Le quattro premesse per un serio dialogo interreligioso

P. Giuseppe Scattolin

Le quattro premesse per un serio dialogo interreligioso

 

Introduzione

L’Islam, ovvero il fenomeno storico chiamato ‘Islam’ in tutti i suoi aspetti, è balzato quasi improvvisamente alla ribalta della nostra storia contemporanea, riempiendo sempre più i titoli dei nostri media. Per molti questa apparizione è stata una sorpresa inaspettata, e molti analisti del sociale si sono dati da fare per trovare le cause di tale fenomeno. Ma in realtà essi sembrano essere persone che seguono le onde capricciose alla superficie del mare senza tener conto delle correnti profonde che lo muovono. Le loro analisi di fronte ai grandi fenomeni della storia umana suonano in genere molto superficiali. E’ come accade dopo certi delitti che la gente sorpresa esclama: ma come? Non erano persone normali? E non sanno rendersi conto di tali fatti, non conoscendo le cause profonde del comportamento di quelle persone. Allo stesso modo troviamo molta gente che sorpresa di fronte alla violenza del fondamentalismo islamico esclama: ma l’Islam non è la ‘religione della pace’ come dice il suo nome?! Per questo è necessario avere una buona conoscenza della storia reale dell’Islam che affonda le sue radici nella sua storia passata. Nulla nasce per caso nella storia. Di qui emerge l’importanza di conoscere tali fenomeni storici nelle loro vere radici storiche per non seguire piste false e fuorvianti.

Quello che presento qui è un tentativo di mettere in luce alcuni elementi importanti che possono aiutare ad ottenere una maggiore e completa conoscenza del fenomeno islamico nella storia umana. A tale scopo presento come premessa quattro principi che mi sembrano fondamentali per una lettura dei fenomeni storici umani nel modo più oggettivo e completo possibile. Questi principi sono: il principio della realtà e della verità, quello dell’universalità e dell’umanità. Tali principi sono presenti alla base della vita e del pensiero umani in generale, quindi reperibili in tutte le culture e religioni mondiali.

 

1. Il principio della realtà

Fu chiesto una volta al grande pensatore buddhista, il Dalai Lama: ‘Qual è la religione migliore?’ Egli da saggio buddhista rispose: ‘La religione migliore è quella che rende le persone migliori’.

Ma, si potrebbe chiedere ancora: e che vuol dire essere migliori? La risposta a tale quesito, almeno per le religioni abramitiche, quelle cioè che riconoscono la loro origine nella fede di Abramo, non dovrebbe essere difficile o lasciare dubbi. L’essere umano è visto in esse come ‘immagine di Dio’; egli deve quindi imitare le qualità fondamentali di Dio, realizzare cioè la ‘imitazione di Dio’ (imitatio Dei). E queste qualità divine fondamentali riconosciute (o meglio che dovrebbero essere riconosciute) da tutti sono a mio parere cinque: la misericordia e l’amore, la verità e la giustizia, e la pace: queste qualità divine si trovano in molti testi ispirati delle religioni abramitiche (cf. Salmo 85, 11-12). A queste cinque qualità fondamentali si possono facilmente ricondurre tutte le altre qualità divine menzionate in tali testi.

Ma a ben notare tali qualità divine sono pure facilmente reperibili in tutte le grandi religioni mondiali come il Buddhismo, l’Induismo, il Taoismo, il Confucianesimo, ecc. Quindi possiamo affermare che ci troviamo qui di fronte ad un largo spazio di incontri e dialogo interreligiosi in cui possiamo e dobbiamo scambiarci i grandi tesori di sapienza e saggezza accumulati nelle generazioni passate in tutte le più grandi e autentiche tradizioni religiose dell’umanità.

A tale punto si può pure affermare anche che il santo o la santa del futuro non potrà più essere tale solo per la sua ‘tribù’ religiosa (che sia cattolica o islamica, induista o buddhista, o ideologica ecc.), ma dovrà essere riconosciuto come tale da tutte le ‘tribù’ umane: i santi del futuro dovranno essere santi e sante di tutti, fratelli e sorelle universali al di là di ogni limite tribale, e questo perché essi hanno incarnato nel modo più vero e universale le cinque qualità divine riconosciute tali da ogni essere umano che vive sul nostro pianeta, anzi valide per tutto l’universo. Questa è la vera santità universale richiesta ora nel nostro mondo globalizzato. Questo è il vero miracolo della santità, miracolo divino che sta ben al di là dei miracoli ‘materiali’. In tale campo abbiamo avuto degli illustri precursori, in persone come S. Francesco d’Assisi, Mahatma Ghandi, Martin Luther King, Madre Teresa, e a tante altre.

Ma nello stesso tempo dobbiamo confessare che noi tutti esseri umani abbiamo commesso, senza eccezione, molta, anzi troppa violenza nella concreta e tragica realtà della nostra storia umana, violenza che nessuno dovrebbe cercare di nascondere o negare. Tutti abbiamo peccato, e commesso ogni sorta di abominevoli delitti proprio in nome della nostra religione… e chi è senza peccato scagli la prima pietra…! Per cui l’unica vera, sincera e realistica attitudine preliminare ad ogni dialogo deve essere quella di una seria confessione di violenze commesse, e una radicale conversione da parte di tutti. Nessun alibi è giustificabile, se non si vuole continuare a ripetere la storia dei tragici avvenimenti del passato.

2. Il principio della verità

Questo principio è stato affermato nel famoso detto aristotelico (o attribuito a lui): “Platone è mio amico, ma ancor più lo è la Verità (Amicus Plato, sed magis amica veritas)”; principio che Gesù che ha perfezionato affermando: ‘La Verità vi farà liberi’. La sincera ricerca della verità è una premessa indispensabile per ogni dialogo interreligioso serio, soprattutto nel nostro caso fra il mondo cristiano e il mondo islamico. La verità va detta e proclamata anche se può ‘urtare’ molti sentimenti personali di varia origine, fra familiari, tribali, culturali, ecc. Solo in tal modo il dialogo potrà partire da premesse serie di sincerità e verità, liberandosi da un atteggiamento assai diffuso del ‘politicamente corretto’ o del ‘doppio linguaggio’, cioè di cercare di nascondere la verità sotto parole ingannevoli, segno di una ipocrisia di fondo.

3. Il principio dell’universalità

Questo principio si erge contro ogni forma di tribalismo culturale e religioso, ed è  ricavato da un detto classico che recita: “Non conosci Platone, se conosci solo Platone (Platonem non novisti si tantum Platonem novisti)”. Questo principio mette in guardia dal ridurre tutta la realtà e tutta la conoscenza umana a livello della propria tribù umana. Questo fatto si è ripetuto e continua a ripetersi nella storia umana. Siamo attaccati alla nostra cultura, civiltà e religione considerandoli degli assoluti. Facciamo del nostro ego personale, culturale e religioso il centro dominante ogni cosa. Questa è la radice dei vari tipi di fanatismi e fondamentalismi che hanno insanguinato, e continuano ad insanguinare, la lunga storia della nostra umanità. Quando l’ego (culturale, politico, religioso) diviene il ‘centro’ assoluto di tutto e di tutti, allora non c’è posto per l’altro, il diverso. Gli altri devono per forza essere fagocitati da questo ego tribale dominante e vorace, in una abissale ignoranza della vera Realtà.

4. Il principio dell’umanità

Anche questo principio è ricavato da un altro detto classico, quello del scrittore romano Terenzio (Publius Terentius Afer, m. ca 195/185 a.C.), esso recita: “Sono un essere umano e nulla di ciò che è umano ritengo estraneo a me (Homo sum, et humani nihil a me alienum puto)”. Questo detto ci ricorda che nessuno è il possidente esclusivo della comune umanità. Tutti ne siamo partecipi, e siamo responsabili del suo bene o del suo male. ‘Nessun uomo è un’isola’, diceva il grande monaco trappista Thomas Merton (m. 1968). Tutto ciò che è umano ci tocca, e dobbiamo lasciarci toccare da esso. Restare indifferenti davanti a qualsiasi aspetto dell’umanità che riguarda ogni uomo e tutto l’uomo, è segno della perdita dell’umanità in noi, e quindi della caduta nell’inumano, nel nihilismo assoluto. Questo principio deve dare origine ad un reale umanesimo universale che tocca tutti noi, come singoli e come comunità umana. Esso pure può essere trovato facilmente nei testi sacri delle grandi religioni mondiali.

Queste sono a mio avviso le premesse necessarie per un serio dialogo fra le religioni, ed è su tali basi che presento qui la mia visione della realtà islamica, come ripeto, nella sua realtà storica, e non in una sua idealizzazione che mai è esistita nella storia reale. Tale conoscenza intende essere reciproca, storicamente obiettiva per quanto possibile, ma anche simpatetica, aperta cioè a cogliere i lati positivi di ogni parte coinvolta nel dialogo, per trovare un terreno comune su cui costruire dei nuovi rapporti umani nel mondo globalizzato.

L’Islam costituisce un movimento storico complesso che ha dato origine nella storia umana ad una civiltà originale: la civiltà islamica. Questa ormai con i suoi quattordici e più secoli di presenza storica costituisce uno dei principali capitoli della storia umana passata; ed è destinata ad influenzare la storia umana nel suo futuro prossimo e lontano. È necessario quindi conoscere bene tale realtà se ci si vuole mettere in un rapporto reale con essa.

Analizzando l’Islam nella sua realtà storica, emergono, a mio parere, quattro aspetti fondamentali che sono stati sempre presenti in esso dal suo inizio fino ai giorni d’oggi, e con cui dobbiamo fare i conti, e che possono essere considerati come la struttura fondamentale dell’Islam. Essi sono: religione, legge, civiltà e politica.[1]

P. Giuseppe Scattolin

 

[1] Per ulteriori approfondimenti di questi temi vedi: Giuseppe Scattolin: L’Islam nella globalizzazione, Dio e uomo in Islam, Spiritualità dell’Islam, Islam e dialogo, EMI, Bologna, 2004.