Claudio Widmann
C’era un ragazzo che come me
L’eternità breve dell’archetipo giovanile
Ma.Gi. Edizioni (Roma) 2017
Sono passati 50 anni dal famoso ’68, che sembrava dovesse aprire ai giovani a una primavera di speranze e di nuovi orizzonti (l’imagination au pouvoir!). Al momento attuale, l’occidente sta attraversando una grave crisi culturale, morale, spirituale, religiosa, politica e assistiamo all’avanzare vertiginoso e inarrestabile del progresso delle tecnoscienze il cui potere gigantale investe il mondo intero. Mentre la nostra capacità di prenderne coscienza è impari e gli scenari prossimi sembrano impensabili, d’altra parte assistiamo a un entusiasmo generale che fa proprio della tecnologia la nuova religione, la possibilità di superamento di ogni male, la via di salvezza.
Può allora essere importante guardare indietro agli ultimi 50 anni, soprattutto per chi ne ha vissuto le vicissitudini e ha visto cadere al vento non solo gli aquiloni.
Claudio Widmann, noto psicologo junghiano e autore di molti significativi saggi sulle problematiche psicologiche che travagliano gli individui e la società contemporanea, ha dedicato agli anni Sessanta-Settanta un libro centrato sulla figura archetipale che in quegli anni sembrava dominante: il puer, il fanciullo divino.
«I fanciulli divini vivono nella dimensione atemporale degli dei. Appartengono all’eternità, ma la loro eternità dura finché dura la gioventù; si esaurisce nello spazio breve d’una primavera, in quello più fugace della fioritura, in quello effimero dell’istante. » (p. 14)Questa considerazione è il tema di fondo del libro.
Le generazioni nate dopo due traumatiche guerre mondiali sono vissute in un’epoca che tentava di dimenticare orrori troppo recenti e sperava di poter sfuggire a minacce pur incombenti. Non hanno conosciuto in prima persona le sofferenze che avevano vissuto i padri, ma si sono sentite investite dal compito di cancellare il passato di tragici errori e di rifondare loro, giovani e innocenti, un mondo migliore.
Ed ecco che, come scrive Widmann: «Cambia la Musica. Da lontano al di là del mare, dal Nuovo Mondo (…) giunge l’eco di forze che rumoreggiano, sonorità sorde e potenti, voci che si levano stridenti e dissacranti. (…) dal Nuovo Mondo del rinnovamento provengono musiche, ritmi, canzoni, brani incardinati su sonorità nuove, sconcertanti e travolgenti, elettrizzanti e scandalose. (…) E così la seconda metà del Novecento si apre all’insegna di impulsi libertari che investono buona parte del mondo non solo occidentale» (p.14).
Il testo segue con attenzione i movimenti che si vanno estendendo in tutto il mondo. I tentativi di emancipazione dal regime sovietico in Polonia e in Cecoslovacchia consacrati da una lunga catena di vittime. Negli Stati Uniti d’America le rivendicazioni dei diritti civili e della parità razziale degli Afroamericani, sognata da Luther King e consacrata dal suo martirio. La rivoluzione Cubana, fomentata da Fidel Castro, quella di Che Guevara in Bolivia.
Lo sguardo cade inevitabilmente sul tramonto del colonialismo in ogni parte del mondo e la conseguente destabilizzazione degli assetti occidentali. Ecco aprirsi nuovi terribili fronti di guerra, come quello del Vietnam ove gli Stati Uniti sostengono Saigon contro la minaccia dei Vietcong.
Nonostante la superiore potenza militare la guerra nel Vietnam si rivela inaspettatamente dura ed estenuante e rivelerà come scrive l’Autore «un punto d’irrimediabile divaricazione tra correnti conservatrici e innovatrici della società, tra establishment e base, tra giovani e adulti», ma anche, dobbiamo sottolineare, tra poteri forti che si minacciosamente si confrontano.
Il titolo del libro C’era un ragazzo che come me… è una citazione della famosa canzone dedicata a uno dei tanti ragazzi strappati alla loro dimensione puerper andare a combattere in Vietnam e che diventerà inno internazionale al pacifismo e all’antimilitarismo dei giovani.
I capitoli Contestazione, Anticonformismo, Autostop, Libertà, Sessualità, Fantasia, Utopia, Femminismo, Ribellione, Coscienza si soffermano principalmente sugli aspetti psicologici alla base delle ideologie che animavano i giovani manifestanti. «Il loro pacifismo ideale si sintetizza in un motto programmatico, love and peace, e ispira un buonismo utopico declinato in forme consimili: “fate l’amore, non fate la guerra”, “mettete dei fiori nei vostri cannoni” ❲…❳Coltivano un sogno – più che un’ideologia – anti-materialista che guarda all’oriente per individuare modelli di realizzazione spirituale e che pratica l’uso di droghe per trovare liberazione dalla realtà materiale.I profeti di questa cultura non sono Marx o Marcuse, ma Ginsberg, Kerouac, Reich, Leary» (pp. 30-31).
L’onda sismica che scuote il Mondo Vecchio, come sottolinea Widmann, ha l’epicentro nelle università, anche se, come affermano i leaders del movimento, la protesta studentesca “è un’estensione delle delusioni rispetto ai valori del macrocosmo sociale”.
E ancora una volta, la musica cambia e l’ondata contestataria nata a Berkeley si propaga in Europa, Berlino, Parigi, investe l’Italia. Non ci saranno solo gli studenti a gridare ‘pace e amore’ o ‘fiori nei cannoni’, ci saranno scioperi operai, selvaggia occupazione delle fabbriche, barricate, incendi di stazioni della polizia e edifici pubblici, scontri sanguinosi, morti e feriti. In Francia, nel maggio del ’68 il grido della rivoluzione Francese, ‘À la Bastille’ echeggia sulle barricate tra le folle dei contestatari che si ingrossano sempre di più. Dopo un primo momento di incertezza, arriverà la risposta ferma e dura della polizia: una imponente manifestazione agli Champs Élysées al grido di ‘evoluzione senza rivoluzione’ e il voto di riconferma di De Gaulle fermano l’ondata rivoluzionaria. In Italia la contestazione partita dall’Università di Trento nel ’68 si diffonde a tutte le altre università e anche alle scuole medie superiori assumendo sempre più un tono politico di estrema sinistra o al di là dell’arco costituzionale. In breve l’ondata contestataria passerà dai movimenti studenteschi a quelli operai e alla lotta armata. Gli anni ’70 sono stati tragici, costellati da attentati, atti terroristici e stragi attribuiti a gruppi estremisti di destra o di sinistra.
Il culmine si ha nel ‘78 con l’uccisione di Aldo Moro rivendicata dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia e di falliti tentativi di trattative con il governo per la sua liberazione.
Widmann analizza le modalità psicologiche dell’archetipo del puer: «Dopo essersi tumultuosamente attivato l’archetipo giovanile appare depotenziato; si ripiega su se stesso, si eclissa». Si sofferma sull’aspetto ombra dell’archetipo del puer, tanto profondo quanto il suo aspetto luminoso, e anchericorda, citando Hillman, che, prima di essere uno spirito inquieto, l’archetipo giovanile è spirito. Ma sappiamo che lo slancio verticistico verso qualcosa di irraggiungibile e trascendente porta a voli folli e a cadute rovinose quando senza alcuna guida si percorrono sentieri sconosciuti. Ciò è noto a ogni tradizione religiosa e ben ce lo ha insegnato Dante che solo grazie alla guida del suo ‘maestro’ Virgilio ha potuto avventurarsi nella selva oscura e percorrere il cammino ‘dall’infima lacuna dell’Universo’ fino a sollevarsi tra i Beati che intercederanno per lui affinché raggiunga la suprema visione e ‘conservi sani dopo tanto veder gli affetti suoi’.
I giovani di quegli anni, nel loro desiderio di oltrepassare i limiti, visssuti solo come impedimenti che tarpavano loro le ali, hanno rotto i legami con i padri e la loro ‘cultura stantia’ e si sono serviti delle droghe per slanciarsi nel ‘folle volo’verso nuovi mondi. E molti, troppi, sono caduti come Icaro.
Le culture tradizionali, consapevoli della fragilità del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, hanno sempre dato grande importanza ai riti iniziatici che dovevano aiutare l’adolescente a uscire dalla dimensione atemporale per entrare nella società nella quale avrebbe dovuto pienamente integrarsi svolgendo con piena responsabilità il suo ruolo. Gli studi di antropologia e di storia delle religioni hanno evidenziato come le iniziazioni fossero momenti altamente significativi per l’intera comunità la quale attraverso gli anziani assumeva il compito di trasmettere i valori culturali religiosi ancestrali all’iniziando e di prepararlo al passaggio alla nuova vita di individuo, ad assumerne la sua parte, il suo compito e ad accettare il suo destino.
La rigorosa fedeltà ai riti tradizionali faceva sì che la trasformazione fisiologica fosse anche e soprattutto una crescita culturale religiosa sociale. In tal modo, il superamento delle prove iniziatiche che mettevano il giovane a confronto con l’angoscia provocata dalla solitudine, dalle privazioni, dalla paura e con il mistero della vita e della morte conferiva al neofita la fiducia di poter affrontare, come era stato per i suoi avi, le prove della vita e rispondere ai compiti che la società gli avrebbe affidato.
Tali riti iniziatici sono quasi completamente scomparsi nella cultura occidentale e occidentalizzata o ne è rimasto un simulacro il cui senso non è quasi più percepito.
Neppure vengono più raccontate dai genitori e dai nonni le favole tradizionali, perché le rappresentazioni di orchi e figure maligne sono giudicate troppo spaventose. Eppure quelle narrazioni che tanto affascinavano i fanciulli lasciandoli con il fiato sospeso per la paura rappresentavano un velato ricordo di prove iniziatiche che il protagonista infine riusciva a superare anche con l’aiuto insperato di misteriose figure soccorrevoli. E, come ci ricorda l’antropologo J. Servier, nelle culture tradizionali il rapporto con l’Invisibile è a fondamento di ogni aspetto della vita.
Il paragrafo conclusivo del libro, dedicato a coscienza individuale e collettiva,si apre con una affermazione di fiducia verso il futuro…«è rilevante che la coscienza transpersonale promossa dall’archetipo giovanile in questo passaggio d’epoca preceda in parallelo con una vigorosa affermazione della coscienza individuale». Come esempio tra i più significativi l’Autore indica l’esperienza femminista, vista come un percorso trasmutativo esemplare, di valore non soltanto femminile, se pur cita autori come Magda Di Renzo e Robert Mercurio che in questo modello rilevano complessità e tortuosità psicodinamiche.
Il testo termina con le parole di Jung per cui l’archetipo giovanile «rappresenta l’impulso più forte e irresistibile di ogni essere: l’impulso dell’autorealizzazione».
Ma, come ogni archetipo, proprio questo impulso, se ciecamente perseguito, può essere catastrofico per l’individuo e per la comunità. Il fulcro della psicologia di Jung, il processo di in-dividuazione è soprattutto una gnosi, un percorso verso la conoscenza profonda di se stessi, e la liberazione dal dominio cieco di un unico archetipo. Si tratta di una sorta di iniziazione spirituale per raggiungere, attraverso una profonda metanoia, il fine, compimento,telosdella vita, il superamento dei confini della propria individualità, e muovere verso la completezza del Sé.