La scienza della psiche e la conoscenza del mondo animale

Claudio Widmann
Il gatto e i suoi simboli
Ed. Ma.Gi – collana Il bestiario psicologico, Roma 2012

Maria Pia Rosati

 

Claudio Widmann, che da molto conosciamo e apprezziamo per il suo coraggioso aprire i cancelli della scienza psicologica alle complesse realtà del mondo e dei molteplici mondi che in esso coesistono, ha iniziato con un suo saggio, Il gatto e i suoi simboli, la collana di cui è direttore: Il bestiario psicologico.

Gatto_SimboliL’autore parte dal riconoscimento che la Vita non appartiene solo all’uomo, e che anzi «la vita animale fu anticipatrice di quella umana e gli animali furono i compagni più prossimi dell’uomo sia nella realtà che nella fantasia». Questa constatazione porta inevitabilmente a riconoscere una prossimità tra l’anima e l’animale e a progettare un “bestiario dell’anima” in cui l’animale è visto attraverso le trasfigurazioni immaginative e le proiezioni dei risvolti inconsci dell’uomo.

Il saggio che si articola su un registro interdisciplinare inizia con un ‘breve profilo identificativo’ che traccia la storia evolutiva del gatto dagli inizi, circa due milioni di anni fa, spaziando dalle leggende intorno all’origine del mondo che vedono leone e gatto creati rispettivamente da Sole e Luna e dunque fanno del gatto un leone piccolo, una belva in miniatura, alla divinazione del gatto in Egitto, dove era venerato come la dea Bastet, fino all’incontro con l’uomo. Il gatto è infine giunto a comodamente insediarsi nella casa dell’uomo e a convivere con lui, senza peraltro rinunciare alla sua abituale selvatichezza animale, assumendo così sul piano simbolico la figura di uno spiccato individualismo in contatto con il mondo inconscio e dei sogni. Infatti «animale utilitaristicamente inutile, il gatto dimostra la sua insostituibile utilità non sul piano fisico, ma su quello psichico. Per le sue proprietà istintuali e sensuali viene trasfigurato in immagine simbolica di affettività e per il suo aspetto, le sue dimensioni, la sua morbidezza, le sue fusa, le sue effusioni è oggetto di affezione concreta per un numero sempre crescente di persone» (p. 25)

Inevitabile dunque vedere il gatto come ‘un’imago magnificata di narcisismo’ e confrontarsi con la sua ‘autoreferenzialità al limite del narcisismo’, ‘introversione al limite dell’indifferenza’, ‘indipendenza al limite dell’insubordinazione’, ‘autosufficienza al limite del disadattamento’ da cui il loro fascino e potere di seduzione sull’uomo, pari a quello di alcune donne che, secondo Freud, evocano la magia di un’esistenza che si svolge su un piano di inaccessibile superiorità, come quello di alcune divinità, possiamo aggiungere, e che dunque è possibile solo adorare, sperando nel loro capriccioso favore. E poiché il gatto è immagine anche di introversione lo ritroviamo come amico del poeta, raffigurato silenziosamente acciambellato nello studio del filosofo e dello studioso, compagno di meditazione di monaci ed eremiti. «E’ immagine vivente del silenzio, ma non del vuoto; il suo è un silenzio denso, dove occhi che vedono sei volte più di quelli umani perlustrano le tenebre nella notte e penetrano il buio della coscienza, scrutano con lo sguardo trafittivo dell’intuizione ed esplorano alla luce lunare dell’immaginazione» (p. 40). Ma molteplici sono le sfumature di questo stare silenziosamente accanto, tra cui, appunto un’autosufficienza al limite del disadattamento che evidenzia quindi un aspetto inquietante: ecco il gatto apparire come infedele, traditore, imbroglione, ladro. Widmann ci porta quindi a confrontarci, nel 3° capitolo, con il gatto quale “tenebrosa figura d’ombra”: in lui la vitalità istintuale, l’esuberanza energetica si accompagna a ombre di distruttività che coappartengono alla sovrumana potenza dell’archetipo della vita; all’immagine della divina indifferenza fa da contraltare la figura della malizia luciferina sì che in epoche buie è stato considerato sospetto assistente delle streghe e ancor peggio incarnazione del diavolo. L’autore vede nella demonizzazione del gatto la demonizzazione dell’istintualità da parte della coscienza, «la generalizzata squalifica di ciò che è inclinazione naturale, abilità sensoriale, saggezza biologica, ‘intenzionalità incorporata’ » (p. 69). Ma non gli sfugge che «la naturale ferocia del gatto costella la sofisticata crudeltà dell’uomo» e che se l’animale è in sintonia con la propria natura le modalità umane divengono mostruose, «agghiacciante commistione di spietatezza inconscia e di brutalità consapevole.»

renoir_catNel 4° capitolo il gatto è visto come ‘una seducente figura d’Anima’. E l’Anima, parte femminile inconscia del maschile, junghianamente parlando, è un archetipo che come tutti gli archetipi è coincidentia oppositorum e si può esprimere attraverso aspetti apparentemente contrastanti, come la luce e l’ombra. Widmann si sofferma sulle differenti risonanze che il gatto ha nel femminile e nel maschile: « Nella coscienza femminile la felicità gattesca fa risuonare proprietà femminee, vibrazioni della natura e richiami dell’istintulità…Alla coscienza maschile invece l’eterno femmino che pulsa nel gatto risulta sfuggente e incontrollabile; comprende tratti della psiche non sufficientemente addomesticati, che appaiono infidi, profittatori, opportunisti » (p. 101).

E poiché parlare del gatto è anche, e forse soprattutto, per lo psicoanalista Claudio Widmann un modo per meglio avvicinare il grande mare inconscio su cui galleggiano gli isolotti della nostra vita cosciente, gli ultimi due capitoli della monografia sono dedicati ai temi ultimi dell’esistenza.

Vediamo così il gatto quale ‘animale guida verso l’altrove’, ‘guardiano della soglia’ che per sua caratteristica etologica costella nell’uomo l’esperienza del limite tra natura e cultura, tra conscio e inconscio, tra l’ordinario e l’indicibile. Già Pindaro ci dice che nel limite è il nostro telos, e il gatto, guardiano della soglia è anche colui che ci avvicina al nostro telos, al nostro compimento o per usare il termine di C. G. Jung, alla nostra individuazione: « Seduto sulla soglia, il gatto familiarizza con il tremendum che s’estende oltre la soglia. …Non penetra solo le selve dei boschi; per usare parole di Malraux, “attraversa la foresta dei simboli e si fa Iniziatore”» (p.119).

In-iziare significa giungere all’esperienza ultima che però è anche quella dell’inizio, e cioè l’esperienza che ci fa comprendere che tutto il nostro percorso individuativo ci porta al Selbst (se stesso), ad essere quello che siamo, ad essere noi stessi, o, detto in altro modo, a scoprire il nostro nome segreto, quello che nessuno deve pronunciare, perché deve garantire la nostra irraggiungibilità, imprendibilità, in quanto rappresenta il cuore, l’essenza trascendente dell’identità. Il divino ha un nome segreto, impronunciabile, ci ricorda il decalogo biblico.

Jean Servier, il grande antropologo francese, sottolinea l’importante posto del mondo animale in alcuni passaggi iniziatici, come anche in alcune forme di sacrifici spesso fraintese dall’Antichità ai nostri giorni (cf. Anima – Animale, su questo sito). Così le vesti di pelli o di pelliccia, delle nebridi, delle pardalidi, delle bassaras, gli ornamenti di serpenti delle sacerdotesse cretesi, i velli ritualmente indossati nei riti agrari nel Mediterraneo possono essere spiegati col desiderio di “rovesciare” la propria personalità e mettere l’inconscio come fuori di sé, forse per essere più vicino al divino. Nell’Africa profonda delle foreste vergini, alcune società segrete, in tempi non lontani prevedevano un percorso di conoscenza iniziatica per gradi cui veniva dato il nome di animali portatori del messaggio segreto della Vita. Servier crede sia possibile trovare in essi la chiave per comprendere anche i Misteri greci rimasti segreti e quindi le radici stesse dello sviluppo della nostra coscienza occidentale. Siamo infatti fermamente convinti, sulla scia di Jung, che cercare di comprendere la psiche umana, il cui logos è tanto profondo che mai se ne possono trovare i confini, significa anche confrontarsi con gli abissi inconsci, con il mistero delle origini evocato proprio dagli animali. Colui che sa accettarlo e ascoltarlo, dicono le favole, i miti, le leggende di ogni popolo, saprà trovare e comprendere se stesso nell’armonia del Tutto perché, come dicono i saggi vedici, ‘questo sei tu’.

Salutiamo dunque il saggio sul gatto di Widmann, che spazia dalle favole, ai testi poetici, a quelli di demonologia, di etologia e psicologia analitica, come promettente incipit di una interessante collana di studi transdisciplinari.

Maria Pia Rosati


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