I ndagando sulla II guerra mondiale, lo storico inglese Alan John Percevale Taylor incontra una semplice verità strategica: l’abile generale Chiang Kai-sheck interponendosi in una zona chiave della Cina e tenendovi impegnato il Giappone ha impedito che la Russia venisse attaccata in oriente alle spalle mentre stava riversando vittoriosamente l’intero suo potenziale contro la Germania hitleriana.
L’osservazione riguarda un fatto discretamente ovvio che la vulgata ha però preferito tenere in ombra; del resto la valorizzazione del contributo chiave della Cina nazionalista, sostanziale per gli esiti dell’intera guerra, avrebbe appannato i protagonisti di Yalta.
Naturalmente il peso della nazione Cina non si sarebbe lasciato comprimere dalla propaganda, si sarebbe comunque fatto valere per qualsiasi equilibrio in estremo oriente e l’importanza degli equilibri in estremo oriente si sarebbe imposta per qualsiasi disegno di stabile assetto mondiale.
Risulta perfino banale riconoscere che un’indagine sulle chiavi della situazione mondiale attuale esige una adeguata valutazione della maggiore potenza asiatica. Alla fin fine, la forza delle cose costringe ogni interpretazione del nostro tempo a prendere in carico le dinamiche dell’oriente.
L’interpretazione può cominciare dal piano storico-politico-militare ma poi deve passare all’approfondimento del senso riposto delle componenti che si manifestano su questo piano.
L’ osservazione di Taylor portava a una constatazione più generale dalla quale è opportuno prendere le mosse: le direttrici dei protagonisti dell’attacco, della Germania verso est e del Giappone verso ovest, non si sono saldate.
L’osservazione di fondo non cambia anche se si assume che la Germania avrebbero dovuto sfondare più a sud, dai Balcani ai domini inglesi di Persia e India per raggiungere i giapponesi che dal canto loro erano già in Indocina. In tale caso i tedeschi avrebbero dovuto egualmente piegare nel Caucaso la Urss (non impegnata da alcuno ai confini orientali e meridionali) e i giapponesi egualmente travolgere Chiang che si frapponeva in Birmania tra loro e l’India.
Certamente lo sbocco di un evento complesso come la II guerra mondiale non può essere attribuito a un solo fattore, ma la suddetta mancata saldatura ha condizionato in profondità le sorti della guerra. In effetti, la mancata saldatura e la sconfitta delle potenze dell’Asse sono la stessa identica cosa.
Chi volesse cercare di afferrare il senso delle cose dovrebbe dedicare una particolare attenzione allo scacchiere orientale. A ciò spingono vari motivi, fra tutti si può e si deve trascegliere il fatto altamente significativo che la Germania giocò il destino dell’edificando Reich millenario in una azione che volle denominare Assalto a Est .
L’accaduto ha rappresentato molto di più di un mero insuccesso militare ed è necessario considerarlo sotto una prospettiva più penetrante. L’idea dell’assalto a est solleva infatti un groviglio insospettabile.
N on appena abbiamo portato, o riportato, la nostra attenzione sul peso qualificante dell’orizzonte orientale nella guerra che ha deciso il nostro mondo, sentiamo un prepotente richiamo a tentare una lettura generale da un’ottica non limitata. Gli eventi hanno assunto un valore fondante relativamente alla cultura, alla civiltà, al senso della vita, alla psicologia degli uomini attuali; questi eventi sono stati condizionati e decisi dal problema dell’oriente. è precisamente questo problema che deve essere spiegato e compreso se vogliamo comprendere chi siamo
In particolare siamo noi europei a dovere comprendere, dato che la grande partita europea, con la II guerra mondiale, viene decisa in oriente.
La II guerra mondiale determina il collasso dell’ordine mondiale fondato sull’Europa, sicché la comprensione del significato del pólemos comporta la comprensione del destino dell’Europa.
L’occidente si slancia a oriente e inciampa, la questione orientale si rivela essere il cuore della questione occidentale. L’occidente ha dimostrato di non essere in grado di affrontare il mitico viaggio in oriente della tradizione senza soccombere. L’ultimo secolo si era aperto con l’oriente ridotto a bottino dell’imperialismo occidentale ma la colonizzazione dell’oriente si è rivelata una trappola. La grande questione d’oriente si è rovesciata in una grande questione d’occidente.
L’occidente – nella sua massima espressione storica, l’Europa – ha voluto o dovuto andare in oriente, in Asia. Ancora oggi le esigenze dell’economia capitalistica e lo sviluppo del sistema tecnico-industriale spingono verso i mercati orientali, un’onda lunga porta ancora l’occidente a fare i conti con l’Asia.
II
T orna così il problema del nodo di Gordio. Che l’Asia o l’oriente siano un «nodo» è una delle formule più rivelatrici con cui si presenta il problema essenziale dell’occidente e con cui, nella guerra mondiale al centro del Novecento, perviene alla resa dei conti la questione europea.
La lotta si era dispiegata sotto le insegne della tradizione contro il materialismo e la degenerazione del secolo ma le potenze ammaliate dalle ideologie della tradizione si rivelano incapaci e indegne dell’impresa.
L’occidentale che non riesce a reggere l’impatto con l’orientale deve avere perduto l’appoggio delle potenze capaci di sostenerlo in una impresa in cui ha scommesso di risolvere se stesso.
In quale modo, ci chiediamo, la II guerra mondiale è un pólemos che si è imposto come il «re di tutti i conflitti»? In quale modo ha reso – per dirla con Eraclito – «gli uni mortali e gli altri immortali, gli uni schiavi e gli altri liberi»?
L’assalto a oriente, il viaggio armato verso oriente, l’irruzione vittoriosa in oriente è tipica di Dioniso. Il solo che riesce a compiere l’impresa è, nell’immaginario della possente religione dionisiaca, il dio della coincidenza enigmatica di vita e morte, il dio della liberazione e nel contempo dell’annichilimento dell’uomo, il grande dio danzante e musicale della verità tragica.
Il Novecento mostra una natura insondata, natura che comincia a lasciarsi accostare se lo pensiamo come un secolo dionisiaco, nel senso del fascino orientale, dell’orgiasmo, della musica, della liberazione dell’individuo e nel contempo anche della fine dell’individuo.
Il millenarismo è stata la domanda e la risposta al sentimento prevalente in cui il Novecento si autointerpretava. Abbiamo già detto della intima radice nichilista della utopia.
La principale e dominante interpretazione del Novecento vuole che si tratti del secolo del nichilismo. Il rapporto centrale con il nulla corre nella letteratura, nella musica, nella filosofia delle maggiori anime del tempo; tutti in vario modo avvertono la minaccia dello svuotamento dell’essere e risolvono che per farvi fronte occorra fare appello alle sorgenti primordiali della vita.
In questo si fa prepotente la sensazione che la antica corrente del dionisismo sia riaffiorata per celebrare un nuovo tremendo trionfo.
Il trascinante desiderio di rinascita e di trasformazione, la nascita dell’uomo nuovo, assicurato e risolto una volta per tutte, ha assunto la forma di rivolta contro il vecchio mondo. In Europa si è ripresentato così l’antico tema del viaggio in armi verso oriente.
L’Europa unificata ferinamente dal nazionalsocialismo ha inteso la soluzione del suo problema nella formula mitica dell’assalto a oriente.
L’altra forza che in modo simmetrico e concomitante aveva preso coscienza che la propria affermazione esigesse una lotta decisiva era il Giappone scintoista dei samurai modernizzatori. Qui il problema, dal canto suo, assumeva la formula della liberazione dell’oriente dall’occidente.
Nazisti e fascisti hanno stretto un patto con il Giappone – dando vita all’Asse – convinti di saldarsi con la parte vitale dell’oriente. Il risultato dell’impresa dimostra con evidenza che non avevano interpretato bene né l’oriente effettivo né il significato del viaggio.
L a II mondiale è la guerra accesa dal socialismo nazionale tedesco in Europa e dallo scintoismo militarista dei giapponesi in Asia. Entrambi danno vita a una impennata sorprendente che si pone l’obbiettivo della conquista dell’oriente.
Il tema del passaggio a oriente non è banale e incolore, esso coinvolge – come abbiamo visto – una delle componenti più profonde dell’animo umano e riguarda una delle figure più intensamente significative della storia dell’umanità. Swastika e sole levante non sono icone superficiali, ma simboli incendiari che esigono un adeguato avvicinamento per essere decifrati.
La incubazione più recente del micidiale pólemos era iniziata con la rivoluzione francese, allorquando la nazione rinnovata in uno stato egualitario sentì che per completare l’opera occorreva proiettarsi in una missione internazionalista. La interpretazione romantica del popolo, del Volk, ha fertilizzato ulteriormente il terreno di coltura. Infine il culto positivistico della scienza e della tecnica ha aggiunto al composto un innesco altamente esplosivo.
Era stato portato così a maturazione un uomo effettivamente nuovo, non più identificato dalla biodiversità personale ma compattamente integrato in organismi sovraindividuali – nazione, razza, stato, scienza – . L’individuo nato dal cristianesimo si era eclissato e era stato accantonato dopo un lungo processo di profanizzazione o invece era stato la premessa indispensabile per la generalizzazione e l’appiattimento?
Come che sia, questa deindividualizzazione era la condizione preliminare per trasformare l’uomo in un’arma pronta al combattimento verso cui correva il secolo.
La lotta per la libertà e per l’affermazione del valore della peculiarità e della differenza non riguardava più il singolo individuo e si era trasformata in lotta per la affermazione dei nuovi soggetti collettivi conformi con lo sviluppo della economia e della tecnica in cui il singolo era stato assorbito e risolto.
III
N on per tanto la libertà del singolo poteva essere soffocata e spenta, ma le strade per farsi avanti sono diventate una prova assai ardua.
Attualmente, secondo una delle maggiori tradizioni orientali, l’induismo, siamo nel ciclo della dea Klî. Chi vive nell’età oscura del Klî-yuga ha da sopportare un peso molto grave.
Eppure c’è sempre una strada, anche il Klî-yuga può essere attraversato; anzi, in un certo senso, trattandosi dell’età ultima, l’attraversamento può rivelarsi più produttivo di risultati che in altre epoche. Però è necessario non farsi ingannare dalle apparenze, dai trucchi e dagli inciampi tipici dell’epoca rovesciata. Nel Klî-yuga tutto si presenta ingannevolmente sotto uno specchio deformante: dove crediamo comunemente di realizzare la libertà lì ci incanteniamo più strettamente, dove pensiamo di rinascere lì invece scendiamo sempre più a fondo.
Tuttavia è nella notte più oscura che il mattino è più prossimo. Coloro che vogliono volgersi verso il punto in cui il sole rompe l’orizzonte devono prepararsi adeguatamente. Devono tuttavia essere aiutati e assistiti da un potere benevolo.
Dobbiamo allora andare incontro a questo aiuto, preparati a riconoscerlo.
L e grandi correnti religiose e filosofiche che trattano del viaggio a oriente non lo concepiscono semplicemente su un piano orizzontale e materiale. Non per tanto esso può ridursi a una fantasia psicologistica distaccata dal mondo reale, affinché la prova sfoci in una trasformazione effettiva ci si deve cimentare con l’intero groviglio dei problemi in cui ci troviamo «in situazione».
La prova riguarda l’affermazione della nostra identità (forma) e della nostra libertà di fronte alle spinte del nulla e impone di decifrare con precisione i modi concreti con cui il nulla insidia e sommerge.
Nello stato attuale, siamo incarnati e «in situazione» e cederemmo a una illusoria fuga in avanti se non tenessimo conto che questa è la base di partenza che il destino ci impone. Quando Dante inizia l’ascesa al monte della purificazione, egli è in vita e procede all’impresa con un corpo che proietta ombra.
Lo spostamento verso oriente deve comportare una rottura non fittizia del vecchio orizzonte; si deve affrontare l’intero complesso dei problemi concreti, economici militari politici e insieme filosofici culturali religiosi.
Perciò il movimento riguarda una intera comunità che deve muoversi, il viaggio deve nascere da un popolo e fare nascere un popolo. Questo è il senso del nodo di Gordio.
A causa della dimensione comunitaria del problema, nel tempo stesso c’è assoluto bisogno del soccorso di una coorte di potenze benevole. Senza la garanzia preliminare di un quadro di riferimento culturalmente adeguato offerto da spiriti alleati saremmo destinati allo scacco; egualmente dobbiamo avere coscienza che la fondazione della nostra libertà comporta la fondazione di una comunità di liberi.
Nello scontro siamo chiamati in quanto singoli, ma non siamo soli.