Entanglement: uno sconcertante enigma

Fabio Marzocca

La migliore conoscenza possibile del tutto, non include la migliore conoscenza possibile delle sue parti – e questo è ciò che continua a perseguitarci.
[E. Schrödinger]

Fra tutti i fenomeni venuti alla luce durante le approfondite ricerche della fisica sulle strutture microscopiche della materia, quello dell’entanglement rappresenta senza dubbio il momento di maggior stupore nell’ambito della stessa comunità scientifica, generando uno sconcertante enigma che si scontra non solo con la fisica classica ma anche con quella relativistica.

Due particelle si dicono in uno stato di entanglement quando le proprietà di una di esse sono completamente correlate con le proprietà dell’altra. (es: due elettroni sullo stesso livello energetico – pur avendo spin opposto – sono descritti da un’unica funzione d’onda). Due particelle entangled non rappresentano più due enti separati, ma un’unica manifestazione di una sola entità.

Una schematica rappresentazione dell’entanglement

Se due particelle che per qualche ragione hanno interagito tra loro almeno una volta vengono separate anche a grandissima distanza, nel momento in cui si effettua una misura su una di esse viene determinato il collasso della funzione d’onda che ne descrive lo stato, rendendo manifesta una delle sue proprietà (esempio: lo spin). Tuttavia, nello stesso momento, l’operazione di misura sulla prima particella influenzerà istantaneamente l’altra particella a qualunque distanza essa si trovi dalla prima, la cui funzione d’onda collasserà ugualmente.

Sebbene intuito e descritto dalla teoria fin dai primi decenni del novecento, il fenomeno dell’entanglement è stato sperimentato in laboratorio solo a partire dalla metà degli anni ’60 del secolo scorso, per essere poi pienamente dimostrato nel 1982 dal fisico francese Alain Aspect. Eppure già Schrödinger nel 1935 – nel corso dei suoi studi – aveva intravisto il fantasma dell’entanglement, tanto da scrivere nelle sue conclusioni: “La migliore conoscenza possibile del tutto, non include la migliore conoscenza possibile delle sue parti – e questo è ciò che continua a perseguitarci[1].

A una prima analisi può apparire che l’istantanea reazione che subisce la particella entangled a seguito di una sollecitazione sull’altra, possa violare la costante universale della velocità della luce. In verità, questa conclusione è errata: infatti, non esiste alcuna “propagazione di segnali” tra le due particelle in quanto non esiste un meccanismo di causa-effetto, non c’è nulla che fisicamente “viaggia” da una particella all’altra. Non si tratta di segnali, ma della struttura più intima dell’Universo, dove tutto esiste intimamente legato, aldilà dello spazio e del tempo.

È ben noto come Carl Gustav Jung, insieme al fisico Wolfgang Pauli, associò l’entanglement al fenomeno psicologico della sincronicità. Nel “Diagramma ermeneutico di Jung-Pauli“, infatti, fu descritto come l’energia indistruttibile avesse una relazione di tipo duale con il continuum spazio-tempo: una connessione costante attraverso l’effetto (causalità) e una incostante attraverso la contingenza, il senso (sincronicità-entanglement)[2].

Per anni i fisici hanno ritenuto che il fenomeno dell’entanglement fosse confinato nella sfera delle basse temperature (vicino allo zero assoluto) e per brevissimi istanti in quanto solo in questi casi si riusciva a riprodurre il fenomeno in laboratorio. Tuttavia di recente sono venute alla luce sorprendenti scoperte che hanno disatteso anche questa aspettativa.

Già nel 2009, uno studio dell’Università di Irvine, California[3], aveva scoperto che la bussola magnetica biologica degli uccelli si basava su una proteina con una particolare sensibilità direzionale: il crittocromo, contenuto nella retina.

Tuttavia solo nel 2011 l’Università di Oxford ha messo a punto uno studio dettagliato[4] che ha rilevato fenomeni quantistici di entanglement nelle molecole ottiche del pettirosso europeo. Il crittocromo viene colpito da un fotone di luce, quindi gli elettroni della molecola si eccitano e vengono liberati, mantenendo uno stato di entanglement, per poi riunirsi in una nuova molecola che li accetta. Nel tragitto, gli spin degli elettroni sono influenzati dal magnetismo terrestre perciò quando si riaggregano alla molecola, trasportano con sé l’informazione del campo, restituendo il fotone che li aveva eccitati in precedenza e colpendo il nervo ottico. A questo punto il nervo ottico dispone di una sorta di “visione” del campo magnetico terrestre, necessario per la navigazione e l’orientamento.

Un altro esempio di entanglement “biologico” viene rilevato nel citato studio di Penrose e Hameroff relativo al comportamento quantistico della coscienza. I due scienziati hanno scoperto che i microtubuli presenti nel cervello (la principale componente del citoscheletro delle cellule e dei neuroni cerebrali) si trovano tra loro in perfetto stato di entanglement. Come concordano Penrose e Hameroff, il “momento conscio” corrisponde “al collasso della funzione d’onda che raccoglieva in sé, in un unico stato quantistico, il complesso entanglement globale che unisce i microtubuli del cervello[5]. Questa fase viene denominata “riduzione obiettiva orchestrata” (Orch-OR).

Diagramma ermeneutico di Jung-Pauli

Una recente pubblicazione (2014) del Physics of Life Reviews ha presentato la conferma sperimentale della presenza di vibrazioni quantistiche nei microtubuli dei neuroni cerebrali[6].

Molti moderni scienziati, tra i quali il fisico teorico Brian Greene della Columbia University ritengono che l’universo sia un tutto intrinsecamente entangled e coerente con se stesso. Se l’universo era – circa 15 miliardi di anni fa – concentrato in un punto di densità pressoché infinita, ci sono valide ragioni per ritenere che in quel periodo tutte le particelle componenti l’universo fossero tra loro entangled, vista la notevole e strettissima interazione cui erano sottoposte. Se è così, un fantasma di questo antico legame è stato mantenuto anche ai giorni nostri, a livelli che ancora non conosciamo: una sorta di entanglement universale al livello più fondamentale delle particelle.

Ci sarebbe allora da ritenere che in qualche modo tutte le particelle dell’universo mantengano una sorta di memoria di ogni altra particella in esso contenuta e che la separazione che divide le cose nel nostro universo quotidiano – seppur reale da un punto di vista newtoniano e relativistico – sia solo un’illusione se vista da punti di vista di altri livelli di realtà.

Che cosa è rimasto dell’entanglement iniziale? Quali connessioni ancora inesplorate potranno rivelarsi inaspettatamente? In questo momento possiamo solo avere la certezza, come confermato dalla scienza e già teorizzato dalle antiche culture sapienziali, che l’uomo è parte di un Tutto, microcosmo di un macrocosmo, docile fibra dell’universo.

Fabio Marzocca

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Note:

[1] E. Schrodinger, Naturwissenschaften, 1935, trad. in Quantum Theory and Measurement, Princeton University Press, Princeton, 1983, p.167

[2] F. Marzocca, Incontro tra Jung e Pauli: l’esperienza psicologica della sincronicità verso l’entanglement quantistico – Roma, Edizioni Mythos – 2011

[3] T. Ritz et al, Magnetic Compass of Birds Is Based on a Molecule with Optimal Directional Sensitivity, 2009, Biophysical Journal, Volume 96, Issue 8, p3451–3457

[4] P. J. Hore, “The Quantum Robin“, 2011, Department of Chemistry, University of Oxford

[5] M. Teodorani, Entanglement, Macro Edizioni, 2007, p.73

[6] R. Penrose – S. Hameroff, “Consciousness in the universe: A review of the ‘Orch OR’ theory“, Physics of Life Reviews, Volume 11, Issue 1, March 2014, Pages 39–78


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