Fisica quantistica Una nuova interpretazione dell’universo?

Fabio Marzocca

Un problema di interpretazione?

Il 14 dicembre 1900 è indicato come la data di nascita della fisica quantistica. In quel giorno, infatti, Max Planck presentava la sua relazione alla German Physical Society di Berlino, nella quale sosteneva che gli scambi di energia nei fenomeni di emissione e di assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche avvengono in forma discreta, non già in forma continua come sosteneva la teoria elettromagnetica classica. Il fisico tedesco introdusse una costante h, chiamata poi in suo onore costante di Planck anche detta quanto d’azione, determinando che le grandezze fisiche fondamentali non evolvessero in modo continuo, ma fossero quantizzate, cioè potevano assumere solo valori discreti multipli di tale costante.

Erwin Schrödinger
Erwin Schrödinger

Fu come aprire una porta verso un nuovo Universo, quello delle particelle subatomiche. In poche decine di anni si apprese che alla base della solidità del mondo reale (persone, oggetti, piante, animali, ecc.) c’è un festoso brulicare di minuscole particelle circondate essenzialmente da spazio vuoto, la cui posizione è distribuita in nuvole di probabilità. Erwin Schrödinger tracciò definitivamente i contorni della teoria con la sua equazione, effettuando nel mondo atomico e subatomico un’operazione del tutto analoga a quella svolta, nel mondo macroscopico, dalle equazioni di Newton.

Una volta, infatti, postulata (e poi sperimentata) la dualità onda-particella della materia da parte di Luis de Broglie nel 1920, occorreva realizzare una descrizione matematica del mondo subatomico che tenesse conto di questo importante e nuovo concetto. Schrödinger iniziò quindi a elaborare una teoria che, a partire da un’equazione descrittiva di un’onda fisica, tenesse conto delle relazioni energetiche tra particelle. In altri termini realizzò una complessa equazione differenziale la cui soluzione avrebbe fornito esattamente la probabilità di trovare la posizione di una particella in un dato istante. Tuttavia, proprio perché si trattava di una probabilità e non di un valore istantaneo certo, l’equazione forniva la descrizione di una “regione di spazio” in cui poteva venirsi a trovare la particella, anziché un preciso punto.

L’equazione di Schrödinger regola perciò l’evoluzione temporale in termini di probabilità di una grandezza, la funzione d’onda, la cui interpretazione è tutt’oggi argomento di animate discussioni nell’ambito della comunità dei fisici. La scienza non può descrivere la natura nella sua completezza, ma solo la nostra conoscenza di essa. Quindi l’unico tipo di domande cui siamo in grado di rispondere sono domande sui possibili risultati delle misurazioni. E questo è esattamente ciò che la funzione d’onda ci offre. Una realtà sconvolgente e apparentemente incomprensibile per l’uomo del ‘900: come poteva quel solido masso immobile contenere effettivamente miliardi di microscopici “oggetti” in movimento?

Con il trascorrere degli anni si percorse la strada sempre più in profondità, scoprendo man mano particelle sempre più piccole per le quali venivano coniati nomi fino ad allora sconosciuti: Leptoni, Gluoni, Quark, Neutrini, Fermioni, Bosoni e così via fino alla recente scoperta del Bosone di Higgs (2012) che certamente non sarà l’ultima nel suo genere.

Ciò che avviene nell’infinitamente piccolo (particelle subatomiche) lascia l’uomo senza fiato. Eppure la realtà intorno a noi sembra così diversa da quella descritta dalla fisica quantistica. Nel mondo macroscopico tutto sembra essere lineare (per andare da A a B percorriamo linearmente ciascun punto che li separa), causale (c’è sempre un nesso di causa/effetto), locale (oggetti distanti non possono avere influenza istantanea l’uno sull’altro), deterministico (si può sempre conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di un oggetto) e così via.

Tuttavia, nella realtà quantistica tutto ciò viene contraddetto. Si riportano di seguito alcuni esempi sul diverso comportamento del mondo delle particelle con riferimento alle quattro principali proprietà caratteristiche:

  • Non-linearità: un elettrone che compie una transizione da un orbitale a un altro, non percorre tutti i punti che li separano, ma esegue un “salto quantico” istantaneo tra i due livelli (assorbendo o cedendo un fotone di energia) senza assumere valori di energia intermedi;
  • Non-causalità e Indeterminazione: il principio di Heisenberg introduce l’indeter­minazione, mostrando come non sia possibile conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella. Le condizioni di un sistema quantistico, successive a un’interferenza con un sistema di misura, non possono essere previste con precisione. I valori di una grandezza osservabile saranno ottenuti non deterministicamente secondo una distribuzione di probabilità che è univocamente individuata dallo stato del sistema;
  • Non-località: il fenomeno dell‘entanglement quantistico (come descritto più avanti), ci dimostra come due particelle “entangled” possano reagire istantaneamente anche se portate a grandi distanze fra loro.

In altri termini, le particelle elementari costituiscono il mondo reale sotto i nostri occhi eppure le leggi che ne governano l’esistenza appaiono in grande contrasto con quelle dei corpi materiali da esse costituiti. Certo, è noto che i corpi sono composti essenzialmente da spazi vuoti e che la loro rigidità è governata dalle forze elettromagnetiche all’interno degli atomi e fra loro, tuttavia il fatto di essere a conoscenza delle leggi più intime della natura non ci esime dal sentir sorgere in noi molto spesso sensazioni di disorientamento e domande irrisolte.

L’uomo sembra dover rinunciare alla speranza di conoscenza certa del mondo basata sulle cosiddette scienze esatte. L’universo appare come un qualcosa del tutto indeterminato e indeterminabile, sì da richiamare alla mente le espressioni con cui veniva nominato nelle religioni tradizionali.

Potrebbe trattarsi soltanto di un problema di natura epistemologica? Il mondo subatomico si esprime evidentemente con un linguaggio completamente diverso da quello che siamo abituati a usare in ambito scientifico. Si è cercato di rappresentare i sorprendenti fenomeni della fisica quantistica mediante le regole matematiche e logiche usate da sempre. Tuttavia alla fine le formule e ipotesi speculative hanno portato solo a convenzioni, indeterminazione, probabilità. In altre parole potremmo chiederci se non abbiamo forse usato un linguaggio improprio per descrivere una realtà che eccede le nostre attuali capacità di comprensione e di definizione. Sarà mai possibile giungere a una teoria unificatrice che descriva nella sua totalità il comportamento fisico del mondo subatomico, di quello macroscopico e di quello cosmologico?

Possiamo per il momento costatare che proprio la fisica quantistica ha aperto al mondo scientifico la questione dell’osservazione e del livello di realtà connesso con la stessa: ciò che spesso sembra impossibile e incongruente, è invece ammesso e non contraddittorio se osservato da una diversa prospettiva. Un singolo livello di realtà può solo creare opposizioni antagoniste.

 

Un nuovo orizzonte

Si consideri come esempio la funzione di Schrödinger, pilastro base della meccanica quantistica. Matematicamente, rappresenta un’onda che potrebbe essere fisicamente un’onda dell’oceano. Eppure non è così, il suo significato è molto più complesso; si è stati costretti a creare una convenzione, una forzatura per impiegare gli strumenti matematici descrittivi per un fenomeno di natura completamente diversa.

Wolfgang Pauli
Wolfgang Pauli

La funzione d’onda di Schrödinger è stata oggetto di numerosi dibattiti da parte dei maggiori filosofi della scienza del secolo scorso. Il suo valore è stato convenzionalmente indicato con la lettera greca ψ, la quale calcola la probabilità che una misurazione quantistica abbia un esito particolare. Prima della misura, lo stato del sistema si trova in una situazione di “sovrapposizione” di tutti gli stati possibili: è solo dopo aver eseguito la misurazione che il sistema “collassa” in uno stato determinato.

Ciò si presta a due diverse interpretazioni: ontologica ed epistemologica. Per l’approccio ontologico, ψ rappresenta la realtà quale essa è, e il collasso della funzione d’onda altro non è che il naturale evolversi del sistema a seguito dell’interazione con l’ambiente circostante. Per contro, la visione epistemologica sostiene che ψ rappresenta al massimo la nostra limitata conoscenza dello stato del sistema e il collasso della funzione d’onda non è un processo fisico vero e proprio ma l’aggiornamento quasi istantaneo della nostra conoscenza sullo stato del sistema. È la nostra conoscenza, quindi, che sembra assumere modalità discontinue, non lo stato attuale del sistema quantistico.

Da qui, le possibili speculazioni teoriche diventano innumerevoli. La funzione d’onda è realtà oggettiva o soltanto conoscenza soggettiva? Piuttosto che proseguire sulla strada dei paradossi e delle speculazioni mentali, potrebbe essere più costruttivo intraprendere prima un percorso di riflessione. Abbiamo visto che la fisica e la matematica ci hanno presentato sostanzialmente tre mondi distinti: quello microscopico delle particelle, quello visibile in cui viviamo su questa Terra e il mondo cosmologico delle grandi distanze intergalattiche. Per ciascuno di questi mondi gli scienziati hanno studiato ed elaborato formule che ne descrivono le leggi fondamentali. Eppure, nonostante gli sforzi, non è stata ancora trovata e sperimentata una legge unificatrice che esprima la sua validità dalla fisica quantistica alla cosmologia.

Si affaccia quindi all’orizzonte l’esigenza di allargare i confini oltre le limitazioni imposte dalle correnti modalità di ricerca scientifica, secondo un approccio che tenga conto anche di altre discipline umane che possano integrare – con intuizioni e conoscenze specifiche – i modelli presentati dalla fisica e giungere a prospettare diversi livelli di realtà. In altri termini si è sentita l’esigenza di una ricerca transdisciplinare che sia in grado di integrare al suo interno il “ricercatore” (l’uomo) realizzando le necessarie connessioni.

Questo problema ha portato a riconoscere che esistono differenti vie della conoscenza, che le loro diverse modalità sono complementari e che esse afferiscono a diversi livelli di realtà. Il concetto di “livelli di realtà” è stato introdotto come primo assioma fondamentale della transdisciplinarità dal fisico teorico Basarab Nicolescu, Presidente e fondatore del Centro Internazionale per gli Studi e le Ricerche Transdisciplinari (CIRET).

Tornando al nostro caso, possiamo rilevare con semplicità i tre livelli:

  1. il livello macrofisico;
  2. il livello microfisico;
  3. il livello cosmologico.

Secondo il comune approccio scientifico, le leggi fisiche che descrivono ogni livello valgono soltanto all’interno del livello stesso, e non negli altri. Eppure i tre livelli esistono simultaneamente e quelle che appaiono come contraddizioni in uno dei livelli non lo sono più negli altri due.

Un esempio di quanto appena asserito è il fenomeno psicologico che Carl Gustav Jung chiamò sincronicità: un legame tra due eventi che, pur se non connessi tra loro in maniera causale, avvengono contemporaneamente (vedi articolo Incontro tra Jung e Pauli). Nonostante la fisica del tempo fosse fondata sul rigido assioma di causa-effetto, essi osservarono che qualunque presunzione di un nesso causale tra gli eventi sincronici era assurda o inconcepibile. La non causalità, principio che sembra non aver ragione di esistere al nostro livello di macrocosmo, nella realtà quantistica è uno dei principi basilari dell’entanglement. C. G. Jung e W. Pauli non avrebbero mai potuto delineare e descrivere il fenomeno della sincronicità se ciascuno dei due non avesse osato trascendere i limiti delle proprie discipline, la fisica (Pauli) e la psicoanalisi (Jung).

 

L’entanglement: una chiave di lettura

L’entanglement è uno dei fenomeni più sorprendenti legati al mondo quantistico delle particelle. Due particelle si dicono in uno stato di entanglement quando le proprietà di una di esse sono completamente correlate con le proprietà dell’altra. (es: due elettroni sullo stesso orbitale sono descritti da un’unica funzione d’onda. Hanno ciascuno spin opposto, secondo il principio di esclusione di Pauli). Due particelle entangled non rappresentano più due enti separati, ma un’unica manifestazione di una sola entità.

Numerosi esperimenti in tempi e luoghi diversi hanno ripetutamente confermato questo fenomeno, inducendo la variazione istantanea di uno stato di una particella entangled anche a molti chilometri di distanza dall’altra. Questo sembrerebbe apparentemente ingenerare un meccanismo di propagazione istantanea dei segnali, oltre la velocità della luce ma questa conclusione è errata: infatti non esiste alcuna “propagazione” in quanto non esiste un meccanismo di causa-effetto, non c’è nulla che fisicamente “viaggia” da una particella all’altra. Non si tratta dunque della trasmissione di segnali. Il fenomeno sembrerebbe portarci a considerare in una nuova prospettiva la struttura più intima dell’Universo, dove tutto, secondo le più antiche tradizioni sapienziali, esiste intimamente legato, al di là dello spazio e del tempo.

Roger Penrose
Roger Penrose

I riflessi del fenomeno dell’entanglement nel mondo in cui viviamo sono molteplici. Oltre alla già citata sincronicità psicologica, sono state rilevate trasmissioni di energia quantistica in particelle entangled all’interno del processo di fotosintesi delle piante (vedi articolo su Kurzweil Accelerating Intelligence). La maggior parte delle macromolecole di raccolta della luce in una pianta sono composte da cromofori che effettuano il primo passo della fotosintesi: catturare la luce solare e trasferire l’energia associata con il massimo dell’efficienza. È stato osservato che le proprietà di alcune delle vibrazioni dei cromofori che assistono il trasferimento di energia durante la fotosintesi non possono essere descritte attraverso le leggi classiche della fisica o della chimica. Accade infatti che l’energia di due cromofori vibranti può corrispondere in un certo momento alla differenza di energia tra le transizioni elettroniche dei cromofori stessi: il risultato è uno scambio coerente istantaneo di un singolo quanto di energia a seguito di un fenomeno di entanglement.

Secondo gli studi effettuati dal fisico inglese Roger Penrose, il cervello umano non è guidato da algoritmi quindi i suoi processi o meccanismi non sono descrivibili secondo il formalismo matematico tradizionale. A questo punto, però, la teoria quantistica si pone come possibile candidato per la definizione di un modello plausibile. Insieme al medico Stuart Hameroff, Penrose scoprì come i microtubuli delle cellule cerebrali (costituenti il citoscheletro delle cellule) siano i candidati idonei a supportare l’elaborazione quantistica e in particolare il citato fenomeno dell’entanglement.

I due scienziati, a seguito di recenti sperimentazioni della loro teoria denominata Orch-OR (Orchestrated Objective Reduction), hanno suggerito una relazione diretta tra le vibrazioni quantistiche dei microtubuli e la formazione della coscienza. Hameroff e Penrose scrivono che “l’origine della coscienza riflette il nostro posto nell’universo, la natura della nostra esistenza. La domanda da farsi è: la coscienza si è evoluta da complessi calcoli tra i neuroni del cervello o invece è la coscienza stessa, in qualche modo, a starci sempre accanto come il guscio di una tartaruga? … la nostra teoria ospita entrambi i punti di vista, suggerendo che la coscienza derivi da vibrazioni quantistiche in microtubuli che gestiscono le funzioni neuronali e sinaptiche e che collegano i processi cerebrali a processi di auto-organizzazione”.

Molti moderni scienziati, tra i quali il fisico teorico Brian Greene della Columbia University ritengono che l’universo sia un tutto intrinsecamente entangled e coerente con se stesso. Se l’universo era – circa 15 miliardi di anni fa – concentrato in un punto di densità pressoché infinita, ci sono valide ragioni per ritenere che in quel periodo tutte le particelle componenti l’universo fossero tra loro entangled, vista la notevole e strettissima interazione cui erano sottoposte. Se è così, un fantasma di questo antico legame è stato mantenuto anche ai giorni nostri, a livelli che ancora non conosciamo: una sorta di entanglement universale al livello più fondamentale delle particelle.

Dovremmo dunque ritenere che in qualche modo tutte le particelle dell’universo mantengano una sorta di memoria di ogni altra particella in esso contenuta e che la separazione che divide le cose nel nostro universo quotidiano – seppur reale da un punto di vista newtoniano e relativistico – sia solo un’illusione se vista da punti di vista di altri livelli di realtà.

Che cosa è rimasto dell’entanglement iniziale? Quali connessioni ancora inesplorate potranno rivelarsi inaspettatamente? Come diceva Brian Josephson, Premio Nobel per la Fisica: “L’universo non è una collezione di oggetti, ma un’inseparabile rete di modelli di energia vibrante nei quali nessun componente ha realtà indipendente dal tutto: includendo nel tutto anche l’osservatore”.

Per il momento limitiamoci all’augurio di riscoprire quanto la scienza viene oggi confermando, già custodito dalle antiche culture sapienziali,: l’uomo è parte di un Tutto, microcosmo di un macrocosmo, ‘docile fibra dell’universo’.

Fabio Marzocca


Articoli correlati