Convertito alla fede cristiana nel 387 dopo più di nove anni passati nel manicheismo, Agostino prende coscienza del pericolo che esso rappresenta per la Chiesa cattolica. Come laico innanzitutto, quindi come prete, e infine come vescovo di i ppona, porterà fino al 404 una lotta senza respiro contro le dottrine di Mani, contro le sue Scritture e contro i suoi discepoli. All’indomani della sua conversione, ha redatto il De moribus manichaeorum, un trattato nel quale descrive e condanna i comportamenti e gli insegnamenti dei suoi correligionari di ieri, quindi organizza la difesa dei libri dell’Antico Testamento denigrato dalla propaganda della setta1.
Contra Epistulam Manichaei quam vocant Fundamenti
Nel 396 il giovane vescovo inizia a lavorare a un documento che inaugura una nuova tappa del suo combattimento contro i manichei che, malgrado un decennio di forte opposizione dei cattolici e malgrado le condanne del potere imperiale, continuano a mantenere la loro presenza attiva e la loro propaganda nell’Africa del nord.
Si tratta del Contra Epistulam Manichaei quam vocant Fundamenti, un testo di sintesi della dottrina del p rofeta di Babilonia ad uso dei suoi discepoli. Secondo quanto dice Agostino questa lettera «contiene quasi tutto ciò che voi credete» (C. EP. F.,V,6) e secondo il manicheo Felix, «rivela i misteri che nessuno Apostolo aveva mai rivelato» (C. Fel.,1,9) 2.
In una prima parte della sua confutazione il controversista si contrappone all’incipit dell’Epistula :«Mani apostolo di Gesù Cristo per la provvidenza di Dio Padre» (V, 6). Deciso a ridurre a nulla le pretese della Chiesa di Mani, Agostino si basa dapprima sui vangeli e sulla tradizione apostolica per mostrare che si tratta di un falso, quindi tenta di confondere la soperchieria di Mani che si è anche presentato come il Paracleto annunciato da Gesù, «singolare audacia e indicibile sacrilegio» (C. Ep. F ., VI, 7); infine insiste sul fatto che egli si diceva contemporaneamente il Cristo e lo Spirito Santo nella celebrazione della festa di Bema (C. Ep. F., VIII, 9).
In seguito a questa lunga confutazione viene la domanda: come sono nati Adamo ed Eva? la cui risposta introduce il dibattito sul Reame della Luce e il Reame delle Tenebre (XIII, 16 – XV).
La discussione di questo dualismo radicale, basata sui testi dell’ Epistula , costituisce la seconda parte del trattato. Agostino è a suo agio. Sviluppa un insieme di argomentazioni fondate sulle conoscenze cosmiche popolari della sua epoca e ben adattate al suo pubblico (XXIV-XXIX).
All’interno di questa discussione si trova ciò che alcuni autori chiamano «una digressione sull’anima» ma che ha l’andatura di una confutazione della dottrina manichea del Noûs-Luce di cui si parla nelle Kephalaia3.
Infine la terza e ultima parte della controversia agostiniana tocca il problema del male, argomento he è l’oggetto della nostra ricerca.
Le cinque nature orribili e pestilenziali
A partire da questo punto Agostino non cita più i testi dell’ Epistula fundamenti se non, occasionalmente, qualche frase, poiché la sua cirtica dell’ Epistola consiste in una confutazione dei fantasmi della setta nella quale integra la sua propria dottrina e quella della c hiesa cattolica.
con nostro grande rammarico siamo privati di un testo di Mani che si trovava nella biblioteca episcopale d’Ippona e di cui non abbiamo che frammenti.
Mani condanna senza appello le cinque nature (naturas) che abitano nella terra delle tenebre perché esse sono «orribili e pestilenziali» (XXX, 33). I Kephalaia copti scoperti nel 1930 a Médinet Mdi in Egitto ci hanno permesso di prendere conoscenza di questa geografia manichea della terra delle tenebre e di familiarizzarci un poco con il principe e i suoi arconti così come con gli elementi di cui parla Agostino: fuoco, vento, fumo, tenebre, acque fangose4. Antico discepolo della setta egli è al corrente della dottrina, dei testi e probabilmente dei supporti illustrati che accompagnavano la propaganda. Non c’era alcun interesse pastorale a moltiplicare i dettagli di questa catechesi dualista in presenza dei suoi fedeli, cosa che spiega in parte il suo silenzio su questi testi e fa meglio comprendere il suo metodo di confutazione.
Nella sua esposizione relativa alla terra delle tenebre quale la descrivono i manichei, Agostino fa distinzione tra ciò che è cattivo e ciò che è buono, mentre il profeta di b abilonia «condanna come male supremo e assoluto una mescolanza di bene e di male». La serie di antitesi ricordate dal nostro controversista (fango delle acque /purezza delle acque; corruzione del fuoco /calore del fuoco; orrore del vento / respirazione, ecc.) fa riferimento alla dettagliata descrizione trovata nei testi manichei concernente la terra delle tenebre. Ma, dice Agostino, Mani ha formato i suoi fantasmi partendo da un’osservazione deficiente e parziale delle realtà fisiche e morali (XXXII). Quindi a questa falsa interpretazione delle conoscenze popolari e della scienza di almanacco dell’epoca, il vescovo di i ppona oppone un altro senso: un senso simbolico delle realtà del mondo cosmico e del mondo animale, un rifiuto del disprezzo manicheo per le creature, e ancora il rifiuto di una visione grossolana della materia e del cosmos e una rettificazione di numerosi dettagli. Al pessimismo radicale di Mani, Agostino oppone un ottimismo relativo fondato sull’armonia della creazione e sull’ordine del mondo.
L’ordine della creazione
Nel mito manicheo, alle origini coesistono due principi coeterni, ingenerati, due radici che hanno fondato due reami, quello della Luce e quello delle Tenebre. Situato in alto, il Regno della Luce è la casa del padre della grandezza nella quale il soffio dello Spirito spande luce e vita sui cinque elementi (nature) che costituiscono questo dominio e sui dodici spiriti. Ai confini e al disotto si situa il Reame delle tenebre costituito da cinque abissi sovrapposti, presieduti da cinque arconti dalle forme di demonio, di leone, di aquila, di pesce, di serpente. Diretto dal principe delle Tenebre e contraddistinto dalla nerezza, dal fetore, dalla laidezza, dal livore, dalla gelosia, questo dominio della materia porta i segni della notte. Al momento dell’attacco delle Tenebre contro la Luce il Padre della Grandezza ha fatto uscire dal suo Sé per emanazione l’Uomo Primordiale al fine di lottare contro le Tenebre. Il mito dualista sviluppa allora una teoria delle emanazioni che saranno all’origine del cosmo, della Gnosi, dell’uomo e della salvezza. Questa dottrina è contraria alla creazione del mondo ad opera di un Dio buono. Agostino ha già rifiutato brevemente questa mitologia delirante opponendo ad essa la creazione ad opera di un Dio onnipotente (xxv).
Vi ritorna alfine di abbordare attraverso questo tema il problema del male (XXXIII, 36).
Insistendo sull’ordine, sulla pace, sull’unità, sulla legge dei numeri, mostra l’errore dei manichei quando parlano della terra delle tenebre come un luogo del male, cioè del male supremo. In tal modo essi falsano l’ordine della creazione introducendo il male nella natura mentre il male è contro natura: « malum non natura sed contra naturam est » (XXXIII, 36)
Il vescovo di Ippona ripete qui la critica rivolta ai manichei nel De moribus II, IX, 14-19, cioè la miopia del loro sguardo portata sulla creazione e le creature nelle quali non vedono che il male.
Di fronte a questo pessimismo Agostino mette in evidenza l’ottimismo della visione cattolica del mondo e della creazione: unità, armonia, equilibrio, concordia. Ogni natura come tale è buona; la dottrina manichea relativa al reame delle tenebre è un profondo errore.
Il male non è altro che corruzione
Per il nostro controversista sembra arrivato il momento di precisare la nozione di male. Egli ne constata la presenza intorno a lui nel dominio cosmico, nella società, nell’ordine morale. Senza esitare ne dà una definizione: «La corruzione è il male di tutte le cose nelle quali si può scoprire il male».
Per Agostino non c’è alcun dubbio: «tutto ciò che è male non è niente altro che corruzione». Possunt quidem aliis atque aliis vocabulis alia atque alia mala nominari; sed quod omnium rerum malum est, in quibus mali aliquid animadverti potest, corruptio est » (XXXV, 39). L’autore dà una lista di esempi:«la corruzione del sapiente si chiama ignoranza; la corruzione del giusto, ingiustizia; la corruzione del coraggioso, vigliaccheria; quella della bellezza, laidezza… ecc.».
Al termine della sua enumerazione, Agostino conclude che ogni corruzione è contro natura ma non è una natura, la qual cosa significa che «nessuna natura è un male». Alla luce della sua teoria egli esamina «la favola di Mani» che riguarda la terra delle tenebre. Il suo ragionamento che muove dai concetti di natura incorruttibile, di natura incorrotta e di natura corrotta lo conduce a concludere che la dottrina di Mani è una pura finzione. In effetti, se le nature che egli pretende di trovare nella terra delle tenebre fossero incorruttibili, avremmo a che fare con il bene supremo; se esse fossero corruttibili mantenendosi incorrotte, bisognerebbe farne un grande elogio; se esse si fossero corrotte, avrebbero perso una parte del bene ma non sarebbero divenute il male supremo come pretende Mani.
Da dove viene il male?
Il male è contro natura, è una corruzione. Per i manichei è una natura, è una sostanza, è inerente alla materia, ai corpi. Da buon dialettico, Agostino è obbligato a fare un ultimo passo e a rispondere alla domanda: da dove viene la corruzione che è «il male generale delle cose buone ma corruttibili»? (XXXVI, 41). m a immediatamente si innalza e si rivolge verso Dio «il solo vero Maestro interiore e l’incoruttibile verità ».
Il vescovo di Ippona sa che deve esporre la dottrina cattolica che sarà la miglior risposta agli errori manichei come, ad esempio, la teoria delle emanazioni delle potenze divine che escono dal Padre della Grandezza. Agostino vi oppone la dottrina cattolica di Dio p adre e Bene Sovrano che ha generato da se stesso «il f iglio unico attraverso il quale sono stati fatti dal nulla tutti i beni che procedono dal Padre (Jn 1, 14 e Rom 8, 29). Ritorna sulla creazione, sulla dignità dell’Essere umano, sulla natura che ha rapporto con Dio e sul corruttibile che ha rapporto con il nulla ma anche sul peccato che è l’inizio della corruzione. Egli sfiora la questione della libertà umana e della Grazia, mostra un’ultima volta che la corruzione tende al non essere e esorta i suoi fedeli a volgersi verso il Bene Sovrano promettendo di denunciare in altri libri le stravaganze dei manichei.
Conclusione
La redazione di questo trattato, iniziata nel 396, è stata interrotta senza dubbio a causa delle attività pastorali del suo autore, il giovane vescovo.
Il fine di Agostino è di apportare ai suoi correligionari che aveva lasciato una decina d’anni prima e con i quali inizia una dura controversia, la verità che lui stesso ha cercato a lungo e che infine ha trovato nella Chiesa cattolica. Egli cerca di trattare i manichei con dolcezza ma porta un attacco frontale con le soperchierie di Mani che si è presentato come lo Spirito Santo e come il Cristo. La prima parte del Contra Epistulam Fundamenti è diretta contro questa incredibile pretesa dell’eresiarca. La seconda parte affronta la questione centrale del mito, i due Reami, oggetto della propaganda al cuore delle popolazioni che rischiano di lasciarsi impressionare da questa pseudo-cosmografia sacra. Il controversista cita due testi che gli danno occasione di mostrare l’aspetto ridicolo di simili dottrine. Il fine di Agostino non è di far conoscere l’Epistula di Mani ma di presentare la dottrina della Chiesa. Ora, la questione centrale sollevata dal dualismo è il problema del male.
La terza parte del testo di Agostino è un esposto della problematica del male sollevata dalle dottrine di Mani alle quali il vescovo di Ippona dà la risposta della Chiesa cattolica. Questa risposta non adotta più un tono polemico ma prende un’andatura pastorale. Tenta di far vedere ai manichei i loro errori e di confortare i cattolici nella verità.
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Note:
1) R. Jolivet, M. Jourion, Six Traités anti-manichéens, Desclée de Brower, Paris, 1961. Contra epistulam Manichaei quam vocant fundamenti, testo latino, trad. francese, 377-507.
2) Studi recenti:
J. Ries, Une version liturgique copte de l’Epistula Fundamenti de Mani réfutée par Saint Augustin? dans Studia Patristica 11, TU 108, Berlino, 1972, 341-349. ID. Notes de lecture du Contra Epistulam Fundamenti d’Augustin a la lumière de quelques documents manichéens, in Augustinianum, Studi sul cristianesimo antico e moderno in onore di Maria Grazia Mara, T. 35, Roma, 1955, 537-548.
F. Decret, l’Afrique manichéenne, IV, V siècles, I, ed. Etudes Augustiniennes, Paris, 1978, 109 -123. E. Feldmann, Die Epistula Fundamenti der nordafrikanischen Manichäer. Versuch einer Rekonstruktion, Oros, Altenberge, 1987.
G.Wurst, Bemapsalm Nr 223. Eine liturgische Version der Epistula Fundamenti? in Manichaica Selecta. Studies presented to professor Julien Ries, Manichaean Studies I, Lovanii, Lundae, 1991, 391-399.
3) C Schmidt, Kephalaia, Stuttgart, 1940. Voir K 53. J. Ries, L’enkrateia et les motivations dans les kephalaia coptes de Medinet Mdi in U. Bianchi (ed.), La tradizione dell’Enkrateia, ed. Ateneo, Roma, 1985, 369-39.
4) Giulia Sfameni Gasparro, Natura e origine del male: alla radice dell’incontro e del confronto di Agostino con la Gnosi manichea, in L.Alici, R.Piccolomini, A.Pieretti (a cura di), Il mistero del male e la libertà possibile, Inst. Patrist. August., Roma, 1994, 7-55.