Introduction à la mythodologie Mythes et societés

(da átopon Vol. V )

Gilbert Durand
Albin Michel, Paris 1996, pp. 243

Jean Jacques Wunenburger

Limmaginario continua ancora spesso a essere percepito come un campo di rappresentazioni votate all’irreale e consegnate all’affettività e dunque a essere collocato agli antipodi della razionalità.

Fin dagli anni 1960 la rivalutazione del linguaggio simbolico dei miti ha oscillato tra la tradizione strutturalista, che ha messo in evidenza la logica combinatoria immanente alla loro produzione (Cl. Lévi-Strauss), e l’ermeneutica (M. Eliade, P. Ricoeur) che privilegia la recezione interpretativa del loro senso latente.

Da più di trent’anni, G. Durand e la rete di ricercatori che egli ha promosso e animato hanno dato origine a una terza modalità metodologica che vuole evitare l’eccesso di formalismo degli uni e di soggettivismo degli altri. La «fantastica trascendentale» illustrata negli anni ‘60 dalle «Strutture antropologiche dell’immaginario», diviene oggi una «mitodologia».

Il suo ultimo libro, opera di grandissima e vasta cultura (si passa, in una rara visione sinottica, dai paradossi EPR della fisica alla storia della spiritualità francescana) in cui la chiarezza del linguaggio si accompagna a una grande audacia speculativa, elabora l’epistemologia di una vera scienza dell’immaginario e ne sviluppa molteplici applicazioni nel campo della storia della cultura.

L’immaginario, identificato al mito, inteso come costruzione di immagini archetipiche ridondanti, è un linguaggio metastorico di forme psichiche, costituito da mitologemi, che si attualizzano attraverso dei drammi.

I miti riguardanti gli dei avrebbero dunque origine da nuclei di senso autonomo e non, secondo quanto sostengono le tradizioni evemeristiche o positiviste, da fictions proiettive o da sintomi di infrastrutture sociali.

G.Durand si fa sostenitore di un’antropologia antiriduzionista (nella linea di Bachelard, Jung, Eliade, Corbin, ecc.) che vede nelle immagini, nei simboli e nei miti produzioni analogiche dello psichismo notturno, simmetriche alle produzioni digitali proprie della ragione diurna.

Secondo G. Durand, lo studio dei miti appartiene a pieno diritto alla scienza dell’uomo in quanto partecipa ad una epistemologia generale, condivisa dalle scienze naturali contemporanee, e in quanto permette di costituire una scienza generale della topica e della dinamica dei fatti culturali.

Questa mitodologia poggia innanzitutto su un rovesciamento epistemologico.

La natura e la funzione dei miti si illuminano solo se si consente a riconoscerne un senso immateriale, implicante, potenziale, costituito da forme informative primordiali. Esse si attualizzano nello spazio e nel tempo attraverso un processo di ridondanza (paradigma proveniente dalle scienze dell’informazione) che fissa il senso eliminando «il rumore» e si sviluppano alla maniera di un processo di embriogenesi, secondo i processi dei «creodi», non per una causalità  a tergo (relazione di causa e effetto), ma per attrazione formativa, in cui la causa finale si confonde con la forma compiuta.

I miti si inscrivono così in «bacini semantici», in sistemi evolutivi che obbediscono a configurazioni successive, designate dalle stesse metafore geografiche: scorrere delle acque, divisione delle acque, confluenza, nome del fiume, dispersione in meandri in un delta.

Sulla scia di Bastide e di Moles, Durand esamina le possibilità dell’immaginario e i suoi numerosi effetti strutturanti e perversi (periodo esplosivo, distanza dal reale, categorie di eresia e di sciismo, ecc.).

Questa sistemica delle forme (sincronia) che si pluralizza nella storia (diacronia), permette dunque di passare in esame le variazioni delle forme culturali nel tempo, sia delle opere d’arte individuali (mitocritica) che delle forme direttrici di una società (mitoanalisi).

La mitodologia permette di elaborare un modello euristico delle figure mitiche (dominanti o recessive) e del loro sviluppo in tendenze ( trend ) che oscillano in un andamento a fasi, in cui i temi conoscono periodicamente ascensione e discesa, per captazione, rinforzo, dissoluzione.

Questa meta-storia culturale permette di sviluppare anche una ritmica dell’immaginario, dell’ampiezza di tre generazioni umane, in cui un paradigma cede il posto a un altro.

Una ricca analisi esamina anche l’evoluzione del mito cristiano, sorto dal millenarismo gioachimita, che vede succedersi le figure di Prometeo, Dioniso e Ermes.

Sovrapponendo la storia dell’immaginario naturalista (legata allo sviluppo del francescanesimo europeo) e quella della sua ridondanza romantica, G. Durand abbozza un’interpretazione del XX secolo che conferisce straordinaria coerenza, pluralistica e dinamica, all’insieme dei fatti culturali della modernità e della postmodernità.

L’immaginario elevato così a matrice delle rappresentazioni e degli avvenimenti di una società, non può essere assimilato a una oscura dimora di credenze erratiche e illogiche, ma costituisce una logica creatrice che fa comprendere l’economia generale del senso, ma anche le ragioni dei suoi derivati patologici, dal momento che i miti respinti provocano rabbiose reazioni, quando ci si oppone alla loro incarnazione.

La mitodologia appare dunque come uno strumento teorico per comprendere la storia come sistema, ma può anche servire da guida etica per valutare il presente e forse per fornire un mezzo per trarre lezioni dalla storia e dalle sue tragedie.

Jean Jacques Wunenburger