Philosophie des Images (da átopon Vol. V )

Jean Jacques Wunenburger
P. U. F., Paris 1997, pp. 322

Maria Pia Rosati

L’onnipresenza delle immagini segna ai nostri giorni la vita dello spirito e della cultura, sì che si parla ormai della fine dell’era Gutemberg, dominata dalla scrittura e dalla cultura astratta, e della nascita di una «civiltà delle immagini».

Wunenburger, direttore del Centro di Ricerche sull’immaginario e la razionalità Gaston Bachelard, fondato da Gilbert Durand trenta anni or sono, ha voluto con questo libro indurre a una riflessione teorica e critica sull’immagine, non più procrastinabile in questa situazione storica.

«L’immagine – scrive l’autore – costituisce infatti una categoria mista e sconcertante, che si situa a mezza strada tra concreto e astratto, reale e pensato, sensibile e intelligibile. Essa permette di riprodurre e di interiorizzare il mondo, di conservarlo mentalmente grazie a un supporto materiale, ma anche di farlo variare e di trasformarlo. L’immagine costituisce una rappresentazione mediana, mediatrice che collabora sia alla conoscenza del reale che alla dissoluzione nell’irreale. Essa si innesta su contenuti sensoriali nati dall’esperienza, ma è anche impregnata dei significati che emanano dalle attività intellettuali, attualizza forme del mondo secondo configurazioni inedite, ma si espone a proiezioni affettive del soggetto».

Tali elementi hanno fatto sì che in passato nel mondo occidentale l’immagine fosse considerata ambigua e pericolosa dai filosofi, interessati piuttosto alle percezioni e ai concetti. Tuttavia in questo secolo, di fronte al crollo dell’onnipotenza della razionalità astratta, l’immagine è stata oggetto di interesse scientifico crescente. La psicoanalisi, la psicologia e la sociologia hanno nuovamente messo l’immagine al centro delle osservazioni e degli interrogativi sull’uomo; lo studio delle società non europee basato sulle arti plastiche, i miti e le credenze magiche, ha obbligato a riconoscere l’importanza dell’immagine.

La filosofia ha dunque dovuto rivedere alcune sue istanze tradizionali, rinnovare concetti e teorie e rivalutare l’immagine.

Secondo l’autore, il compito dell’approccio filosofico sarà quello di determinare la natura e la funzione delle immagini, sviluppare i presupposti e le implicazioni delle teorie su di esse, interrogarsi sui valori e significati delle rappresentazioni. Tale approccio è inseparabile da considerazioni metafisiche, epistemologiche, estetiche e etiche in quanto l’identità dell’immagine, la sua estensione, il posto che le si può accordare nella vita intellettuale affettiva e sociale necessitano di una determinazione riflessiva e assiologica.

Il testo di Wunenburger si articola in tre momenti. Dapprima si pone il compito di chiarire i presupposti metodologici relativi alla tipologia delle immagini e a alcuni approcci filosofici recenti di queste rappresentazioni. Quindi cerca di ricostituire i materiali teologico-metafisici che hanno sempre sotteso la cura delle immagini nella tradizione filosofica europea, interessandosi soprattutto del rapporto dell’immagine con il modello e dell’«essere» dell’immagine. Infine vuol rendere conto dei differenti valori e funzioni attribuiti alle immagini, sia dal punto cognitivo che pratico.

La categoria dell’immagine è studiata nella sua più ampia estensione, diversità fenomenica e storica e è sempre rispettata la pluralità empirica e dunque l’eterogeneità, la singolarità, l’atipicità di ogni specie di immagini. È comunque evidenziato il denominatore comune di queste rappresentazioni e cioè la loro natura doppia o la loro identità “a mezza strada”. Semi-concrete e semi-astratte, intrecciate di sensibile e di intelligibile, costituiscono un territorio filosofico che non può essere chiuso nei limiti di una sola disciplina, ma che rimane sempre aperto, pronto a convocare le discipline della metafisica, dell’epistemologia, della filosofia, dell’arte, della morale, della politica.

Per quel che riguarda il posto che l’immagine deve occupare nella filosofia, Wunenburger conclude che l’immagine occupa lo spazio che separa i due tipi di rappresentazioni estreme: un concetto puro senza immagini e un contenuto empirico. Poiché la nostra vita intellettuale, la nostra coscienza, la nostra affettività sono inseparabili dalle mediazioni di immagini e dalle loro proprietà diverse e complementari che ci permettono di guardare più da vicino la natura prima delle cose, è compito della filosofia, oggi più che mai, considerare la natura immaginifica dell’uomo, cioè l’uomo che immagina.

Tra tutti i tipi di immagini è comunque dato uno spazio particolare all’immagine simbolica, visiva o verbale, in quanto essa non si esaurisce mai nell’immediato, ma dà luogo a un ritrarsi, a una distanza che diventa spazio di pensiero. Non è possibile ignorare l’importanza dell’immagine in quanto immagine, nella sua immediatezza, brevità e apparenza. Tuttavia l’immagine diventa veramente scrigno di senso quando dà la possibilità di riflettere, grazie alla risonanza che da essa emana: in questo senso «costituisce lo specchio per eccellenza della vita dello spirito».

Maria Pia Rosati