Ezio Albrile
Angeli e Diavoli – Le origini di un mito
WriteUp – Archidoxa- 2020
Nel suo nuovo e avvolgente libro Albrile recupera il mito degli angeli decaduti, mito tanto tanto caro agli Gnostici, e che gli ebrei a suo tempo carpirono ai babilonesi nel loro esilio “dorato”. In un viaggio culturale che si muove da Babilonia all’Iran, Albrile condivide le tesi di un grande filologo e storico italiano delle religioni, il prof. Giovanni Garbini, raccontando come gli Ebrei si siano in certo qual modo appropriati delle tradizioni sapienziali babilonesi, riscrivendole nel quadro della loro storia sacra.
L’evento determinante di tutto l'”esilio” fu il riciclo della figura più veneranda della memoria nazionale ebraica, Abramo, associata al re Nabonedo; immaginando un legame storico tra il patriarca e le città più vicine al dinasta babilonese. Far nascere Abramo in «Ur dei Caldei», cioè in «Ur di Babilonia», significò prima di tutto trasferire nella Babilonia le origini stesse di Israele; ma la scelta della città di Ur non fu casuale, come non lo fu quella di Ḥarrān, la città che segna la prima lunga tappa di Abramo nel suo viaggio verso la terra promessa. Ur e Ḥarrān erano infatti le più importanti sedi di culto del dio lunare Sîn, di cui era stata importante sacerdotessa Addaguppi, la potente e invadente madre di Nabonedo che trasmise al figlio la devozione per questa divinità. Da non dimenticare poi che Ḥarrān era anche la patria originaria dello stesso Nabonedo.
Le buone condizioni in cui viveva la comunità giudaica di Babilonia, bene integrata ai vari livelli sociali, specie a quelli alti, sono rivelate anche da altre considerazioni. Prima fra tutte il fatto che in Babilonia i giudei abbandonarono la loro lingua parlata, l’ebraico, e assimilandosi all’ambiente babilonese, che in gran parte era già arameofono, conservarono e usarono l’ebraico ormai soltanto come lingua scritta. Questo fu comunque un evento di grande rilievo perché significava voler mantenere intatte le proprie tradizioni culturali, cioè la propria identità, costituita anche da un patrimonio letterario considerato importante e degno di essere trasmesso e incrementato.
In Babilonia gli ebrei incontrarono una cultura decisamente superiore al loro provincialismo rispetto alla civiltà fenicia e all’oralità delle pur ricche tradizioni culturali nordarabiche; tale contatto rappresentò uno stimolo fecondo e propulsivo per gli intellettuali giudei. Purtroppo, dei sessanta anni passati sotto il dominio babilonese, la Bibbia ci ha conservato ben poco. Quindi l’ebraismo, nel costruire la propria identità religiosa, non poté far altro che attingere a una mitologia autoctona, ormai codificata secondo paradigmi che vantavano una tradizione più che millenaria; un’albagia che sarà la fonte di ciò che i posteri conosceranno come «giudaismo». Sempre seguendo il Garbini, Albrile rivela come la documentazione sia ampiamente rimaneggiata, come mostrano le discordanze fra testo masoretico e versione dei Settanta e le corruttele che rendono impossibile una sua ricostruzione filologica soddisfacente.
Nacque così il mito dei «settanta anni» dell’esilio, che erano realmente settantasette. Il settantennio di esilio fu sostanzialmente un’invenzione della letteratura profetica giudaica di tendenza filopersiana: letteratura che si affermò durante il regno di Dario. Lo scarso numero dei partenti rispetto a coloro che restarono in Babilonia e le circostanze in cui la partenza avvenne furono rapidamente dimenticati, come furono dimenticati, sotto i nuovi padroni persiani, il buon trattamento ricevuto da Nabucodonosor e l’amicizia con Belshazzar figlio di Nabonedo.
Tutti questi fatti documentano una interazione fra storia e ideologia dagli esiti culturali significativi: si può infatti pensare all’ideologia come a un mito storico che, partendo dalla storia, compie il processo inverso seguito dal mito. Cioè mentre il mito parte da una realtà «metastorica», fuori del tempo e fuori dallo spazio, per «spiegare» la storia, l’ideologia parte da una consapevolezza storica e abbraccia un «metatempo», perché è in grado di spiegare il passato, il presente e il futuro; capace quindi di fondare una realtà sugli inizi e sul fine della storia.