La religione di Mithra è una religione misterica, quindi poco incline a fornire una documentazione diretta della propria dottrina esoterica, e inoltre fu oggetto di una repressione e di una damnatio memoriae particolarmente radicali. Da ciò derivano i molteplici problemi che hanno affaticato gli ultimi interpreti.
Alcuni studiosi esaminando il rapporto tra il suo nucleo originale e l’aspetto astrologico con cui si presenta fra i Romani trovano che la cornice filosofica astrologica sia coessenziale con il messaggio autentico del dio. Altri propendono a vedere nella astrologia una sovrapposizione sincretistica e ritengono che il mitraismo, che nella sua fase matura apparirebbe catturato e dialettizzato dal platonismo, fosse in sostanza da questo snaturato e svirilizzato.
Il saggio di Giuseppe Lampis offre un interessante orientamento. Per l’autore, la religione mitriaca propone un itinerario di liberazione dal destino basato sulla capacità di sacrificio di sé.
I gradi della gerarchia iniziatica mitriaca rappresenterebbero simbolicamente le tappe di un viaggio interiore che fornisce una chiave per affrontare e risolvere l’ordine dei pianeti e, mediante successive integrazioni, abilita progressivamente al dominio delle potenze esterne.
Ciò si rende possibile in quanto i pianeti, grazie alla credenza in uno stretto rapporto analogico tra macrocosmo (l’universo) e microcosmo (uomo), non sono vissuti come realtà esclusivamente esterne e oggettive, ma vengono decifrati come esperienze interne, e ad essi corrispondono suoni, colori, emozioni, passioni, immagini.
Un discorso affine, in estrema sintesi, tornerà con l’astrologia esoterica islamica di Albumasar e con la magia di Giordano Bruno.
Per l’astrologo islamico la passività del rapporto con i pianeti può essere rovesciata: il saggio può fare gli astri oggetto di interrogationes, può interrogarli e costringerli a rispondere; egli infatti deve conoscere i loro programmi per poter modificare e orientare diversamente la loro influenza.
Bruno pensa che un severo e complesso esercizio di controllo della propria mente metta l’uomo in grado di controllare il mondo in cui vive. In particolare egli si dedicò all’esercizio evocativo della memoria. Le immagini che vivono nell’uomo non sarebbero eventi puramente interiori bensì proiezioni del cosmo, e colui che le sa governare può anche governare il cosmo e rendersi libero.
Il saggio di Lampis ipotizza un incontro o una corrispondenza tra l’astrologia del mitraismo e l’alchimia ermetica. Colui che abbia raggiunto il controllo di sé attraverso il sacrificio e la trasformazione raggiunge anche il potere di governare il destino e dunque la liberazione e la salvezza dal male
Il punto nodale è rappresentato dal sacrificio, costituito da un atto di sangue, un atto di morte.
Al centro del mitraismo sta il tema formidabile del sacrificio del toro, cavalcato, sfiancato e infine iugulato senza tracotanza dal dio sereno e forte. Nel sacrificio la morte non si presenta come volgare decadenza subita, ma come atto di creazione e di intensa padronanza della vita.
Chi poteva essere l’eroe protagonista di una simile impresa?
La figura essenziale di Mithra si apre sullo sfondo dell’universo religioso culturale psicologico dei grandi cacciatori per i quali l’uccisione stabilisce nel tempo stesso la propria identità, istituisce la comunità, garantisce la vita. Al confine orientale dell’Impero romano, nell’avamposto fortificato di Dura-Europos, sull’Eufrate siriano di fronte ai Parti, due affreschi del famoso mitreo mostrano uno splendido dio cacciatore in costume persiano accompagnato da un serpente e da un leone mentre sul cavallo in corsa colpisce con le frecce dei cervidi in fuga.
Il grande tema è l’incontro con la morte: e arcaicamente ogni morte è un’uccisione. La morte, la morte data, è l’atto eminentemente sacro e creativo, che investe l’essere realissimo. Su questo scenario si è sviluppata l’immensa problematica del sacrificio.
Per Walter Burkert (I Greci, 1977, tr. it., p. 97) nel sacrificio greco l’animale è associato particolarmente all’uomo; un animale viene ucciso “al posto” di un uomo; le interiora (splànchna) portano immancabilmente gli stessi nomi nell’uomo e nell’animale; le vittime del rito sono quelle a sangue caldo. Tutto ciò è tipico delle comunità dei cacciatori arcaici.
Il sacrificio è un’uccisione ritualizzata che si conclude con un banchetto.
Eppure l’intercambiabilità uomo-animale per la vittima del sacrificio non è solo greca, anzi proprio su questa base si possono studiare le radici non “greche” della grecità; già nel Veda l’uomo è la vittima per eccellenza e la filosofia indiana nasce con riflessione sul senso del sacrificio avviata con le Upanishad.
Walter F. Otto arrivò a dire che presso i Greci «Il dramma atroce dell’animale che muore dissanguato è espressione di uno stato d’animo la cui grandezza trova confronto solo nelle opere dell’arte più eccelsa» (Dionysos, 1933, tr. it., p. 26).
Questa emozione aveva per il mondo antico una forte carica dirompente che oggi ignoriamo in quanto l’industria alimentare attraverso i suoi procedimenti tecnici e asettici ci ha sottratto il tremendum dell’esperienza diretta del sacrificio.
Il saggio di Lampis prende in esame una religione che la contempla come il suo simbolo principale.
Il sacrificio del toro o del grande vivente rappresenta, in essa, il punto di inizio e insieme il punto di arrivo. Dal sangue che sgorga prende inizio una nuova umanità salva: et nos seruasti aeternali sanguine fuso, si legge nel mitreo di Santa Prisca a Roma. Ma dunque nessuno si salva se non sa percorrere il duro itinerario iniziatico; ovvero, se non riesce ad avviare la trasformazione e il sacrificio di sé.
Così l’uccisione per eccellenza vede sempre l’uomo al centro, vittima e sacrificatore, animale e cacciatore, morto e vivo.
Le grandi forze elementari che spingono alla caccia e ad aggredire la vittima in fuga sono le stesse che spingono a nutrirsi e a stringere il patto fra solidali che condividono lo stesso destino. Sussiste un circolo inscindibile tra istinto di vita e istinto di morte, tra creazione della morte e creazione della vita.
Anche il mitraismo, dunque, ha lasciato un importante messaggio. I misteri di Mithra ci pongono in contatto con la presenza radicale e archetipica di forze terribili che se ignorate e negate immancabilmente si scatenano travolgendoci; dobbiamo invece conoscere e sapere la loro forza e divenire pronti e capaci di cavalcarle e domarle, fino al punto in cui la mano ferma sappia trarne la vita. L’associazione di Jean Servier: «anima-animale» ci sembra giustamente esplicativa: la storia della spirito ha per base una sostanza prespirituale.
I misteri introducevano a quel sapere e a quell’arte. Naturalmente, si trattava di un sapere arduo e di un’arte severa, che intendevano aprire una strada di speranza in un periodo di angoscia.
Tuttavia le grandi religioni, anche dopo il loro tramonto, lasciano sempre un insegnamento valido per ogni analogo tempo di smarrimento e di inquietudine. Sta a noi ascoltarlo e adattarlo alla nuova forma dei problemi.
Maria Pia Rosati