Lanciato dal pensiero Saggi e traduzioni dal sanscrito

René Daumal

Lanciato dal pensiero
Saggi e traduzioni dal sanscrito

A cura di Claudio Rugafiori e Lorenzo Simini
Adelphi 2019

 

René Daumal, (1908-44) scrittore, poeta e specialista della lingua sanscrita, morì di tubercolosi a soli 36 anni nel 1944, durante una situazione di guerra in cui era difficile procurarsi una alimentazione adeguata e l’unica cura possibile era l’aria di alta montagna. Tuttavia riuscì a sopravvivere alcuni anni grazie al “nutrimento di terzo tipo” che gli offriva quanto necessario a digerire impressioni ed emozioni e a continuare fino all’ultimo momento il lavoro su di sé, il cammino di presa di coscienza, senza cedere alla disperazione. «Ho capito, nei momenti migliori, che potevo accettare, se necessario, di rimanere per sempre un ‘non-granché’, ovvero che potevo dimenticare ogni idea di ‘arrivare’ o di ‘non arrivare’, poiché vedevo finalmente una possibilità più o meno remota di diventare capace di servire una realtà superiore.»

Daumal sapeva che l’uomo rischia di funzionare come una macchina efficiente per i bisogni della vita quotidiana ma di rimanere in una sorta di stato di sonno della coscienza. Il risveglio della coscienza è come un fascio di luce che dall’esterno penetra nell’oscurità, tuttavia c’è differenza tra la presa di coscienza, che è un atto istantaneo, e «l’acquisizione della coscienza, un lavoro lungo e difficile». È dunque importante tenere sempre tersi i vetri della stanza affinché possa penetrare la luce. A questo lavoro egli ha dedicato la vita grazie allo studio, vissuto come l’esercizio di un “mestiere interiore”, umile e vertiginoso lavoro quotidiano, necessario come l’aria, che lo aiutava a scansare progressivamente gli ostacoli sul cammino verso la coscienza.

Le difficoltà di questo percorso sono espresse in Il Monte analogo, un racconto fantastico che vede un gruppo di alpinisti alla ricerca di una montagna, la più alta di tutte le vette, situata in un luogo sconosciuto della cui esistenza sono però certi. I cercatori, imbarcatisi sul vascello ‘L’impossibile’, raggiungono infine, dopo una navigazione “non euclidea”, l’isola del Monte analogo, simbolico legame tra terra e cielo. Gli alpinisti iniziano l’ascesa fino a raggiungere il campo base da cui dovrebbe iniziare la scalata alla vetta. A questo punto il romanzo rimane incompiuto per la morte di Daumal. Tuttavia, i lettori sono già trasportati, come scrive Claudio Rugafiori, curatore di tutte le opere di Daumal, «nel regno dell’analogia, dove niente è vero ma tutto è veridico, per un parallelismo tra realtà raggiunta e realtà raggiungibile attraverso un metodo (cioè il “mettersi sulla via”) che fa cadere i nostri schemi difensivi e ci porta a contemplare con occhi nuovi il nostro paesaggio interiore». E si arriva così a intravedere quella vetta, che si staglia al di sopra di ogni contraddizione, punto di un nuovo cammino verso la liberazione da ogni limite e il raggiungimento della propria essenza.

Daumal, sin dagli anni giovanili scrittore poeta e filosofo, ha cominciato il lavoro su di sé prestando attenzione alla parola con la quale si cerca di comunicare ciò che è essenziale. Senza illusioni, ci fa notare Claudio Rugafiori, emerge una possibilità di scelta: riacquisire il potere perduto della parola, la sua “magia”, ciò che ci mette in contatto con il nostro essere profondo, oppure perderci definitivamente nel rumore.

A 20 anni Daumal inizia il suo dialogo con l’India attraverso lo studio del sanscrito. Egli stesso spiega la motivazione del suo studio per quella che definirà la lingua perfetta: «Non posso accedere direttamente agli inni vedici non essendo bramano; né alle Upanishad non essendo un sannyâsin. Non posso che lasciarmi illuminare, di quando in quando, dalle loro luci. I trattati di liturgia, di diritto, di architettura, di strategia, di veterinaria, di furto… e cento altri per mezzo dei quali la dottrina una scende nelle diverse attività umane, non sono per me. Ma io, di mestiere, sono scrittore e vorrei un giorno essere poeta. La porta che per me si apre sulla tradizione indù è dunque quella delle scienze del linguaggio, della retorica e della poetica».

«Il monumento per eccellenza dell’India antica è la sua lingua. È nella materia verbale che gli antichi indù, hanno intagliato le loro Piramidi, le loro Sfingi, le loro Ziggurat. La lingua sanscrutan (…) è la lingua “perfetta” (…) lingua che reca nelle sue minime articolazioni il segno di un lavoro consapevole, di una elaborazione volontaria».

Nascerà anche una Grammatica sanscrita, assoluto capolavoro, che ci permette di cogliere dalle fondamenta, dall’interno l’essenza del mondo indiano, una cultura dove «le scienze del linguaggio risultano incluse fra i principali mezzi di liberazione».

 

Lanciato dal pensieroè un’opera preziosa, frutto di un grande lavoro del curatore che ha raccolto un ventaglio molto ampiodi traduzioni e saggi: dai più complessi inni del Ṛgveda alle Upanishad, alle Leggi di Manu, alla Bhagavadgītā, fino alla più alta poesia e alla fiaba.

La raccolta si divide in due parti. La prima parte riunisce gli scritti concernenti l’India pubblicati in vita da Daumal; ad essi sono aggiunte tre traduzioni ultimate e affidate agli amici negli ultimi anni.

Si apre con il saggio ‘L’origine del Teatro di Bharata’, perché per Daumal il teatro indù, fin dall’origine, è l’arte totale: «danza, mimica, musica, canto poesia, architettura regia e anche pittura».  In tutte queste materie il Nāṭiaśāstra di Bharata è autorità prima in quanto sapere tradizionale (veda) che, pur in un‘angolazione particolare, non perde di vista lo scopo ultimo, che è la conoscenza, sì da essere chiamato Quinto Veda. Infatti «dalla metafisica e dalla danza fino all’addestramento degli elefanti e alla meccanica, tutti i corpi dottrinali, presso gli indù, sono legati da questo scopo finale che hanno in comune, sia esso denominato liberazione, conoscenza o unificazione; imparando a tirare con l’arco oppure la grammatica, si può imparare a conoscere sé stessi.»

Di particolare interesse il saggio sulla poesia.

«La poesia è una parola in cui un Sapore è l’essenza (…) è la realtà stessa, la vita della poesia». L’opera d’arte vera deve suscitare, in chiunque viva una sua interiorità, ciò che viene simbolicamente chiamato “sapore”. Il Sapore, per essere assaporato, esige dall’ascoltatore (o dallo spettatore) la “rappresentazione interna” degli stati che lo manifestano, e “la partecipazione” attiva a ciò che viene rappresentato: ed è facendo l’esperienza proposta dal poeta che si giungerà a quel momento di «assaporamento di sé stessi» che è l’essenza della poesia.

La poesia è un’arte della simultaneità: il poeta ordina suoni immagini, concetti emozioni verso uno scopo comune.

I temi vengono sempre affrontati in funzione del «che fare» e del «come fare», e i trattati di poetica vanno intesi non solo in termini estetici, ma come ricerca del «corpo della poesia», perché «la poesia è stata concepita come analogia della vita, il poema come immagine dell’uomo».

La seconda parte si compone delle altre traduzioni dal sanscrito, estratte da una vasta mole di materiale inedito.

Quei testi, che non si oserebbe affrontare tanto sembrano inaccessibili, divengono comunicativi, come un canto. Daumal fa sì che ogni parola diventi familiare al lettore che vive l’esperienza di come l’idea concepita dal pensiero si incarni nel ritmo della parola. Tale esperienza ci rende più comprensibile l’opera dello stesso Daumal. Un verso dell’Agnipurāna trascritto e tradotto più volte recita: «Lo stato di uomo è difficile da raggiungere in questo mondo». Le pagine di Lanciato dal pensiero, sottolinea il curatore, inducono a pensare che Daumal vi sia riuscito.

Redazione


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