Un “cittadino” che si fosse trovato a Parigi durante l’Estate del 1789 non avrebbe certo immaginato che esattamente mezzo secolo dopo, nella stessa città, avrebbe avuto luogo un’altra “Rivoluzione”, più tranquilla, ma ciononostante non meno profonda, per l’Umanità. Non credo troppo alle coincidenze: il pensiero illuminista, giunto a fondare un Nuovo Mondo, con gli eventi dell’89, aveva bisogno di crearne la nuova cultura.
Come nel Rinascimento, una nuova invenzione, la stampa a caratteri mobili dei Gütemberg, aveva rivoluzionato la cultura scritta, alla stessa maniera, nel 1839, la Fotografia rivoluzionò l’immagine e, di conseguenza, l’immaginario umano. L’immagine ha sempre avuto una grande influenza sull’anima dell’Uomo, più del linguaggio o della scrittura.
I primi documenti che l’Uomo ha tramandato, su questa Terra, sono delle immagini.Di più, si deve considerare che, nel caso della fotografia, è il soggetto stesso che riproduce la propria immagine. Ciò dà alle foto, che sono il risultato di una tecnica, un qualcosa che la collega ad un mondo magico o al soprannaturale.
La Fotografia si è presentata come un fenomeno unico: ha introdotto di colpo l’Immagine nella nostra cultura occidentale.Le religioni rivelate, l’Ebraismo, l’Islam e il Cristianesimo hanno sempre avuto un rapporto di profondo sospetto nei confronti dell’Immagine.Il Cristianesimo è stato più permissivo, utilizzando il linguaggio delle immagini con una finalità fondamentalmente didattica.Infine tutto ciò è scomparso dopo l’introduzione del linguaggio fotografico, con il cinema e con la distribuzione “capillare” della televisione.
L'”obiettività dell’obiettivo” ha sdoganato l’Immagine e permesso il passaggio della frontiera anche delle culture più sospettose, che, peraltro, intuendone subito le enormi potenzialità non hanno tardato a farne strumento di controllo e di subliminale persuasione.
Probabilmente noi siamo ancora poco coscienti delle conseguenze di questo evento epocale.
Gilbert Durand, grande antropologo dell’immaginario umano e del mito, che ho avuto l’onore di conoscere e frequentare, ha pubblicato studi fondamentali sul rapporto fra Immagine ed Immaginario.
Il periodo della Fotografia che amo di più è quello situato verso la fine del XIX secolo. I protofotografi sperimentavano differenti metodi, carte, sostanze chimiche: essi cercavano il loro linguaggio, non c’era da fare altro che tentativi, correzioni, per arrivare ad una nuova sintassi formale di cui servirsi per i propri progetti grafici. Nella stessa epoca i materiali fotografici iniziarono ad essere fabbricati dalle industrie, ed i fotografi cominciarono a perdere il loro interesse per la ricerca, con la conseguenza di perdere la maggior parte delle tecniche più antiche.
Sicuramente le tante carte in bianco e nero o a colori, o il Cibachrome, ecc., danno risultati eccellenti, ma i protofotografi iniziarono ad “accontentarsi”, anche perché i materiali prodotti dall’industria erano pronti per l’uso e non era più necessario prepararseli.
È questo il periodo che ha segnato la fine della protofotografia, non solo da un punto di vista tecnico ma anche formale ed estetico perché un linguaggio è completo quando l’artista può dominare la sua sintassi e tutti i suoi mezzi espressivi. La Fotografia, con il passaggio ai “media” fabbricati dalle industrie, ha perduto la cultura, la tradizione e l’esperienza di cento anni della propria storia, e con essa procedimenti preziosi come il collodio, la stampa al platino, la “carta salata”, il carbone o gli inchiostri.
Per le proprie foto è importante utilizzare il procedimento che si sente congeniale, senza domandarsi il perché. Insomma dovendo scegliere tra differenti tecniche, preferire quella che si sente adatta ad esprimersi al meglio: l’antichità o la modernità hanno un’importanza relativa… Quando si cerca di esprimere qualcosa si è sempre in due: in Fotografia (come nelle altre arti) c’è il fotografo ed il soggetto. è dunque un’azione a due e c’è un rapporto importante, anche se può sembrare strano, soprattutto detto da me che fotografo soprattutto statue.
In realtà il rapporto che si instaura fra i due soggetti è, in parte, al di la della coscienza. A volte si scatta senza volerlo: sembra che l’apparecchio lavori da solo, mentre si stava pensando ad altro.
È stato forse un sogno che ha cercato di manifestarsi per dire qualche cosa che non comprendevamo, utilizzando il nostro terzo occhio? Perché l’obiettivo è il vero sguardo del fotografo, ciò che mette in comunicazione l’interno con l’esterno. È l’obiettivo il terzo occhio. Nell’illustrazione in Fig.1, lo schema ottico di un obiettivo leggendario: il Tessar Zeiss. Esso fu uno dei primi schemi ottici della storia della fotografia, ed è tuttora validissimo. E’ stato probabilmente il “terzo occhio” più usato nella storia da tutti i fotografi, per la sua semplicità e qualità. La storia dell’ottica fotografica è, a torto, trascurata nelle varie storie della fotografia: come se si ignorasse la grammatica quando si insegna una lingua. Non si può comprendere a pieno un’immagine se si ignora con quale “obiettivo” è stata realizzata.