Il linguaggio fotografico come metalinguaggio

Lorenzo Scaramella

Il ‘linguaggio’ fotografico, come ogni linguaggio, possiamo dire seguendo Gilbert Durand, è sempre anche un metalinguaggio, che non rientra negli schemi della logica binaria, ma in quelli della logica trivalente. Non si tratta cioè di un sistema telegrafico di comunicazione univoca tra emittente e ricevente ma si incentra sul fenomeno della lettura e dell’interpretazione del messaggio e implica dunque una epistemologia aperta, dinamica, un flusso energetico trasformante e soprattutto il postulato della profondità.

Il postulato della profondità implica una lettura non soltanto orizzontale, uno sguardo diretto al mondo, ma anche verticale che ci metta in contatto con un luogo e uno spazio altro di cui cogliamo l’essenza al di là di ogni coordinata spazio-temporale, e in cui vibrano il nostro desiderio la nostra attesa e la nostra speranza.

Una struttura figurativa vuole esplicitare un senso che naturalmente sfugge. La ‘figura’ ce ne fa presentire, ne rende presente l’essenza proprio nella mancanza, in uno spazio, una sorta di incavo che richiama un dinamismo di riempimento. “Questo spazio si incava, per così dire, perdendo la sua consistenza obiettiva di spettacolo per accogliere in sé la presenza dell’ego” (Noël Mouloud).

Possiamo dire lo stesso per la ‘struttura in profondità’ della musica.

Non soltanto il linguaggio della profondità, del dislivello abita l’epistemologia musicale (suoni gravi, soggetto e contro-soggetto, motivo, leitmotif, etc.) ma possiamo dire che la semanticità della musica risiede proprio nella sua capacità di incontro con la sensibilità dell’interprete e dell’ascoltatore. La musica è un incavo sonoro. Consiste nel proporre al corpo un’accoglienza ritmica, alla sensibilità acustica un’accoglienza melodica, all’intelligenza un’accoglienza armonica.

L’incavo di cui parliamo non è dunque un vuoto ma una forma che richiama sempre un pieno che ad esso si conformi. E dunque possiamo concludere con Durand che la comprensione del senso di un linguaggio umano, che in quanto tale è sempre poetico, artistico e dunque un metalinguaggio, è collegata proprio con quel progetto al di là dell’umano di cui non possiamo mai conoscere i confini ‘tanto profondo è il suo logos’.

****

Un giorno mi trovai in un museo che frequento assiduamente da anni, per non dire da decenni, di fronte ad una statua che conoscevo bene, che avevo fotografato molte volte, senza mai essere soddisfatto del risultato ottenuto, nonostante la bellezza della statua, la luce che non mancava e variava a seconda dell’ora offrendo mille possibili interpretazioni.

Improvvisamente, senza nemmeno accorgermene, senza esitazione presi l’apparecchio fotografico, inquadrai assicurandomi della messa a fuoco e scattai.

Guardando la foto sul piccolo schermo, per la prima volta ebbi l’impressione che quella era l’immagine che cercavo, che mi corrispondeva…

Che cosa era accaduto? Quale elemento nuovo aveva fatto sì che sentissi in me quella certezza? Eppure la statua era sempre la stessa, la pietra non cambia forma a caso, la luce, bene o male, era simile a quella di tante altre volte.

Forse era stato particolare il modo in cui avevo scattato.

Sì, perché anche se il soggetto è una statua ci sono molte cose che possono cambiare completamente il risultato.

Oltre all’obiettivo, alla profondità di campo, alla nostra posizione, la luce è l’elemento che per eccellenza struttura l’immagine. In fin dei conti tutto quel che vediamo è “portato” ai nostri occhi dalla luce. Il Sole illumina ogni giorno con un’inclinazione diversa, che tornerà ad essere uguale circa 365 giorni dopo (ammesso che non ci siano nuvole). Le nuvole possono essere scure, altre volte possono conferire una diffusione ed un chiarore quasi magico a tutti gli oggetti.

Se la statua non può cambiare…può cambiare il fotografo stesso che, a secondo del suo stato d’animo, può essere allegro, indifferente, triste, stanco annoiato ecc.

Io non sono mai uguale a me stesso, e se, come diceva Eraclito, nessuno si bagna due volte nello stesso fiume, così ogni volta che osservo un oggetto per fotografarlo è come se fosse la prima volta. Anche se lo osservo cento volte, saranno cento “prime volte”.

In realtà improvvisamente ero riuscito a parlare con la statua, a sentire il suo messaggio, quello che l’ignoto artista aveva comunicato al marmo mentre scolpiva e che improvvisamente avevo sentito risuonare in me, nel mio animo in attesa. Ero certo, attraverso la pienezza che sentivo in me, che avevo colto l’essenza di quel messaggio. La statua era viva e penetravo nella profondità dello sguardo che vedeva l’infinito dove potevo raggiungerla.

Lorenzo Scaramella


Articoli correlati