Che cos’è l’Islam?

P. Giuseppe Scattolin

Che cos’è l’Islam?

Le risposte a questa domanda sono molteplici e varie. Il fenomeno Islam nella storia dell’umanità si presenta con una grande varietà di contenuti e dimensioni. In ogni caso ho cercato di evidenziare in esso quattro dimensioni che lo hanno accompagnato costantemente lungo tutta la sua lunga storia, e che perciò possono essere qualificate come le sue dimensioni fondamentali. Le espongo qui in breve con la problematica che le accompagna. Esse dovrebbero essere trattate in modo ben più ampio.

 

1. L’Islam è una religione

Averroé

L’Islam è prima di tutto una religione. Questo è l’aspetto fondamentale e la forza portante dell’Islam lungo tutta la sua lunga storia. Il fenomeno storico dell’Islam, come pure quello delle altre grandi religioni mondiali, non lo si può spiegare con fattori puramente esterni, come i fattori sociali, economici e politici, ecc. L’Islam ha coscienza di avere una missione nella storia umana, una missione che è essenzialmente religiosa: la proclamazione del monoteismo assoluto (tawîd), contro tutte le forme palesi o nascoste di idolatria (shirk). Le fonti fondamentali di tale messaggio sono: il Libro sacro (il Corano) ritenuto rivelato, e i fatti e i detti (hadith) attribuiti a Maometto (Muḥammad), il Profeta dell’Islam.

La religione islamica si articola poi in un insieme di pratiche o doveri religiosi (‛ibâdât, i cinque pilastri), e di credenze o dogmi (‛aqâ’id, gli articoli di fede), ben presto codificati dal diritto islamico. L’Islam inoltre si è ben presto espresso in due forme che costituiscono le sue due interpretazioni fondamentali: quella sunnita e quella sciita. Nell’Islam sunnita l’interpretazione delle fonti della religione è stata presa in carica dal corpus dei dotti della legge islamica (‛ulamâ’/ ulema), che si sono costituiti come il punto di riferimento fondamentale per l’ortodossia islamica sunnita. L’Islam sciita invece si è frastagliato lungo tutta una serie di imâm (capi religiosi) che si ritengono dotati di un carisma spirituale particolare ereditato da ‘Alî b. Abî Ṭâlib (m. 40/ 661), il cugino del Profeta, e che si sono imposti come le guide qualificate (imâm) per la comunità islamica.

Sulla base del suo monoteismo assoluto, si è sviluppata in Islam una vasta e profonda corrente di spiritualità o mistica islamica, chiamata sufismo (taawwuf), che intende vivere tale fede nella pratica di un’esperienza concreta e profonda di Dio, come la Realtà assoluta. Il sufismo costituisce senza dubbio uno dei più importanti capitoli della storia islamica, anche se è stato spesso ignorato, anzi combattuto all’interno dell’Islam stesso. Il sufismo infatti ha prodotto personalità ed opere di valore mondiale nel campo delle arti e del pensiero, e rimane una parte essenziale della storia dell’Islam. Esso si pone al livello delle grandi correnti di spiritualità presenti nelle grandi religioni mondiali come l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Induismo, il Buddhismo, il Taoismo, ecc. Il sufismo fa parte quindi del retaggio spirituale di tutta l’umanità e deve essere conosciuto da tutti coloro che vogliono avere una visione globale e più completa del mondo delle spiritualità umane.

Problematica. È possibile un dialogo a questo livello religioso e spirituale?

Alcuni negano tale possibilità poiché, a loro parere, qui si tratta di dogmi religiosi assoluti, accettati per fede e non discutibili. In realtà noi crediamo che un dialogo teologico e spirituale sia non solo possibile, ma necessario, anzi esso si pone come il culmine del dialogo fra le religioni, appunto in quanto ‘religioni’, fondate sull’esperienza dell’Assoluto. Occorre superare da parte di tutti molti pregiudizi atavici per avere una comprensione più reale e adeguata della fede dell’altro. Nella fede islamica, ad esempio, la vera affermazione dell’unità di Dio (tawîd) non deve essere concepita alla stregua di un’unità puramente matematica, come molti, anche musulmani, credono. Il tawîd islamico va ben oltre la matematica, esso è un mistero esistenziale di fronte al quale la mente umana entra nella più grande perplessità (ayra), come affermano molti sufi (vedi al-Junayd, m. 297/ 909), e questo perché l’unità divina include anche una reale pluralità. Allo stesso modo, anche il mistero della comunione trinitaria nel Cristianesimo, non è un mistero matematico su come uno sia uguale a tre e viceversa, ma è un mistero di essere-esistenza che supera la pura ragione umana.

Un approccio rispettoso e comprensivo della fede dell’altro deve fare parte essenziale di ogni incontro dialogico serio, senza fare dire all’altro quello che egli non intende dire. A tale livello di dialogo, molte ricchezze spirituali possono essere scambiate fra i credenti delle religioni abramitiche, come pure con quelli delle altre religioni.

2. L’Islam è una legge totale (detta in arabo sharî‛a)

La religione dell’Islam però non si limita al campo del privato, ma coinvolge tutto l’insieme dei rapporti sociali umani (mu‛âmalât): matrimonio, famiglia, eredità, rapporti economici e sociali ecc. L’idea di fondo è che tutta la vita umana deve essere regolata dalla ‘Legge di Dio’ (sharî‛a), perché Dio solo è l’unico e legittimo legislatore per gli esseri umani, anzi per l’intero universo. I musulmani oppongono volentieri la legislazione islamica di origine ‘divina’ alle legislazioni umane ‘positive’, quelle occidentali in particolare, che vengono intese come leggi puramente umane e che devono quindi sottostare necessariamente alla superiore ‘Legge di Dio’ (sharî‛a). Ma qualè questa sharî‛a?

Nell’Islam sunnita si sono ben presto formate varie scuole giuridiche (quattro sono quelle ufficiali: la hanafîta, la malikîta, la shafiîta, la hanbalîta, denominate secondo i nomi dei loro fondatori) che si sono incaricate di interpretare ed applicare la legge di Dio alla totalità del comportamento umano, fino ai minimi e più banali dettagli (es. come lavarsi). Questo ‘sforzo interpretativo’ (ijtihâd) delle prime generazioni islamiche si concluse attorno al III/IX sec., con la formazione delle quattro scuole giuridiche, che sono rimaste fino ai giorni nostri il punto di riferimento fondamentale e autorevole per la comunità islamica sunnita. La comunità shiita invece, come abbiamo accennato, ha seguito un altro percorso, che non è possibile spiegare qui.

Occorre sottolineare che la sharî‛a storica, quella elaborata dai giuristi musulmani lungo la storia islamica, appare fondamentalmente come una legge discriminatrice verso i non-musulmani, ed è posta al servizio del potere islamico, con lo scopo di assicurare ai musulmani il dominio sociale assoluto. La storia dei dhimmî, cioè i protetti dalla comunità islamica (in pratica gli ebrei e i cristiani), mostra chiaramente tale aspetto discriminatorio della legge islamica verso i non-musulmani, e delle sue conseguenze negative. Ci sono ora dei tentativi di riforma (islâḥ) che vogliono adeguare la legge islamica alla Dichiarazione  Universale dei Diritti Umani proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Quindi il mondo islamico si trova in una grande tensione fra tradizionalisti e riformisti, tensione che porta a molti e tragici eventi, come abbiamo visto anche recentemente.

Problematica. È possibile un dialogo a livello della sharî‛a?

Molti musulmani chiedono ora la riapertura della ‘porta dell’interpretazione’ (bâb al-ijtihâd), per dare alla giurisprudenza islamica un nuovo respiro che la metta all’altezza dei tempi moderni. Ora all’interno dell’Islam è in corso una lotta, anzi uno scontro fra due tendenze di base, quella tradizionalista, salafita (salafiyya) e quella riformatrice (iiyya). Dall’esito di tale scontro dipenderà se l’Islam si inserirà nel villaggio globale umano come fattore positivo, pacifico e pacificante, o se invece continuerà ad essere fonte di conflitti e guerre, non più fra villaggi differenti come nel passato, ma fra i quartieri del moderno villaggio globale. La riforma della legge islamica è un punto di fondamentale importanza a tale scopo. Un dialogo interreligioso serio deve aiutare a fare chiarezza su tale punto e aprire nuovi sentieri.

E’ noto che alcuni stati islamici hanno risposto con una ‘Dichiarazione islamica dei diritti umani’, proclamata nel 1981 presso l’UNESCO a Parigi, chiedendo che la Dichiarazione universale dell’ONU sia inquadrata nei principi della Legge islamica. Ma una vera soluzione non è ancora in vista.

3. L’Islam è una civiltà.

L’Islam ha creato nella storia umana una civiltà originale che a diritto si chiama ‘islamica’, e che si inserisce fra le grandi civiltà dell’umanità, antiche e moderne. L’Islam non ha evidentemente creato tale civiltà dal nulla, ma ha preso a piene mani dalle civiltà precedenti, in particolare da quella greco-romana o ellenistica, come pure da altre civiltà (quelle orientali).

Però occorre aggiungere anche che l’Islam non si è limitato a copiare tali civiltà, ma è riuscito a produrre una sintesi originale di tutte le conoscenze e scienze da esse ereditate, fondendole nella sua visione religiosa basata sul monoteismo coranico. Il Corano è infatti per i musulmani il punto centrale di tutta la loro cultura, cioè della loro visione (Weltanschauung) dell’uomo, del mondo e di Dio. Su tale base, l’Islam ha sviluppato il retaggio culturale antico con importanti e originali contributi in tutti i campi dello scibile umano: dalla filosofia, alla letteratura, alle scienze naturali, ecc. Una sintesi simile era già stata fatta dal Cristianesimo dei primi secoli unendo insieme il retaggio culturale della classicità con la fede abramitica. Anche la cultura islamica ha avuto molteplici espressioni attraverso lo spazio ed il tempo. E va riconosciuto che essa ha giocato un ruolo di particolare importanza anche per lo sviluppo delle scienze in Europa all’inizio del Rinascimento europeo.

Tuttavia alla fine del medioevo, la civiltà islamica sembra essere entrata in una profonda crisi che dura tuttora. La causa principale di tale crisi sembra essere stato un diffuso immobilismo teorico e pratico per cui ad un certo punto il mondo islamico si è limitato alla semplice ripetizione e imitazione (taqlîd) del glorioso passato senza vere innovazioni, e senza accorgersi che il mondo stava prendendo strade nuove. È interessante qui notare la differenza che intercorre fra il filosofo arabo Averroé (Ibn Rushd) (m. 1198) e il filosofo cristiano Tommaso d’Acquino (m. 1274), che pure era stato influenzato dal filosofo arabo. Mentre il primo ha commentato Aristotele (m. 322 a.C.) basandosi su traduzioni arabe (non sapeva il greco), in quel tempo ancora assai imperfette, il secondo invece alla fine della sua vita ricercava il testo greco originale per risolvere molte contraddizioni che trovava nel testo di Averroé. Il ritorno alle sue fonti classiche è stato infatti il primo passo del Rinascimento europeo.

Uno studio obiettivo della storia prova che tale crisi è nata prima di tutto all’interno dell’Islam stesso, e non da imposizioni esterne come il colonialismo e l’imperialismo europei, fenomeni più tardivi.[1] Non bisogna dimenticare che l’Impero Ottomano è stato fino all’inizio del XX secolo una delle grandi potenze mondiali di allora, con grandissime risorse e in concorrenza con gli emergenti stati europei del tempo. L’impatto col mondo moderno ha evidentemente aumentato tale crisi interna al mondo islamico, con reazioni diverse, che vanno da una accettazione della modernità fino al suo rifiuto totale, anzi ad una vera e propria guerra contro di essa, che porta spesso a risvolti molto tragici e violenti.

Problematica. È possibile un dialogo fra la civiltà islamica e il mondo moderno?

S. Tommaso

Ora un problema si pone seriamente al mondo islamico ed è il seguente: è possibile una conciliazione fra la civiltà islamica tradizionale e il mondo moderno? Varie le risposte date a questo interrogativo da parte delle varie correnti islamiche, da quelle conservatrici (salafîyya) a quelle riformiste (iiyya). Confrontarsi con la modernità sotto tutti i suoi aspetti, dall’aspetto razionale-critico a quello dei diritti umani fondamentali, ecc.,  costituisce il grande problema e la grande sfida per l’Islam dei nostri giorni. Da questo punto di vista, si nota che la modernità pone una grande sfida a tutte le religioni e culture. Non si può più ripetere il passato senza una profonda riflessione critica su di esso. La fede non rifiuta la ragione, però ne deve accettare la sfida, ma anche l’aiuto che viene da essa. Il Cristianesimo è passato attraverso la crisi della ‘modernità’, e questa è stata per molti aspetti positiva. Questa è la sfida attraverso cui ogni religione e civiltà del passato deve passare per non fermarsi al livello di un pensiero ‘mitico’. Anche l’Islam deve passare attraverso tale ‘crisi’ per mettersi a livello della cultura moderna. Questo comprende una rilettura critica delle sue fonti storiche e di tutto il suo processo storico fino ai nostri giorni. Anche qui il risultato di tale incontro-scontro con la modernità è della massima importanza per una convivenza pacifica tra mondi diversi nello stesso villaggio globale moderno. I conflitti in corso nel mondo islamico sono un segno della drammaticità di tale sfida e confronto. Il dialogo deve aiutare il mondo islamico, come pure tutti gli altri mondi religioso-culturali, a rispondere in modo positivo a tale sfida, con la maturazione di una mentalità più aperta e adulta, con l’accettazione, senza ambiguità, dei principi di libertà e di eguaglianza civili per tutti i cittadini, diritti maturati nel mondo moderno e espressi nella ‘Dichiarazione Universale dei Diritti Umani’ promulgata dall’ONU nel 1948, come detto sopra. Il riconoscimento di tali diritti deve essere considerato una premessa necessaria per una pacifica convivenza, anzi una feconda collaborazione tra i vari quartieri del nostro villaggio umano.

 

4. L’Islam è una politica.

Ma l’Islam non è solo un messaggio religioso e morale per il singolo individuo, ma intende informare tutti gli aspetti della vita umana, e fra questi l’aspetto politico gioca un ruolo fondamentale. Tale convinzione è espressa in un detto ripetuto infinite volte dai musulmani stessi: l’Islam è una religione totale, esso è ‘religione e stato’ (dîn wa-dawla), formula diventata corrente nel linguaggio islamico attuale.[2] È strano notare che molta informazione nostrana ignori quasi totalmente questo aspetto politico dell’Islam, che è un dato chiaramente storico. Maometto (Muḥammad), il profeta dell’Islam, è stato allo stesso tempo il profeta della nuova religione e il capo politico del primo stato islamico, lo stato di Medina. Questo stato è rimasto e rimane il modello e il punto ideale di riferimento per ogni società islamica. In esso si è realizzata la unificazione del mondo secondo la visione islamica: un’unica religione (dîn), un’unica nazione (umma), un’unica guida (imâm). In Muḥammad appare chiara la coscienza che il suo messaggio religioso, cioè l’Islam, era destinato ad espandersi nel mondo intero. Si racconta che nell’ultimo anno della sua vita Muḥammad inviò quattro lettere ai grandi del suo tempo (l’Imperatore di Bisanzio, lo Shah di Persia, il Negus dell’Etiopia, e il Governatore dell’Egitto) invitandoli a ‘convertirsi all’Islam per essere salvi’ (‘aslim taslam’, suona la formula araba), sia ora nel tempo che nell’altra vita. Tale fatto rivela la chiara coscienza di una missione universale presente fin dall’inizio della storia islamica, coscienza che è diventata il movente primo delle grandi conquiste islamiche (futûât) che seguirono la morte del Profeta dell’Islam, e che sono continuate lungo tutta la sua storia fino ai nostri giorni.

Un grande orientalista, G. E. von Grünebaum (m. 1972), afferma che gli arabi musulmani quando uscirono dalla penisola arabica alla conquista del mondo avevano già una chiara coscienza della loro missione: “L’Islam aveva fatto degli Arabi convertiti il centro di una visione universale del mondo, e di conseguenza, quando il tempo venne, il centro di uno stato universale…   l’arabo musulmano aveva il suo centro di gravità in se stesso. Il suo era un popolo eletto, e il dominio appartiene agli eletti”.[3] Il Corano infatti dichiara ai musulmani: “Voi siete la migliore delle nazioni (umma) che (Dio) ha suscitato tra gli uomini” (Corano 3, 110).

Sulla base di tale coscienza, il mondo neblla tradizionale visione islamica è diviso in due parti. Da una parte sta il mondo dell’Islam, dove regna l’ordine (dâr al-islâm) e la pace (dâr al-salâm) islamici, e dall’altra il mondo della non-credenza (dâr al-kufr), ostile all’ordine islamico, e quindi soggetto alla guerra (dâr al-harb) per portarlo alla fede. I musulmani quindi sentono di avere la missione ed il dovere di lottare in tutti i modi (jihâd) contro il mondo dell’infedeltà e della miscredenza (kufr) per portarlo all’obbedienza a Dio. Anche qui, sul concetto di jihâd, occorre chiarirne il significato. Il jihâd non è solo guerra fisica, ma non la esclude anzi molte volte la sostiene. Tutte le guerre islamiche, anche quelle intestine fra gli stessi musulmani, sono state fatte ‘in nome di Dio’, e sono state chiamate jihâd nella letteratura storica islamica.

Per raggiungere tale scopo occorre, secondo i movimenti fondamentalisti, riportare prima l’Islam al suo modello originale. Per tale motivo la questione del successore (khalîfa) di Muḥammad, il Profeta dell’Islam, è diventata di primaria importanza. Molti sono i musulmani, soprattutto nei movimenti salafiti, che pretendono di essere i legittimi pretendenti a tale incarico.

Problematica. È possibile un dialogo fra mondo islamico e mondo moderno?

Questo connubio tra religione e politica è un aspetto molto pericoloso della realtà storica dell’Islam. L’Islam è portatore di un progetto religioso-politico, chiamato a volte l’‘Islam politico’ (islâm siyâsî). Questo connubio tra religione e politica ha portato e porta necessariamente ad una ‘sacralizzazione della politica’ o ad una ‘politicizzazione del sacro’, con conseguenze molto tragiche, come constatiamo nella nostra storia recente. Per tale motivo, occorre che questa miscela altamente pericolosa sia disinnescata dall’interno dell’Islam stesso mediante adeguate riforme culturali e sociali, come molti riformisti si augurano.

Il dialogo interreligioso è chiamato ad aiutare il mondo islamico, come pure gli altri mondi religioso-culturali, ad orientarsi verso un’attitudine positiva per una convivenza pacifica con l’altro, il diverso, nel comune villaggio globale umano. Molti recenti incontri fra i due mondi, il cristiano e l’islamico, [4] hanno messo l’idea della ‘fraternità universale’ come meta comune da raggiungersi al più presto da parte di tutti, in modo da creare un villaggio umano in cui tutti possano vivere insieme la propria umanità come fratelli e sorelle, uniti nell’unità e nella differenza, superando le tradizionali rivalità che hanno portato nel passato, e portano tuttora, a conflitti e guerre di ogni genere. Tutti noi speriamo che sia sorta finalmente l’aurora di un mondo nuovo, mondo sognato e desiderato da secoli da innumerevoli popoli e nazioni: il mondo della pace.

P. Giuseppe Scattolin

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[1] Vedi l’interessante analisi fatta da Bernard Lewis, What Went Wrong (Che cosa è andato storto)?, Oxford University Press, Oxford, 2002.

[2] L’espressione ‘religione e stato’ (dîn wa-dawla) sembra essere un’espressione moderna che non si trova come tale nei trattati politici classici, in cui però si trovano delle espressioni equivalenti. Il potere politico veniva designato allora con espressioni come regno (mulk), impero (imâra), dominio (salṭana), ma soprattutto con il termine califfato (khilâfa), che è ‘la successione’ al Profeta dell’Islam, Muḥmammad, che includeva i due poteri quello religioso (la sharî’a) e politico (la sua applicazione). Ultimamente si è imposta la formula ‘religione e stato’ (dîn wa-dawla), come accennato sopra. Naturalmente questo tema è molto vasto e non c’è spazio qui per una sua trattazione completa. Bastano questi pochi cenni.

[3] G.E. von Grünebaum, ‘The Sources of Islamic Civilization’, in The Cambridge History of lslam, ed. by P.M. Holt, Ann K.S. Lambton, Bernard Lewis, Cambridge University Press, Cambridge, 1970, vol. 2, 472.

[4] Vedi il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato a Abû Dhabî il 4 Febbraio 2019 da Papa Francesco e l’imam di al-Azhar, il Dr. Ahmad al-Ṭayyeb, sembra costituire l’inizio di un nuovo percorso nei rapporti fra le due religioni, Cristianesimo e Islam, e un nuovo impulso per un dialogo globale fra tutte le religioni. Vedi una sua presentazione in: Paolo Branca-Antonio Cuciniello, Per una fratellanza umana – Cristiani e musulmani uniti nella diversità, Edizioni Paoline, Milano, 2021.