e psicopompo per eccellenza.
Nel fregio, dietro al primo cavaliere siede un animale rassomigliante ad una scimmia. Questa figura ha posto numerosi interrogativi agli interpreti.
Possiamo comunque notare nella scimmia aspetti di agilità, destrezza, di forza vitale propulsiva che ne fanno in molte civiltà il simbolo del maestro o del saggio iniziato che nasconde la sua vera natura sotto l’apparenza giocosa ed ironica. In Egitto era considerata incarnazione di Thot, la divinità della saggezza e della felicità, il padrone assoluto del tempo, colui che saluta il sole, quando appare ad oriente e quando scompare ad occidente, lo scriba divino di Ptah, il dio creatore e di Anubis il giudice delle anime dei morti. Nel mondo greco aveva una funzione mercuriale, di trasformazione e di mediazione tra il mondo degli uomini e quello degli dei.
Dato il valore rituale della scena, il portare dietro di sé l’animale scimmia potrebbe alludere alla funzione di assimilazione della realtà simbolica spirituale da essa rappresentata.
I due cavalieri imbracciano scudi circolari, su cui sono rappresentate, secondo Kereny, delle gru. Lo scudo, arma di difesa e di protezione, rappresenta nella sua circolarità l’universo ed ha quindi una funzione apotropaica contro i nemici e le forze negative. Assumono dunque particolare importanza la rappresentazione di gru alle quali Omero paragona i guerrieri che in schiera lanciano nella battaglia il loro grido. In molte tradizioni la gru è simbolo di trasformazione e di immortalità, in quanto uccello che migra ciclicamente in autunno e il suo ritorno è associato alla primavera e perciò indice di rigenerazione.
Il tema della gru si riallaccia quindi al tema del labirinto della morte e della rinascita. Tale collegamento è espresso da Euripide nell’Ippolito dove le donne del coro, presagendo la sventura di morte che sta per abbattersi sui protagonisti, dichiarano di voler scomparire, come le gru, in gigantesche caverne, simbolo degli inferi, da cui poi poter risorgere a nuova vita. La danza greca detta gheranos (danza delle gru) prevedeva la partecipazione delle gru che venivano trascinate nella danza da colui che guidava il corteo, mentre i danzatori tenevano in mano una fune, ricordo del filo di Arianna, che veniva dipanata fino a portare i danzatori al centro e poi veniva avvolta segnando il movimento verso l’esterno. Ritorna il tema della direzione verso la morte e, raggiunto il centro, l’inversione verso la vita. Il tema che unisce il motivo della danza e della gru sembra essere quindi il medesimo del labirinto: la trasformazione e il ritorno dalla morte.
Secondo la leggenda del culto di Delo, Teseo aveva eseguito per la prima volta a Delo con i suoi compagni la danza che imitava le circonvoluzioni del labirinto per rappresentare la liberazione dalla morte. Una variante di tale danza doveva essere a Roma il chorus Proserpinae, in cui le danzatrici tenevano tra le mani una fune.
Il secondo cavaliere imbraccia una lancia. Essa rientrerebbe nel significato rituale eroico dell’intera scena sottolineando simbolicamente il senso di autorità, e la forza combattiva guerriera.
I cavalieri che escono dal labirinto e le gru raffigurate sui loro scudi ci riportano, seguendo W. F. J. Knight alle processioni in armi compiute dai Salii, i sacerdoti danzanti di Roma. La nascita del loro ordine era collegata al culto di uno scudo sacro di bronzo, caduto dal cielo e che aveva sanato un’epidemia. Numa Pompilio, il re pio, aveva ordinato ad un fabbro di costruirne altri undici perfettamente simili e aveva voluto che fossero affidati alla custodia del sacerdozio dei Salii, appositamente costituito, in un edificio sacro sul palatino, la Cura Saliorum, accanto alla statua di Marte. Ogni anno i Salii eseguivano dei riti consistenti in danze armate che celebravano l’inizio e la fine della stagione di guerra. Essi danzavano fermandosi in diverse stazioni. Saltellavano a un ritmo ternario, percuotendo gli ancilia (scudi) con una corta lancia e intonando preghiere agli dei. Prendevano parte alle corse dei cavalli e alla purificazione delle armi. La danza richiedeva una dura preparazione atletica. I passi scanditi da colpi pesanti e regolari del piede in ritmo ternario canti e il suono delle lance battute sugli scudi si univano in un unico ritmo.
Il terribile frastuono prodotto dalla percussione degli scudi metallici veniva tradizionalmente usato contro gli spiriti maligni e allo scopo di proteggere la prosperità e la fertilità della tribù, la fertilità delle messi e la fecondità degli armenti.
Vediamo qui sovrapporsi il carattere militare al più antico significato agrario, con un valore apotropaico verso spiriti ed entità negative e di propiziazione del raccolto. È evidente il rapporto che lega il labirinto alla danza.
Il corteo continua con dei fanti armati di corte lance, con scudi su cui sono raffigurati dei cinghiali.
Anche il simbolismo del cinghiale è di origine antichissima, presente quasi ovunque nel mondo indoeuropeo, sopravvive nella tradizione germanica e presso i celti come figura sacra di grandissima rilevanza. Nel mito nato dalla tradizione iperborea raffigura l’autorità spirituale.
La successiva raffigurazione dei tre personaggi secondo H.Kern ed altri autori rappresenterebbe il mito di Teseo a Creta, confermato anche dalla corrispondenza di queste figure con quelle del celebre Vaso François in cui è chiaramente rappresentata l’avventura di Teseo, la lotta con il Minotauro e la danza degli ostaggi liberati.
In particolare le figure rappresentate rimanderebbero al momento in cui Arianna consegna il filo a Teseo prima della prova del labirinto. In relazione a tale mito sarebbero anche le scene della fascia superiore della brocca dove si può vedere un riferimento al sacrificio compiuto dall’eroe di una capra, probabimente disegnata nel momento in cui sta per trasformarsi in ariete (vedi le lunghe corna e la barba).
Seguirebbe l’incontro di Teseo ed Arianna, dopo lo sbarco sull’isola, in prossimità della nave. Due coppie si congiungono a destra del labirinto: esse rimanderebbero al momento dell’unione sessuale tra l’eroe e colei che l’ha aiutato nell’impresa.
Tale configurazione si inserirebbe nel tema tradizionale delle nozze sacre quale congiungimento di principi opposti (sole-luna, cielo-terra, re-regina) che superando la loro contrapposizione dualistica diventano complementari e realizzano la pienezza d’essere, l’unità superiore. Tale tema tradizionale, espresso in numerose e differenti configurazioni simboliche, sosteneva anche le cerimonie di propiziazione della fecondità della terra, molto diffuse nell’antichità, che avevano la funzione di assicurare la fertilità e l’equilibrio cosmico nei momenti di maggiore sacralità e quindi di pericolo, quali l’inizio dell’anno nuovo e la primavera.
Se l’interpretazione più accreditata vede nel complesso figurativo il riferimento all’avventura di Teseo è evidente l’assenza del tema della lotta col minotauro e della danza degli ostaggi liberati, come invece troviamo nel vaso François, ma possiamo supporre che tali motivi siano stati sostituiti dalla rappresentazione della danza armata labirintica, del Troiae lusus praticata nell’Etruria del VII sec. a.C. Nel tema del Troiae lusus possiamo individuare tre aspetti simbolici:
a) la protezione della quiete del defunto;
b) la protezione dei vivi dal defunto;
c) l’indicazione della via che l’anima del defunto deve percorerre nel mondo degli inferi.
Un labirinto è rappresentato anche sulla soglia del tempio di Cuma dove si riteneva fosse l’ingresso dell’Ade.
Possiamo dunque dire che la brocca, collocata in una tomba, rappresenterebbe attraverso i suoi fregi il tema cosmico dell’eterno ritorno all’interno della sequenza vita, morte, rinascita, modello esemplare del motivo iniziatico della trasformazione interiore, essa stessa strettamente legata al motivo del sacrificio rituale quale autoesplicazione dello sviluppo delle singole parti e al contempo di autolimitazione in favore di un’unità superiore trascendente che pur le comprenda.
(tratto dalla scheda iconografica: Il fregio dell’oinochoe di Tagliatella a cura di M. Rita Albanesi, in « átopon» 1992 vol. I)