Dioskuroi

Ezio Albrile

Nemesi, la dea, a un certo punto prende l’aspetto di Leda, una semplice mortale, per far scontare agli uomini la disgrazia di non essere dei.
Nella vicenda sono coinvolte quattro individualità, quattro bambini iniziaticamente “femminielli”, due giovani, i Dioscuri (i «figli di Zeus») Castore e Polluce e due fanciulle, Elena e Clitennestra, sorelle dei Dioscuri. Quindi l’entità “ovulare”, “embrionale” di Leda, è all’origine di una generazione polarizzata in maschile e femminile, una bipolarità che non è compatibile con altri modelli sacrificali greco-romani. Né tantomeno il suo ciclo mitologico.

Una serie di omologie con i miti vedici può aiutare a ricostruire la struttura e la trasformazione di questa storia. Nel suo divenire è possibile cogliere, secondo la più semplice delle interpretazioni, la soluzione del conflitto cosmico, espresso dal motivo della vittoria di un ordine superiore sull’elemento informe e primordiale. Nello strato più recente del Ŗg Veda, la sconfitta e l’uccisione del mostro Vṛtra, da parte di Indra, equivaleva ad un atto fecondante, affinché le acque da esso trattenute potessero fluire e liberare il principio solare contenuto nelle acque stesse. Un sostrato mitologico a una vicenda bellica di rinnovamento cosmico-politico.

È in tale spazio cosmogonico, dal fecondarsi del fuoco e delle acque primeve, che si genera la successiva creazione del mondo. Il Mithra vedico, in coppia con Varuna, è simbolo dell’unità nella dualità, si trasforma nel fuoco e nelle acque fecondanti ed è, come il fuoco, duplice, nascosto e manifesto. Per questo il vedico Agni, l’elemento igneo, nato dalle acque celesti, da cui scaturisce il fulmine (cf. Yašt 19,52), è androgino, come le acque sono per definizione luminose. Stesso carattere androgino ha il toro/vacca (ŖgVeda:10,5,7), espressione del dio lunare Soma. Anche nella tradizione zoroastriana, la vita è organizzata a partire da coppie di contrari, allo stesso modo in cui la liturgia più antica associava le offerte del fuoco e dell’acqua nel rituale dell’Haoma; un tale riscontro c’è in un passo dello ps. Ippolito che riferisce come i Magi ammettessero due soli principi: il Padre-luce e la Madre-tenebre e che questi due principi (id est: Ohrmazd e Ahriman) fossero stati formati da Zurwan tramite fuoco e acqua .

Nel riciclo “tradizionale” del mito dei Dioscuri , nel bene e nel male, sono congiunti il divino e l’umano; i semi di Tindaro, lo sposo uomo, e di Zeus, l’amante dio, si sono mescolati nel grembo di Nemesi-Leda per stare uno vicino all’altro pur restando distinti e opposti. Dei due gemelli maschi, l’uno, Polluce discende direttamente da Zeus, è immortale; l’altro, Castore ha origine da Tindaro. Nel combattimento ingaggiato contro i cugini Ida e Linceo, Castore trova la morte e scende agli Inferi mentre Polluce, vincitore ma ferito, è innalzato al cielo, sull’Olimpo, da Zeus. Nonostante la loro diversa ascendenza e la loro natura opposta, i due fratelli sono tanto legati l’uno all’altro, tanto inseparabili quanto le due estremità della dokana, l’egida di guerra che, a Sparta, li rappresenta. Polluce ottiene da Zeus che l’immortalità venga divisa in egual misura tra lui e suo fratello, di modo che ciascuno dei due benefici, per metà del tempo, di un soggiorno in cielo presso gli dei, per l’altra metà di un esilio sotto terra, negli Inferi, nel regno delle ombre, insieme ai mortali. Anche Clitennestra ed Elena si attirano come due calamite. Ma Clitennestra, che si dice figlia mortale di Tindaro, è interamente nera: ella incarna la maledizione che grava sulla discendenza degli Atridi, è lo spirito vendicatore che provoca la morte ignominiosa di Agamennone, il vincitore di Troia.

Elena, stirpe di Zeus, mantiene in quanto a sé, perfino nelle disgrazie che provoca, un’aura divina. Lo splendore della sua bellezza, che la rende temibile grazie al potere della seduzione, non smette pertanto di irradiarsi dalla sua persona e di circondarla di una luce in cui brilla il riflesso del divino. Quando Elena abbandona il proprio sposo, il palazzo reale, i figli, per seguire il giovane straniero che le propone un amore adultero, è colpevole, è innocente ? Talvolta si narra che Elena abbia ceduto al richiamo del desiderio, al piacere dei sensi, più di quanto non fosse affascinata dal lusso, la ricchezza, l’opulenza, il fasto orientale di cui faceva mostra il principe straniero. Talvolta si afferma invece che è stata rapita con la forza, suo malgrado e nonostante abbia opposto resistenza.

Vien da chiedersi quanto della bipolarità evocata nel mito dei Dioscuri sia stata recepita dal “tradizionalismo”, e quanto della omosessualità palese diffusa nelle caste guerriere ( e non solo cfr. K. J. Dover, L’ omosessualita nell’antica Grecia, Torino : Giulio Einaudi, 1985) abbia influito non solo fantasmaticamente nella costruzione del nuovo mito. Si pensi alla identità femminile del neofita, nymphus, “femminiello” conteso dagli adepti nel sacello romano del dio Mithra, un dinamismo bio-cosmico che, nel racconto mitico, congiunge l’aurora solare (Mithra) alla rugiada della Luna (la semenza del toro celeste) e al rinnovarsi della vita sulla terra. In uno stesso senso, la scena della tauroctonia romana era caratterizzata da una serie di opposizioni cosmiche che ne mostrava l’interazione. Mithra e il toro primevo venivano cioè a rappresentare l’unione degli opposti, l’alternanza del sole e della luna, del fuoco e dell’acqua, nel ciclo dei giorni.

Ezio Albrile