Problematiche psicologiche
e postmodernità

Daniele Ribola, Claudio Widmann,
Federico de Luca Comandini, Robert M. Mercurio
Quattro saggi sulla proiezione
– Riverberi del Sé nella coscienza –
Vivarium, Milano 2013

Serena Leccese

«Noi non siamo che uno specchio, ma che si pensa attraverso la realtà degli oggetti che riflette. 
Vogliamo raggiungere il reale di cui non siamo che una promessa». 
«Uomo, rammenta questo: tu sei tutto quello che non è, meno il poco che sei».
Joe Bousquet

Oggi nell’epoca da molti definita della postmodernità, i popoli, e dunque in primis gli individui, stanno faticosamente cercando una strada per procedere tra gli ‘scogli cozzanti’ delle Simplegadi, da una parte una globalizzazione che sembra annullare nel calderone ogni differenza di cultura, religione, tradizione etnica, storico-sociale e dall’altra il pericolo di essere emarginati dal circuito delle potenze economico-politiche e spietatamente sorpassati come outsiders nel cammino inarrestabile del progresso dominato dalle tecnoscienze. Può dunque divenire interessante, non solo per coloro che esercitano la professione di psicoterapeuti e psicoanalisti, soffermarsi sul tema del fenomeno della proiezione che, secondo quanto espresso dalla M. L. von Franz, assidua discepola e commentatrice dell’opera di C. G. Jung, diventa luogo limite tra interno ed esterno, soggettivo ed oggettivo, potenziale ed attuale.

CopertinaProIl primo saggio di Daniele Ribola propone una rimeditazione teorica del fenomeno della proiezione, considerato da S. Freud sostanzialmente un meccanismo di difesa di origine arcaica, per cui sono attribuiti all’esterno, ad altri, qualità, sentimenti, desideri, che il soggetto ignora in se stesso o misconosce e rifiuta in quanto li ritiene moralmente inaccettabili. Freud ritiene che il meccanismo della proiezione (anche se inizialmente lo aveva individuato nella sua manifestazione patologica nella paranoia) appartenga alla normalità: sono considerate forme di proiezione la superstizione, la mitologia, l’ ‘animismo’ e anche la produzione onirica, potente strategia per esprimere il desiderio, l’aspetto vitale della pulsione, allontanando difensivamente ciò che rischierebbe di turbare il sonno. Ribola confronta tale approccio con quello di C. G. Jung che fa della proiezione un fenomeno che trascende l’Io e scaturisce dalla libido, che egli considera come un’energia psichica capace di esprimersi in maniera pluriforme e suscettibile di profonda trasformazione (cfr. Simboli della Trasformazione (1912), che segna la rottura con Freud). Con la psicologia junghiana cambia infatti la cornice filosofica per l’interpretazione di questo fenomeno, a partire dalla distinzione tra soggetto e oggetto: ci allontaniamo da una visione scientifico-positivista per avvicinarci alla visione filosofica dei presocratici. Scrive Ribola «Potremmo immaginare una sorte di principio di attrazione omeopatica attiva tra un soggetto e un oggetto che possiedono contenuti simili. Oppure che la sequenza identità-proiezione-differenziazione sia mossa da due grandi principi dinamici, che potremmo chiamare Eros e Logos, in un continuo movimento enantiodromico e compensatorio» (p. 41).

L’aspetto più interessante della lettura junghiana del fenomeno proiettivo, che Ribola sottolinea, è che questo è considerato strettamente legato nel profondo al percorso destinale dell’individuo (ma anche di un popolo, di una nazione ecc.) al suo archetipo, in altre parole, al suo mito. Anzi è l’archetipo che «sceglie l’individuo, lo abita, e attiva sincronisticamente un campo psichico e fisico, soggettivo e oggettivo, o se vogliamo interno ed esterno, che viene ordinato secondo un’esperienza di senso».

L’attivazione del campo archetipico provocherebbe anche una modificazione delle coordinate spazio temporali, sì che la psiche sembrerebbe interagire con la struttura fisica del mondo in cui viviamo. E constatiamo come l’apertura di Jung al mondo, la sua disponibilità a viaggiare con la mente verso l’ignoto, a farsi attraversare dalle immagini archetipali e ad ascoltarle, lo abbia portato a una importante rivoluzione in campo psicologico, parallelamente, anzi ‘sincronicamente’, a quella che stava rivoluzionando il campo delle scienze fisiche. Nei primi anni del ‘900 infatti si assiste alla crisi del soggetto, dell’io, delle forme espressive in ambito letterario-filosofico, artistico e psicologico, ma anche alla nascita della nuova fisica quantistica ad opera di Bohr, Heisemberg, Dirac e del giovanissimo Pauli di cui Einstein ammirò la profonda intuizione sì da chiamarlo ‘suo figlio spirituale’.

Una crisi nervosa portò Pauli ad incontrare Jung proprio mentre questi sperimentava su di sé i processi energetici meditativi. Jung preferì inviare Pauli alla sua allieva Erna Rosenbaum, e, terminata l’analisi, gli chiese di rimanere in contatto con lui. La raccolta della corrispondenza epistolare tra Jung e Pauli testimonia un vivo scambio di esperienze tra i due studiosi la cui sete di indagine, alimentata dalla straordinaria ricchezza del loro inconscio, permetteva di superare i ristretti domini delle discipline da cui muovevano. ‘L’interpretazione della Natura e della Psiche’(1952) raccoglie i contributi dei due studiosi. Jung fu incoraggiato proprio da Pauli e dai suoi numerosi commenti scientifici a pubblicare il suo saggio ‘Sincronicità: un principio di corrispondenza acausale’ che conteneva le sue idee sulla sincronicità, fenomeno nel quale Pauli era molto coinvolto e non solo dal punto di vista teorico (pare che, data l’intensità psichica con la quale viveva le problematiche scientifiche la sua presenza nei laboratori durante l’effettuazione di prove sperimentali, provocasse seri problemi, sì che gli fu vietato dai colleghi l’ingresso in laboratorio).

Questo incontro tra studiosi di discipline diverse e apparentemente lontane, che aveva un importante appuntamento annuale nei famosi incontri di Eranos, ci riporta indietro di molti secoli a quel Mundus Imaginalis di Ibn Arabi, di cui ci parla H. Corbin, in cui lo spazio diviene tempo e il tempo spazio, in cui gli avvenimenti dello spirito si materializzano e la materia si spiritualizza (cfr. H. Corbin, Corpo spirituale e Terra celeste, Milano 2002). Perché il sé profondo e il mondo non sono realtà separate ma coincidenti (consistenti in immagini – visioni, orizzonti, aperture, luci, forme, prospettive che non possono darsi senza tutte le altre prospettive). Tutto è coesistenza, compresenza ci aveva insegnato, ancora altri secoli prima, Parmenide. E a Cordoba, città che fiorì nella sapiente convivenza delle tre religioni abramiche, nel 1979 si sono riuniti filosofi e scienziati per promuovere una nuova ‘Scienza dell’Uomo’ basata sul dialogo tra differenti domini della Conoscenza che porti ad una epistrophé e faccia desistere la civiltà occidentale dalla brutale separazione tra soggetto-oggetto, scienza-religione, fisica-metafisica, causale-acausale.

Anche il saggio di Claudio Widmann ‘Oltre al transfert, oltre il transfert’ inizia col presentarci la proiezione strettamente connessa alla simbolizzazione e all’immaginazione, in una iniziale condizione in cui non è dato percepire distinzione fra interno e esterno, fra sé e mondo. Ma, lungo il percorso proiettivo che differenzia e rende accessibili alla coscienza contenuti originariamente magmatici, secondo quanto intuito da Jung, risulta centrale proprio il passaggio attraverso l’immagine che grazie alla forza della risonanza emotiva spinge verso un processo indivituativo. «Si potrebbe dire che quando la proiezione si dispiega lungo la via introversiva, prende le forme dell’immaginazione e sollecita i rapporti tra l’Io e le immagini interne, quando si dispiega lungo la via estroversiva, prende le forme della traslazione e sollecita la relazione tra l’Io e le figure esterne…La proiezione mette in campo l’eterna fondamentale dialettica tra coscienza e non coscienza, tra io e non io che è alla base di tutta l’evoluzione psichica» (pgg. 80-81). Così per Widmann le relazioni sia con le figure transferali, sia con figure proiettive, appartengono alla feconda interazione tra conscio e inconscio e costituiscono momento centrale nel farsi della psiche.

‘Il transfert c’è’, asserisce Widmann, (come era da sempre asserito nella sapienza tradizionale, in cui tutto è sempre intimamente collegato al tutto); interessante è però vederne l’evoluzione. E Widmann sottolinea come per Jung la fenomenologia della traslazione si incardini sul processo di proiezione, attività centrale nell’incessante complesso lavoro dell’autopoiesi psichica in cui la psiche ‘manifesta se stessa, plasma se stessa, prende coscienza di se stessa’ (p. 86). Il transfert dunque sovrapponendosi ad una più ampia attività immaginativa opererebbe alla ricomposizione degli aspetti psichici portando all’ individuazione. Attraverso un attento esame delle immagini del Rosarium Philosophorum di Jung, Widmann ci mostra come il processo proiettivo sia innanzitutto confronto con l’inconscio, un accostarsi ad aspetti di sé non riconosciuti come propri e costringa ad una ridefinizione della propria identità, ad un confronto con l’identità e la diversità, per portare ad un’opera di riappropriazione e completa trasformazione delle esperienze fino alla formazione dell’homo novus e di una nuova dimensione dell’esistere.

Il saggio di Federico de Luca Comandini ‘L’immaginazione attiva quale proiezione dell’inconscio sullo schermo della coscienza’ si incentra sull’importanza fondamentale dell’inferiorità psichica (cioè della funzione più inconscia della personalità) nel processo di sviluppo della personalità. In particolare l’autore sottolinea come proprio questo aspetto misconosciuto e spesso ‘vero e proprio deposito di crucci’ possa essere «l’unico in grado di offrire radice interiore all’individuo, temprandone la percezione simbolica e disponendolo a un orientamento etico più attendibile» (p. 116). E il mondo contemporaneo ha urgente bisogno in primis di una maturazione della responsabilità etica. Questa convinzione, che profondamente condividiamo, è illustrata nella seconda parte del saggio da un esempio di immaginazione attiva (luogo privilegiato di incontro tra gli opposti, tra l’io e l’inconscio) al fine di rilevare il nesso simbolico operante tra l’esperienza personale dell’inferiorità psichica e il delinearsi di un cammino psicologico che porti ad un rinnovamento etico. Con particolare attenzione alla coerenza etica e professionale l’autore, in quanto psicoterapeuta conscio di trattare eventi che rispecchiano il mistero intrinseco dell’esistenza individuale, trae l’esempio proprio dalla sua personale esperienza di immaginazione attiva, risalente a un periodo trascorso da dieci anni, come l’unica forma di testimonianza di cui si è sentito libero di disporre.

Ci sembra importante sottolineare come la sequenza delle immagini che via via si sono presentate nell’esperienza di ‘immaginazione attiva’ sia stata esposta con minime indicazioni per una migliore intelligibilità, senza mai analizzarne il contenuto: «infatti, elaborare l’evento immaginale ponendosi al di fuori d’esso non è lecito: lungi da arricchirlo di significato, ne falsificherebbe l’autentico messaggio che ha proprio costrutto simbolico» …perché «l’immaginazione attiva corrisponde al paradosso: al processo di individuazione psicologica offre il riferimento più solido, ma nel contempo, come un ‘vaso’ prezioso e delicato, basta un colpo e si frantuma.» E ancora è detto: «la ricerca di equilibrio tra gli opposti psichici non può essere pilotata dall’io; ché anzi, il senso profondo dell’esperienza risiede proprio nella relativizzazione dell’ego in favore di uno stato di consapevolezza che, assumendolo a parte attiva di un insieme più vasto, ne trascende tuttavia la portata (p. 120)». Abbiamo voluto citare queste considerazioni ritenendo che dovrebbero in verità essere estese non solo alla produzione immaginale di C.G. divenuta accessibile, dopo la sua morte, grazie alla pubblicazione del Liber Novus, ma all’esperienza immaginale di ogni individuo.

Il saggio di Robert Mercurio ‘Il fenomeno della proiezione: uno sguardo archetipico’ inizia con il sottolineare il legame intimo e imprescindibile tra il fenomeno della proiezione e la dimensione simbolica negli scritti junghiani, in particolare in ‘Lo Spirito Mercurio’. La figura di Mercurius, così viva nell’immaginario collettivo, e centrale nell’immaginale degli alchimisti, ben rappresenta la figura guida nel delicato continuo passaggio tra il mondo dell’Io e l’universo incoscio. La visione ermetica permette la costruzione di quel ponte simbolico tra soggetto e oggetto, tra dentro e fuori. E qui sta l’impegno e la sfida etica del lavoro analitico, afferma R. Mercurio: « le grandi questioni della nostra epoca, dalla giustizia sociale alla pace nel mondo e un maggior equilibrio ecologico in grado di proteggere il nostro pianeta e garantire la continuità della vita, dipendono da un adeguato rispecchiamento tra il dentro e il fuori»(p.187).

Serena Leccese


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