La Grande Madre

Redazione

La Grande Madre
Meditazioni Mediterranee

Ernst Jünger
A cura di Mario Bosincu
Le Lettere – Firenze, 2021

 

Mario Bosincu,  dedicatosi da molti anni allo studio delle opere di Ernst Jünger, ha recentemente pubblicato Autunno in Sardegna (2020) e raccolto ne La Grande Madre, Meditazioni Mediterranee gli scritti dell’autore che, nell’intero arco della sua vita, denunciano con crescente inquietudine la crisi della civiltà dovuta alla vertiginosa accelerazione dello sviluppo della tecnologia che, senza portare vero progresso, turbava l’antico incanto delle terre affacciate sul Mediterraneo e il ritmo dell’esistenza dei loro abitanti.

Il libro si apre con lo scritto di Bosincu La Via dell’Iniziazione alla Terra che sottolinea due temi dominanti nella vita e nell’opera di Jünger: la fuga e il ritorno.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Jünger si era arruolato volontario ritenendo che il conflitto bellico avrebbe provocato un processo enantiodromico e dato nuovo orientamento a una generazione pervasa dalla cultura positivista, soffocata dal razionalismo, dalla ricerca scientifica e dalle nuove tecnologie che miravano all’acquisizione della massima efficienza e potenza. L’aspetto spirituale, metafisico della vita e della cultura erano trascurati e stavano perdendo senso.   Jünger visse la guerra come un’esperienza iniziatica che lo mise a confronto con il sacro, con il mysterium fascinans et energicum. Attraversando i gironi delle battaglie aveva sentito risvegliarsi la potenza di forze antichissime: credeva che avrebbe potuto risorgere un nuovo invincibile ‘Anteo’, radicato alla Madre Terra.

Le esperienze della vita in trincea, raccolte in Nelle tempeste d’acciaio (1920-22), gli avevano fatto conoscere il terrore, la morte, la disgregazione, ma anche una trasformazione nel profondo dell’anima. Il dilagare della tecnologia stava sconvolgendo il volto della guerra. Le nuove potenti macchine belliche non distinguevano combattenti e civili e presto avrebbero investito il pianeta intero. Il senso del combattimento, dello slancio eroico, del sacrificio erano confusi in un’atmosfera nichilista. Scriverà in Oltre la linea (1946) “Chi non ha sperimentato su di sé l’enorme potenza del niente e non ne ha subito la tentazione conosce ben poco della nostra epoca”.  Lo psicoanalista Carl Gustav Jung, prima ancora del conflitto bellico, aveva avvertito le radici della violenza incandescente che sarebbero dilagate: la parte inferiore della personalità, che chiamò l’Ombra, avrebbe provocato un terribile sanguinoso conflitto.

Il trattato Der Friede, La pace (1943-44), di cui Bosincu sottolinea l’importanza, segna una svolta significativa nel pensiero e nella vita di Jünger. L’Europa era attraversata da una profonda crisi spirituale. Il rifiuto dei valori cristiani aveva fatto emergere brutalità, bestialità, l’improvviso scatenarsi di forze demoniche. Era necessario aprire gli occhi. “L’uomo non deve mai dimenticare che le immagini che ora lo terrorizzano sono la copia della sua interiorità. Il mondo del fuoco, le case incenerite e le città in rovina, le tracce della devastazione sono come la lebbra i cui germi a lungo si sono moltiplicati all’interno dell’uomo prima di affiorare in superficie” (Der Friede, p. 218).

Ormai il combattimento era “tra le potenze dell’annientamento e quelle della vita”. La rivoluzione planetaria stava violentando la natura, trasformava la società e avrebbe minacciato la sopravvivenza della specie umana. La cura poteva nascere solo dallo spirito poiché “la vera pace presuppone un coraggio che trascende quello della guerra; è espressione di lavoro e potenza spirituale” (Der Friede, p. 244).

Ernst Jünger

Jünger sente di dover fuggire dal Nord, “regno dell’attivismo sfrenato e di una greve melanconia”. Era necessario ritrovare la sacralità della terra, la Grande Madre nel cui grembo oscuro avvengono le grandi trasformazioni: si forma la vita che, dopo la morte, ritorna nel grembo per una nuova rinascita. Le grotte, utero della Grande Madre, sono state i più antichi luoghi di culto in cui l’uomo da millenni aveva sentito di poter entrare in contatto con l’invisibile e dare senso alla sua esistenza. Nel 1955 Jünger ritorna in Sardegna per incontrare la sua seconda Grande Madre, il Mediterraneo. Le sue pagine di diario testimoniano il suo incontro con una dimensione mitica, numinosa, archetipica: “ovunque la terra è sacra, ovunque è un sepolcro, ovunque è un luogo di resurrezione”.

Ma tutto cambia con grande velocità. Nel 1978 trova che “la condizione di arretratezza è ormai superata”. Il processo di trasformazione marcia a un ritmo vertiginoso. “Il riposo è disturbato dal frastuono. È come se un’esplosione avesse investito il pianeta intero: più passa il tempo, più una luce abbagliante raggiunge ogni suo angolo.”  Comprese che l’uomo violando la natura avrebbe innescato un processo destinato a scatenare una catastrofe finale: avrebbe fatto la fine dello scorpione che si uccide col suo stesso aculeo.

Di particolare interesse è l’ultimo scritto del 1993: Metamorfosi, una prognosi per il XXI secolo. Lo sguardo di Jünger si proietta lontano, nella regione dello spirito: anche se la parola Dio non viene più pronunciata, ciò che è divino vive. La realtà non è nell’hic et nunc e si sente il bisogno di ricorrere alla preghiera. Se le divinità sono dimenticate e i templi sono in rovina non è negata l’essenza. Gli uomini hanno da sempre sentito il desiderio di accostarsi e comunicare con il divino, celebrarne con profonda convinzione il culto e hanno creato, a somiglianza di loro stessi, rappresentazioni di dèi.

Nella sua visita a Roma Jünger sente che il sacro si trasmette attraverso l’opera d’arte. “Nella città eterna non esistono templi poiché l’arte ha raggiunto quella bellezza senza tempo a cui si aspira senza posa e senza successo”. Ciò che è senza tempo non ci è estraneo: proveniamo da esso e andiamo verso di esso che ci accompagna lungo il viaggio come il solo bagaglio che non può andare smarrito.

Gli dèi mutano, subiscono metamorfosi nella forma in cui sono venerati. Ma da sempre, pur nell’avvicendarsi delle religioni, alcuni luoghi sono considerati sacri, meta di pellegrinaggi e là gli uomini si sentono vicini al divino. Esistono incontri che comportano momenti di svolta, di rottura che sconvolgono il corpo e la vita. L’ultimo incontro è quello in cui ogni uomo trascende il tempo e “officia da solo il sacramento della morte”.

Jünger cita Hölderlin per cui “il muro del tempo è la parete del carcere che crollerà “nella più sacra delle tempeste”. Ma sente anche che “Dieu se retire” e che il XXI secolo sarà dominato dai Titani.