Simbolo o sintomo Due diverse destinazioni dei contenuti inconsci

(a cura di Claudio di Widmann)
Edizioni Ma.Gi. – Roma – 2012

Serena Leccese

Claudio Widmann, psicoterapeuta Junghiano, autore di numerosi saggi che testimoniano la metodologia transdisciplinare con cui si accosta alle problematiche psicoantropologiche, raccoglie in questo libro le riflessioni di psicoterapeuti e di psicologi analisti su un tema centrale per la psicologia del profondo e in particolare per la psicoterapia: il rapporto tra simbolo e sintomo. Dobbiamo innanzitutto soffermarci sulla valenza del simbolo nella psicologia junghiana che, sottraendosi a ogni determinismo causalistico, fa riferimento a una visione globale dell’universo in cui tutto è collegato, diremmo entangled, per usare un termine della fisica quantistica, noto a Jung che dai colloqui con il fisico Pauli aveva visto confermate le sue intuizioni. Il simbolo, come dice l’etimologia, è espressione di un legame con ciò che non è immediatamente presente sul piano della realtà fattuale, con ciò che eccede le nostre potenzialità conoscitive, di comprensione cosciente e di definizione denotativa, in quanto appartiene ad un altro livello di realtà da quello che stiamo vivendo, ma al quale ci sentiamo collegati da un legame strettissimo e profondo. Il simbolo è cifra di un mistero: del mistero della vita e dell’universo.

simbolo_sintomoPrima ancora che Homo faber, l’uomo è ontologicamente Homo symbolicus, come affermano gli antropologi Gilbert Durand e Julien Ries. Tuttavia l’uomo vive sempre anche la difficoltà a mantenersi in questo stato di unione con il tutto, stato di grazia, di pienezza, simbolicamente rappresentato nel paradiso terrestre; molto più spesso si sente esiliato in unawast land. Può dunque precipitare in uno stato di sofferenza in cui lungi dal sentirsi armonicamente immerso nella realtà della vita, docile fibra dell’universo, si sente stretto, assediato, schiacciato da una realtà fattuale che gli impedisce ‘la visione delle altezze’. Perde così il contatto con la parte più profonda di sé che custodisce le sue reali potenzialità. Potenzialità che sono sempre in fieri e trascendono il contingente, ‘simboli di trasformazione’ per citare il titolo di una pregnante opera junghiana. Abbiamo allora il sintomo.

Se, ricorda Widmann “la parola simbolo rimanda a un tenere insieme, la parola sintomo a un cadere insieme; il sintomo a differenza del simbolo cade e accade, non connette”. Inibizione, sintomo, angoscia sono collegati da Freud già nel titolo di una sua notissima opera. “ Forse – conclude Widmann nell’introduzione alla raccolta di saggi ­– la divaricazione più radicale tra simbolo e sintomo si colloca proprio qui: il sintomo è essenzialmente una drammatica perdita di senso, mentre il simbolo scandisce puntualmente ogni percorso che abbia l’ardire di immaginare un’esistenza dotata di senso”.

Ma questa distinzione non è una visione drastica tra due mondi, tra salute e malattia, tra coscienza e inconscio, tra salvezza e dannazione. Jung chiama ‘funzione trascendente’ l’energia che si sprigiona dalla tensione tra i contrari e che, manifestandosi in sogni e visioni, media gli opposti e attraverso il simbolo favorisce la trasformazione da uno stato all’altro. Proprio lo stato di sofferenza, l’angosciosa tensione tra possibilità e fallimento può attivare il nostro immaginale e una nuova modalità di vivere lo stato di coscienza attingendo al profondo pozzo del passato, ad un mondo inconscio e alla sua arcana saggezza. Allora, dice Corbin, un mondo totalmente altro irrompe nel continuum della vita e squarcia la nostra consueta modalità logica, sì che ciò che è esteriore e ciò che è interiore si mescolano, gli avvenimenti vissuti nell’intimo si proiettano all’esterno e si elevano alla funzione di simboli ridando senso e significato all’esistenza umana. Il passato non è più semplicemente qualcosa di irrimediabilmente perduto o di ormai immodificabile: la nostra capacità immaginativa e poietica può farne un presente vivo che acquista nuovo senso.

Non possiamo citare tutti i tredici saggi di cui è composto il libro in cui si affiancano a meditazioni su situazioni cliniche e percorsi terapeutici (vedi i saggi di Conetto Gullotta, Elena Liotta, Brigitte Jacobs, Maria Irmgard Wuhel, Alessandro Defilippi, Bruno Tagliacozzi, Giovanni Castaldo e Miranda Martini), riflessioni sul rapporto tra coscienza individuale e collettiva e inconscio, sul cammino dell’individuazione, dell’evoluzione psicologica e dello sviluppo spirituale a cui siamo destinati. Vogliamo soffermarci sul provocatorio saggio di Widmann Laudatio Sultitiae che, prendendo spunto dalla celebre opera di Erasmo Da Rotterdam, fa intravedere il cammino di evoluzione psicologica in cui la coscienza individuale cavalca i canoni della coscienza collettiva, precedendone le conquiste. In questo percorso Stultitia appare come un sintomo che però non è solo “inconscietà indomata dalla coscienza” ma anche una voce dissacrante “che declama la vita individuativi con il linguaggio figurato dei simboli” (p.32).

Attraverso Erasmo e il suo elogio di Stultitia, Widmann avvalora una delle più significative intuizioni junghiane: che l’inconscio possieda una peculiare potenzialità di conoscenza e che insieme al conscio partecipi della costruzione di una coscienza della totalità (p. 35). A questo saggio possiamo accostare La prospettiva infera della psiche di Federico de Luca Comandini che evidenzia la necessità per tutti, (in primis per coloro che svolgono la professione di psicoterapeuti) di confrontarsi con gli angusti inferni delle nostre personali incurabilità, terra damnata che Dante dovette attraversare interamente, cerchia dopo cerchia, girone dopo girone, bolgia dopo bolgia, per poter compiere il suo percorso di individuazione e di salvezza e a riconoscere sé stesso nel mistero divino. Perché, come evidenzia de Luca Comandini, il nucleo originale della psicoterapia junghiana è proprio nell’indicare “un nuovo orientamento di ordine spirituale che (…) guarda all’inconscio come fonte del significato dell’esistenza e trama del destino personale, e intorno ad esso promuove la riconfigurazione del senso della coscienza facendone espressione dialogica tra gli opposti livelli psichici”.

Serena Leccese


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