[Nell’immagine: il principio di indeterminazione di Heisenberg]
La funzione d’onda di Schrödinger, pilastro base della meccanica quantistica al pari delle equazioni di Newton per il mondo macroscopico, è stata oggetto di numerosi dibattiti da parte dei maggiori filosofi della scienza del secolo scorso. Il suo valore è stato convenzionalmente indicato con la lettera greca ψ la quale calcola la probabilità che una misurazione quantistica abbia un esito particolare. Prima della misura, lo stato del sistema si trova in una situazione di “sovrapposizione” di tutti gli stati possibili: è solo dopo aver eseguito la misurazione che il sistema “collassa” in uno stato determinato.
Ciò si presta a due diverse interpretazioni: ontologica ed epistemologica. Per l’approccio ontologico, ψ rappresenta la realtà quale essa è, e il collasso della funzione d’onda altro non è che il naturale evolversi del sistema a seguito dell’interazione con l’ambiente circostante. Per contro, la visione epistemologica sostiene che ψ rappresenta al massimo la nostra limitata conoscenza dello stato del sistema e il collasso della funzione d’onda non è un processo fisico vero e proprio ma l’aggiornamento quasi istantaneo della nostra conoscenza sullo stato del sistema. È la nostra conoscenza, quindi, che sembra assumere modalità discontinue, non lo stato attuale del sistema quantistico.
La funzione d’onda – quindi – è realtà oggettiva o soltanto conoscenza soggettiva? Su questo tema si sono dibattuti lungamente fisici, epistemologi e filosofi. Nel 1960, il fisico teorico Eugene Wigner ha proposto che la coscienza dell’osservatore sia la linea di demarcazione che innesca il collasso della funzione d’onda[1] e questa teoria è stata poi ripresa e sviluppata nel corso degli ultimi anni. “Le leggi della meccanica quantistica sono corrette, tuttavia c’è solo un sistema che può essere trattato con tali leggi, cioè l’intero mondo materiale. Esistono ‘osservatori’ esterni che non possono essere considerati all’interno della meccanica quantistica, vale a dire le menti umane, che svolgono misurazioni sul proprio cervello causando il collasso della funzione d’onda”[2].
Il fisico matematico e filosofo della scienza inglese Roger Penrose ha sviluppato l’ipotesi denominata Orch-OR (Orchestrated objective reduction) secondo la quale la coscienza ha origine da processi all’interno dei neuroni, piuttosto che dalle connessioni tra i neuroni (la visione convenzionale). Il meccanismo è ritenuto essere un processo di fisica quantistica chiamato riduzione oggettiva che viene orchestrata dalle strutture molecolari dei microtubuli delle cellule cerebrali (costituenti il citoscheletro delle cellule stesse). Insieme al medico Stuart Hameroff, Penrose ha suggerito una relazione diretta tra le vibrazioni quantistiche dei microtubuli e la formazione della coscienza[3]. Scrive Penrose: “L’evoluzione della vita cosciente su questo pianeta è dovuta a successive mutazioni occorse nel tempo. Queste, presumibilmente, rappresentano eventi quantistici e quindi sarebbero esistite sotto forma di stati multipli sovrapposti fino a quando l’evoluzione ha portato a un essere cosciente, la cui vera esistenza dipende da tutte le corrette mutazioni che hanno realmente avuto luogo[4]”.
La fisica e la matematica ci hanno presentato sostanzialmente tre mondi distinti: quello microscopico delle particelle, quello visibile in cui viviamo su questa Terra e il mondo cosmologico delle grandi distanze intergalattiche. Per ciascuno di questi mondi gli scienziati hanno studiato ed elaborato formule che ne descrivono le leggi fondamentali. Eppure, nonostante gli sforzi, non è stata ancora trovata e sperimentata una legge unificatrice che esprima la sua validità dalla fisica quantistica alla cosmologia.
Si affaccia quindi all’orizzonte l’esigenza di allargare i confini oltre le limitazioni imposte dalle correnti modalità di ricerca scientifica, secondo un approccio che tenga conto anche di altre discipline umane che possano integrare – con intuizioni e conoscenze specifiche – i modelli presentati dalla fisica e giungere a prospettare diversi livelli di realtà. In altri termini si è sentita l’esigenza di una ricerca transdisciplinare che sia in grado di integrare al suo interno il “ricercatore” (l’uomo) realizzando le necessarie connessioni.
Questo problema ha portato a riconoscere che esistono differenti vie della conoscenza, che le loro diverse modalità sono complementari e che esse afferiscono a diversi livelli di realtà. Il concetto di “livelli di realtà” è stato introdotto come primo assioma fondamentale della transdisciplinarità dal fisico teorico Basarab Nicolescu, Presidente e fondatore del Centro Internazionale per gli Studi e le Ricerche Transdisciplinari (CIRET). Scrive Nicolescu: “Esistono in natura – e nella nostra conoscenza della natura – diversi livelli di realtà e, di conseguenza, diversi livelli di percezione […] La struttura della totalità dei livelli di realtà o percezione è una struttura complessa: ogni livello è quello che è perché esistono tutti i livelli contemporaneamente[5]”.
Nel caso in esame, possiamo rilevare con semplicità i tre livelli:
- il livello macrofisico;
- il livello microfisico;
- il livello cosmologico.
Secondo il comune approccio scientifico, le leggi fisiche che descrivono ogni livello valgono soltanto all’interno del livello stesso, e non negli altri. Eppure i tre livelli esistono simultaneamente e quelle che appaiono come contraddizioni in uno dei livelli non lo sono più negli altri due.
La complessità delle realtà non può essere descritta dal solo linguaggio matematico. Il linguaggio matematico si rivolge esclusivamente alla mente analitica, mentre il linguaggio simbolico alla totalità dell’essere umano, con i suoi pensieri, i sentimenti e il corpo. In meccanica quantistica la particella è quello che è solo perché esistono tutte le altre particelle: la complessità è una caratteristica essenziale del mondo.
Il passaggio da un livello di realtà a un altro è assicurato dalla logica del terzo incluso. Con questo termine il filosofo rumeno Stephane Lupasco[6] indica come la logica aristotelica classica del “tertium non datur” sia criticamente da rivedere alla luce di uno sguardo transdisciplinare, soprattutto a seguito delle scoperte della fisica quantistica. Secondo Heisenberg: “Nella teoria dei quanti, questa legge del «tertium non datur» deve essere modificata. […] sarebbe contraddittorio descrivere nel linguaggio naturale uno schema logico che non si applica al linguaggio naturale stesso. […] noi dobbiamo ammettere che ci sono altre possibilità che sono stranamente mescolanze delle due prime possibilità”[7].
Werner Heisenberg fu il primo a vedere le conseguenze epistemologiche, ontologiche e metodologiche della fisica quantistica, evidenziando i due differenti aspetti della realtà che venivano delineati dai due concetti di “oggettivo” e “soggettivo”. Heinsenberg sosteneva che sarebbe stato però un grave errore dividere il mondo in una realtà soggettiva e una realtà oggettiva, in un mondo “reale” e un mondo “spirituale”. La fisica quantistica ci ha dimostrato che abbiamo bisogno di ripensare le tesi della scienza classica, come la separazione totale tra il soggetto e l’oggetto, l’ipotesi che il mondo materiale è l’unico mondo “reale” e l’idea che la scienza può svilupparsi indipendentemente da altre fonti di conoscenza quali la teologia, la filosofia, le arti e la cultura.
La coesistenza del mondo quantistico e del mondo macrofisico ha portato allo sconvolgimento di ciò che in precedenza erano state considerate coppie di contraddizioni reciprocamente esclusive (A e non-A): onda e corpuscolo, continuità e discontinuità, separabilità e inseparabilità, causalità locale e causalità globale, simmetria e rottura di simmetria, reversibilità e irreversibilità del tempo, etc.
Lo “scandalo” intellettuale provocato dalla meccanica quantistica consiste nel fatto che le coppie di contraddittori generate sono in realtà antagoniste solo quando vengono analizzate attraverso il filtro interpretativo della logica classica.
Un esempio di quanto appena asserito è il fenomeno psicologico che Carl Gustav Jung chiamò sincronicità: un legame tra due eventi che, pur se non connessi tra loro in maniera causale, avvengono contemporaneamente[8]. Nonostante la fisica del tempo fosse fondata sul rigido assioma di causa-effetto, Jung e il fisico Wolfgang Pauli osservarono che qualunque presunzione di un nesso causale tra gli eventi sincronici era assurda o inconcepibile.
La non causalità, principio che sembra non aver ragione di esistere al nostro livello di macrocosmo, nella realtà quantistica è uno dei principi basilari dell’entanglement. C. G. Jung e W. Pauli non avrebbero mai potuto delineare e descrivere il fenomeno della sincronicità se ciascuno dei due non avesse osato trascendere i limiti delle proprie discipline, la fisica (Pauli) e la psicoanalisi (Jung).
Note:
[1] E. Wigner, H. Margenau (1967-12). “Remarks on the Mind Body Question, in Symmetries and Reflections, Scientific Essays“. American Journal of Physics 35
[2] Z. Schreiber, The Nine Lives of Schrödinger’s Cat, Imperial College of Science, Department of Physics, London 1994
[3] R. Penrose, S. Hameroff, “Consciousness in the universe: A review of the ‘Orch OR’ theory” Physics of Life Reviews (Elsevier) -2014
[4] R. Penrose, The Emperor’s New Mind, Penguin Books, 1989, p. 295.
[5] B. Nicolescu, Transdisciplinarity, past, present and future – Pubblicato in Moving Worldviews – Reshapingsciences, policies and practices for endogenous sustainable development, COMPAS Editions,Holland, 2006, p. 142-166.
[6] S. Lupasco,”The principle of antagonism and the logic of energy”, Hermann & co ed., 1951
[7] W. Heisenberg – Fisica e filosofia – Milano, Il Saggiatore 2008, p. 212-213
[8] F. Marzocca – Incontro tra Jung e Pauli: l’esperienza psicologica della sincronicità verso l’entanglement quantistico – Roma, Edizioni Mythos – 2011