Lo spazio e il sacro

Luca Maccaferri

Franca Manenti Valli
Pisa. Lo spazio e il sacro
Firenze, Polistampa, 2016

L’Autrice, Franca Manenti Valli, di professione architetto, ha potuto coronare con successo la pluridecennale impresa costituita da questo lavoro grazie all’intelligenza (intus legere) di una vita spesa nel campo dell’edilizia storica e del restauro. Lettura «a ritroso», quindi, delle antiche metodologie compositive, dovuta a quella fine e impalpabile capacità di leggere il segreto lessico delle pietre: te saxa docebunt, insegnavano i nostri padri, mentre un indimenticato scomparso amico, il prof. Luigi Vignali, così argomentava in merito a questa particolare sensibilità: “Il recondito linguaggio delle pietre, la loro sistematica ubicazione sapientemente unite le une alle altre in un contesto che ha il sapore della divina armonia, e soprattutto la loro sistemazione secondo un disegno diagrammatico tipico è determinante almeno quanto – e forse più – di una notizia vergata su un antico documento rintracciato in un dimenticato stipo”.

La serrata analisi condotta sulle tre architetture monumentali che campeggiano sulla piazza dei Miracoli di Pisa si sviluppa quasi come un cammino iniziatico au rebours, dove battistero, cattedrale e campanile vengono enucleati quale estrinsecazione lapidea di un vero e proprio messaggio teologico incentrato sulla mistica del numero; un numero che tutto avvolge e tutto dispone, sicché la sentenza biblica secondo cui “omnia in mensura et numero et pondere disposuisti”(Sap.XI, 21) potrebbe senza tema di smentita essere eletta a manifesto del programma edificatorio assai probabilmente ideato dal maestro Buscheto (XI sec.).

Date queste premesse sarà più agevole comprendere il discorso dell’Autrice, quando nella Introduzione ci partecipa del fatto che “Non si tratta soltanto di ricercare e di ripristinare una metodologia di lettura dell’immagine, bensì di ritrovare una percezione perduta dello spazio, che aveva ragion d’essere proprio nella realizzazione di forme sostanziate di dottrina e di sapienza e poste come epifanie della presenza divina che tratteneva la polarità primigenia fra cielo e terra, tra sfera del trascendente e luogo dell’immanente”(p. 19).

Prima di entrare nel merito della ricerca vorremmo sottolineare una volta di più che l’arte medioevale non era espressione di sentimenti, ma era un insegnamento; ogni cattedrale con i propri rapporti geometrici, i bassorilievi, gli affreschi e i mosaici era un’enciclopedia teologica e religiosa, disposta secondo l’ordine meraviglioso sussistente nel mondo delle idee. L’arte era quindi una vera scienza dai canoni rigorosissimi, per la quale ogni partizione, ogni figura, ogni segno andava soggetto alle regole di una sorta di matematica sacra, in cui l’ordine, la simmetria e il numero avevano straordinaria importanza: era cioè indispensabile rispettare un ordine numerico, poiché sopra un ordine numerico Dio aveva creato il Cosmo, disposto le stelle, concepito il corpo umano e le sue parti, e in genere, come visto sopra, fondato tutta l’opera sua.

Ora se da un lato sarebbe impresa vana e pretenziosa, nel breve spazio concesso da una recensione, tentare di ripercorrere nella loro interezza i contenuti del libro, dall’altro sarà invece assai utile a chi ci legga delinearne per sommi capi i temi-chiave che ne hanno guidato lo sviluppo.

In primo luogo è importante sottolineare come Franca Manenti Valli si sia applicata a restituire le architetture pisane corrispondenti al primitivo progetto, immaginando di porsi nella mente del maestro e di disporre dei suoi strumenti conoscitivi: l’hic et nunc dell’esistente è quindi concepito quale necessario punto di partenza per rinvenire quelle disposizioni, quei ritmi e quelle consonanze che orientarono, in quel lontano illic et tunc, l’originario processo creativo del complesso monumentale.

RadCor

Il tutto ha inizio da una geometria: una circonferenza tracciata al vivo (o quanto meno disegnata su un ipotetico modello) circoscrive l’area sacralizzata. Linea senza fine che allude alla vita eterna e riflesso terreno del cosmo, la circonferenza definisce quel «cielo nuovo» che fa dell’impianto pisano la «terra nuova» dell’incontro tra Dio e il suo popolo. Il musicologo Marius Schneider ebbe agio di dimostrare che per le società tradizionali la Parola era l’essenza della creazione, assunto dottrinario che sta altresì alla base della tradizione ebraico-cristiana. Se il microcosmo pisano nasce quindi come riflesso del divino, deve essere ancora la Parola che definisce lo spazio dove operare, dando voce al linguaggio divino attraverso l’entrata in scena della multiforme cultura della Qabbalah e, specificamente, di quella disciplina esegetica secondo cui il numero è parola: la Ghimatriah. L’idea che la Parola fosse il motore della composizione, come il Verbo per la Creazione, ha portato a cercare la chiave fonetica che avrebbe potuto guidare la genesi dei monumenti. È così che il raggio della circonferenza ordinatrice, equivalente ai valori di 26 pertiche e di 314 piedi pisani, identifica nella trasposizione ghematrica i nomi di Yahwe e del suo attributo più stretto, Shaddai, o sia l’Onnipotente, il Dio che si manifesta nell’atto di fondazione del «Regno».

Avrebbe forse potuto esservi una maggior coerenza nella manifestazione terrena delle sacre leggi?

Già da questo atto fondativo si cominciano a ritrovare tracce del passaggio di saperi tra cultura ebraica, greca e latina, a testimonianza della particolare ecumene culturale, di stampo cosmopolita, di cui faceva parte all’epoca la città di Pisa, ed alla quale evidentemente apparteneva l’architetto.

All’interno del cerchio di fondazione è poi inscritto il «poligono divino», o sia quel decagono regolare (figura deputata al rapporto aureo) che coordina le misure del sistema, che fissa il primo modulo della cattedrale, sancendo al contempo l’ineludibile rapporto tra battistero e campanile, principio e fine del cammino salvifico.

Dall’ampio respiro cosmologico di un tale incipit si può ben comprendere il tenore della ricerca presentata in questo libro, ove si dimostra con pazienza ed acribia come una trama metrica perfetta presieda al complesso pisano nel suo progetto iniziale: le misure che si rilevano nei singoli monumenti sono raccordate da una progressione aurea che ne stabilisce la continuità con valori irrazionali approssimati a numeri interi per essere trasmessi alle maestranze di cantiere.

A questo punto l’Autrice ci partecipa del fatto che, accedendo alla platea verde su cui sorgono le architetture, sorge spontaneo l’impulso di contare: i passi delle colonne dei loggiati si pongono infatti come cellule ripetitive di una struttura ritmica, con una propria rispondenza armonica. Se le logge hanno un interasse pressoché costante, il piano di campagna è scandito da arcate cieche il cui passo si differenzia nelle diverse fabbriche. Una cornice di delimitazione orizzontale del primo ordine corre alla stessa quota nei tre monumenti come linea di orizzontamento che stacca visivamente e compositivamente i due temi architettonici. Il primo ordine, con la distribuzione degli elementi verticali che stabiliscono l’orditura decorativa, suggerisce il tema direttore d’insieme; gli ordini loggiati, con la reiterazione delle colonne, offrono i termini di computabilità. Ed è stupefacente constatare come il numero delle colonne in ogni anello circolare corrisponda al valore in piedi pisani del rispettivo raggio, in una omologia tra ordine numerico e ordine metrico, tra discreto econtinuo, tesa a rendere possibile la misurazione a vista ed intelligibile il significato escatologico.

È il battistero, prima fabbrica del percorso di fede ma seconda ad essere costruita (1153), a dare le linee guida del programma. Battistero considerato però non nella giacitura attuale, ma più a levante di un tratto pari a quell’allungamento della cattedrale avvenuto prima della sua realizzazione. La proposta è motivata dal peculiare rapporto aureo che corre tuttora tra il suo diametro, pari alla larghezza della cattedrale, e la pausa che stacca i due volumi a fronte, in un gioco mirabile di pieni e di vuoti che ha mantenuto inalterato l’intervallo d’origine. Immediata la considerazione che il primo e secondo ordine appartengano a un unico momento ideativo, mentre le fasce superiori e le cupole si riferiscano a successive scelte progettuali responsabili di una totale dissonanza nel programma compositivo e di una netta soluzione di continuità nel linguaggio comunicativo: non più messaggio per numeri ma narrazione per immagini distribuite sulle superfici.

L’Autrice risale al primo disegno, lessicalmente omogeneo alle altre fabbriche, secondo una tipologia ad anelli concentrici – dimensionati secondo il rapporto aureo – avente altezza pari a quella della cattedrale: il volume sarà così inscritto in un cubo, a riflesso della Gerusalemme Celeste. La schiacciante verifica interna di una tale ricostruzione, vera e propria prova del nove a quanto teorizzato, è stato lo scoprire che la somma degli elementi verticali – strutturali e decorativi – del modello restituito, totalizzi quel numero 153 che corrisponde alla quantità di «grossi pesci» portati a riva da Pietro, secondo narra il Vangelo di Giovanni.

In maniera analoga una perfetta scansione aurea ripartisce in fasce proporzionali la superficie corrispondente al primo impianto della cattedrale (1063), che si identifica con la figura del doppio quadrato: al primo modulo il corpo delle navate, al secondo il transetto, e conclude il coro la cui profondità è differenza tra i primi due valori. Supposti a doppio quadrato anche l’aggetto dei due bracci di transetto, la superficie del corpo trasversale risulta equivalente a quella delle navate, adombrando nel valore della detta area (14400 piedi quadrati) il contenuto del noto passo apocalittico: “Poi udii il numero di coloro che furon  segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati da ogni tribù dei figli d’Israele”(Ap.VII, 4). Si viene in questo modo a definire il profilo della lettera T: segno di confermazione e formula euclidea della divina proporzione.

È degno di nota che lo stesso profilo emerga altresì dal movimento della figura umana di Leonardo (anch’essa regolata dal numero aureo), additando una comune estrazione euclidea per il disegno vinciano e la grande cattedrale pisana. E giova sottolineare in questa sede che tale concordanza non è per niente casuale, solo si rifletta sul fatto che la geometria tradizionale, come l’aritmetica, è inscindibile dalle armonie fondamentali sulle quali sono strutturati il microcosmo dell’uomo e il macrocosmo. A tal proposito Seyyed Hossein Nasr insegnava che i templi di tutte le tradizioni, fondati sul simbolismo delle direzioni dello spazio e sulle proporzioni geometriche, non sono soltanto lo spazio dove l’uomo esperimenta il sacro, essendo piuttosto l’uomo stesso nella sua intima realtà di reggente di Dio in questo mondo, di pontefice collegante cielo e terra.

E a proposito di collegamento tra cielo e terra veniamo ora a dire brevemente del campanile, terza opera ad essere realizzata (1174), che per la particolare tipologia e l’inusuale giacitura (aggiunte all’inclinazione già in atto nelle prime fasi costruttive), risulta essere il monumento più singolare del complesso. Una volta dimostrata l’assoluta fondatezza del suo impianto planimetrico, dovuta alle puntuali relazioni con gli altri monumenti (secondo modalità che è impossibile esplicitare in questa sede), si può constatare con sorpresa come il suo centro coincida esattamente con il vertice sud  del lato orientale del decagono e la sua altezza con il lato dello stesso poligono. Giova sottolineare, anche in questo caso, la presenza di una studiata numerologia sacra: gli otto livelli che compongono il campanile (e che sommano, quasi a sintesi del suo ruolo conclusivo, i tre del battistero e i cinque del fronte della cattedrale) richiamano l’Octava Dies, il giorno dal quale inizia il tempo nuovo, senza fine, introdotto nella storia dalla Resurrezione di Cristo.

Col campanile si viene a concludere il percorso escatologico pisano la cui eccezionalità risiede nel fatto di essere basato su di una matrice geometrica unica – aurea – per i tre monumenti. È così che il complesso raccontato in questo libro assurge a perfetto exemplum di quella antichissima scienza tradizionale che si intendeva riferita ai principi metafisici, e che altro non era che la scienza intesa come conoscere organizzato di una sfera della realtà non scissa dall’ordine principiale. In quest’ottica la matematica costituisce, come detto all’inizio, un linguaggio speciale che parla dell’armonia intima degli oggetti: esteriormente tratta di quantità, ma intimamente essa è una scala che conduce al mondo intelligibile. Avere reso comprensibile al lettore una tale verità è, a nostro modesto giudizio, il merito più grande della ricerca di Franca Manenti Valli.

Luca Maccaferri