Automi magici

Ezio Albrile

La Tre Editori ha riproposto recentemente uno dei classici dell’esoterismo occidentale: Il Golem di Gustav Meyrink (Roma 2015, pp. 362, Euro 21,00). Si tratta di una nuovissima traduzione corredata dalle illustrazioni originali di Hugo Steiner-Prag e curata da Anna M. Baiocco, che ha scritto anche l’interessantissima Introduzione (pp. 9-41) nella quale ricostruisce i percorsi culturali attraverso cui l’immagine del Golem, il misterioso automa della mistica ebraica, è entrato a far parte dell’immaginario occidentale.

GolemIl Golem è una creazione magica operata a partire dal Sefer Yetzirah, il «Libro della Creazione», uno dei testi fondanti il misticismo cabbalistico; una forma di misticismo centrato sul potere demiurgico della parola e delle lettere componenti l’alfabeto ebraico. Un mistico medievale, Eliezer da Worms, elaborò un rito teurgico per infondere vita a questa creazione: Per animarla – spiegava Eliezer – si doveva legare ogni singola parte della creatura alla lettera che le competeva e associarla a tutte le altre lettere dell’alfabeto, secondo una mistica combinatoria in cui le risultanti 221 parole o «Porte della Creazione» dovevano essere a loro volta associate alle lettere del nome divino YHWH, ilTetragramma, il nome segreto tramite il quale Dio creò il mondo. Pronunciando il tutto seguendo una specifica prassi magica, il Golem avrebbe preso vita.

Ma la leggenda dalla quale il libro di Meyrink trae ispirazione è versimilmente quella di Rabbi Löw, il cabbalista praghese dei tempi di Rodolfo II d’Asburgo (1552-1612), noto per aver creato il Golem. Il dotto cabbalista venne esortato in sogno a creare il magico automa con il fine di proteggere la comunità ebraica dai suoi persecutori. Ma il Golem sfuggirà presto al controllo del suo creatore, che si vedrà costretto a privarlo della vita e a riportarlo alla condizione di terra informe da cui l’aveva tratto. Questa tarda leggenda venne codificata dal rabbino Yeudah Rosenberg in un libro, pubblicato in ebraico e yiddish nel 1909 (Il Golem e le meravigliose avventure del Maharal di Praga). È la probabile fonte di Meyrink, anche se nel romanzo dello scrittore austriaco il Golem da creatura vagante nel ghetto ebraico, si è trasformata in una sorta di alter ego del protagonista Athanasius Pernath. Nella poetica di Meyrink, il Golem è la creazione informe da cui sorge l’uomo nuovo, l’uomo che si risveglia al mondo spirituale. Questa tematica gnostica del risveglio dal «sonno» e dalla ubriacatura del mondo è ampiamente sviluppata nel romanzo. Le esperienze del protagonista collimano con un percorso «iniziatico», il cui fine è il conseguimento di una libertà dal mondo e dal dualismo in cui egli è immerso. Tale ansia di annientamento, sospesa e aleggiante in tutto il romanzo, porterà lo stesso Meyrink ad aderire alla fede buddhista e in seguito a estinguere lucidamente la propria esistenza in una sorta di suicidio rituale.

Chi si aspetta di trovare in questo libro le trame occulte del meraviglioso, resterà deluso, Meyrink scava nell’interiorità dell’uomo, e il racconto segue il cammino di liberazione e di perfezionamento spirituale del protagonista. La trama è sospesa tra visione e realtà, tra una dimensione onirica nella quale si rivelano i segni del percorso iniziatico e l’infimo quotidiano del ghetto di Praga. Un intreccio che a volte rende la lettura anche abbastanza soporifera. Un’ultima notazione va fatta all’idea di Golem e alla costruzione magica di un essere animato dalla nuda terra. Abbiamo già accennato che la leggenda del Golem è parecchio tarda, e sembra continuare in ambiente medievale le tradizioni sull’animazione dei simulacri, che erano proprie del neoplatonismo teurgico, cioè della «Chiesa neoplatonica» formatasi in epoca tardo antica. Proprio i neoplatonici infatti conoscevano una letteratura orfica relativa alla consacrazione e alla animazione delle statue. Eusebio di Cesarea (Praep. Ev. 10, 44 [test. 99a Kern])– seguendo il neoplatonico Porfirio – riteneva che Orfeo avesse portato dall’Egitto l’arte dei teletai sulla edificazione delle statue.

La Suda, il grande lessico dell’antichità, attribuisce ad Orfeo un poema sugli Hierostolika, cioè «Sull’arte di adornare le statue sacre», mansione portata a termine dagli Hierostolistai il corpo sacerdotale addetto alla vestizione dei simulacri divini. Ed è forse in quest’ambito che bisogna collocare l’episodio riferito a Massimo di Efeso, mentore dell’imperatore Giuliano, il quale animò la statua della dea Hekatē facendole apparire un sorriso sul volto, mentre una fiamma scaturiva dalle torce che ella recava tra le mani.

Ancora, la Suda aggiunge che questi Hierostolika sono le klēseis kosmikai, le «evocazioni cosmiche», ovverossia le formule magiche che secondo la telestica neoplatonica permettevano di animare le statue «cosmiche». Lo sfondo teurgico si chiarisce ancora di più se prendiamo in considerazione un frammento di un poema orfico trasmesso da Macrobio (Sat. I, 18, 21 = fr. 238 Kern), che descrive l’arte di abbigliare il simulacro di Dioniso (sacra Liberi patris), assimilato al dio Sole: il sōma theou, il «corpo del dio», era adornato di buon mattino con splendide vesti che effigiavano il percorso del Sole attraverso la volta celeste.

Giuliano il Teurgo, presunto autore degli Oracoli caldaici, avrebbe salvato la campagna dacica di Marco Aurelio proprio grazie alla sua conoscenza della telestica, l’arte teurgica di consacrare e animare statue per ottenerne oracoli, basata sulla sympatheia universale. Ogni dio ha il proprio corrispettivo nel mondo animale, vegetale e minerale, e tali sostanze naturali potevano essere usate come «simboli» della loro causa divina. Si trattava di una pratica mirante ad evocare la presenza degli dèi nelle immagini preparate ritualmente; l’utilizzo delle immagini come statue viventi, in cui gli dèi sono realmente presenti, e l’arte sacerdotale di animarle consentivano l’affrancamento dell’anima dai legami sensibili che la compenetrano e la vincolano al mondo delle forme. La telestica era ben nota a Proclo, il quale nel commentario alla Repubblica platonica (In Resp. I, 120, 12 ss.) parla dell’animazione della statua di Eracle, mostrando di ave­re ben presenti rituali diffusi sia in Egitto che in BabiIonia, mentre nel commentario al Timeo rapporta la telestica addirittura all’arte di sciogliere l’anima dai legami e dai condizionamenti mondani che l’avviluppano (In Tim. III, 300, 13 ss.). Se ricordiamo, il Golem nella leggenda ha anch’esso una tale funzione apotropaica e salvifica.

Ezio Albrile


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