L’immaginazione attiva di C. G. Jung Per una nuova consapevolezza etico-psicologica del mondo

Dagli atti del Convegno "Figure archetipali - Tracce sui sentieri dell'uomo"
Bracciano 3-4 ottobre 2009

Federico de Luca Comandini

Al culmine di un lungo percorso di civilizzazione, l’umanità ha ormai consolidato una posizione di predomino assoluto rispetto al proprio universo mondo. Ma non sono di poco conto i problemi che restano in sospeso. Al dominio della specie, attuato su base tecnica, fortemente indirizzata in senso estroverso nei riguardi del contesto socio-ambientale, non corrisponde una consapevolezza interiore adeguata. Troppo grave è lo squilibrio tra la forza decisionale accumulata dall’Uomo in rapporto al mondo esterno e la sostanziale incapacità di rapportarsi alla propria intima natura; un gap che si manifesta ad ogni livello della condizione umana quale debolezza etica. Sotto ogni profilo, sociale, politico ed ambientale, in ambito scientifico e culturale, religioso e spirituale, ovunque la questione etica emerge come emergenza primaria del mondo attuale. A dispetto di ciò, tuttavia, l’orizzonte del dibattito al riguardo è sconsolatamente piatto, gli approcci ideologici appaiono sterili; le profezie nihilistiche sembrano inverate. Da questo scenario oscuro, apparentemente senza via d’uscita, è difficile staccare lo sguardo; simile ad un televisore sempre acceso, esso anestetizza l’attenzione e produce svuotamento.

Carl Gustav Jung
Carl Gustav Jung

Staccandosi da questo circolo vizioso di passività ed impotenza, la psicologia del profondo consente di guadagnare prospettiva, rivolgendo lo sguardo proprio dove il disorientamento del mondo attuale ha origine: nell’interna costituzione dell’essere umano.

In via particolare, la concezione e la prassi della psicologia dell’inconscio promossa da C.G.Jung consentono di guardare attraverso la crisi di visione di cui l’umanità attuale soffre e, sul piano etico e conoscitivo, incoraggiano la sperimentazione di nuove forme di consapevolezza. Infatti, rispetto ad altri orientamenti psicoanalitici con i quali, a partire dal paradigma storico di Freud, condivide le finalità basilari della psicoterapia, la visione junghiana si distingue per l’enfasi con cui pone al centro della propria ricerca l’esperienza di senso e la trasformazione della coscienza.

Per Jung, l’atteggiamento analitico della mente caratterizza solo un primo gradino del processo psicologico. Costituisce una premessa basilare per ogni sviluppo futuro, volta come è al ridurre i sintomi di disturbo ed a promuovere un miglior adattamento complessivo, nel riequilibrio del rapporto tra le componenti consce ed inconsce della personalità. Ma, allorché gli obiettivi concernenti la tutela della salute ed il riassetto esistenziale siano soddisfacentemente raggiunti, là dove per altri il compito terapeutico inteso in accezione ordinaria finisce, per Jung comincia il vero e proprio cammino dell’individuazione psicologica. L’incremento della coscienza e l’integrazione dell’inconscio rappresentano un’opera inesauribile cui sempre occorrerà star dietro; ma, per quanto ampia sia la visione che in tal modo si può guadagnare, per quanto eccellente sia l’educazione psicologica raggiungibile nel quadro della costruzione egoica, non di meno va affrontato il grande problema di come relazionarsi alla radice inconscia della personalità umana, alla quale nel fondo il destino di ciascuno individuo come dell’intera specie restano vincolati. La radice vitale dell’Uomo è propriamente inconscia per natura, non per un difetto colmabile di costruzione; è istinto psichico che ispira l’enorme tensione progettuale che qualifica la specie umana. Perciò essa è irriducibile ai termini della coscienza egoica che, nella sua attuale configurazione antinomica, vanamente cerca d’ingabbiarla. Dei fenomeni della coscienza rappresenta piuttosto il potenziale creativo, agendo, quale matrice archetipica, sulla complessa progettualità della psiche umana.

Con l’idea di inconscio collettivo, distinto dal livello personale-biografico, Jung pone al centro dell’opus psicologico il compito di dar forma ad un diverso tipo di relazione con il fondamento psichico, al di là delle pretese razionalistiche d’assoggettarlo alle ragioni dell’Io. Se nel fondo della psiche, in analogia con la radice animale-biologica, l’essere umano è per sua natura inconscio, se la dimensione archetipica della psiche non potrà mai tradursi nei termini del conscio, la mente umana dovrà apprendere ad ispirarsene e, anziché ostinarsi a possederla, dovrà rispondere al compito di relazionarsi ad essa creativamente configurando un nuovo senso di consapevolezza. La nozione corrente di coscienza egoica resta ancorata al mito eroico della conquista. Guarda all’inconscio come terreno predatorio e, in definitiva, lo concepisce solo quale limite negativo alle proprie ambizioni di controllo. Lo spirito occidentale, specialista della vocazione onnipotente dell’Ego, è da Jung invitato ad abbracciare prospettive diverse, già presenti in altri contesti culturali. La storia stessa della psicologia del profondo rispecchia questo passaggio cruciale: non fu Freud, il grande iniziatore, a sintetizzare il senso della sua opera con lo slogan di sapore imperialistico: “là dove è l’Es dovrà essere l’Io”? Lo slogan di Jung suona diverso, come metafora di eros e sentimento: tra conscio ed inconscio dobbiamo adoprarci al “Misterium Coniunctionis”.

Nella visione junghiana, la ricerca e la prassi terapeutica rivolte ai fenomeni dell’inconscio psichico rilevano come la coscienza dell’Io non vada intesa quale fine assoluto ma solo mezzo, per quanto prezioso sia, per avvicinarsi ad una mèta più elevata: il compito di dar forma e vita ad un atteggiamento psicologico della mente che abbracci l’insieme della personalità psicologica, includendo tanto quel che attualmente si definisce conscio che quel che ci appare quale manifestazione dell’inconscio. Mèta che coincide con la trasformazione della coscienza in senso simbolico: si tratta di fare esperienza di un piano d’incontro tra gli opposti nel quale possano convergere tanto le caratteristiche gestionali dell’Io che le ispirazioni originarie del nostro istinto psichico. Un piano di consapevolezza immaginale, né unilateralmente conscio, né inconscio, né più concreto che psichico, a cui concorrano, con disposizione aperta alla sincronicità, tanto le finalizzazioni dell’Io che le mozioni ordinatrici della natura inconscia.

In questa prospettiva si colloca il metodo junghiano di immaginazione attiva che, a sviluppo del processo psicologico-terapeutico, rappresenta per chi vi si dedichi un laboratorio personale tendente all’individuazione psicologica. Attraverso di esso, nel dialogo immaginale tra l’Io e le figure dell’inconscio, nella trama dei percorsi individuali, prende forma e coraggio un nuovo atteggiamento etico e conoscitivo capace di affrancarsi dalla depressione costellata nella coscienza collettiva. Qui di seguito, tra breve, proporremo una descrizione essenziale del metodo immaginativo evidenziandone l’articolazione rispetto ai punti chiave del processo psicologico-analitico junghiano.

Intanto, è valso accennarvi per suggerire una prima idea di come la cura della dimensione psichica della relazione umana possa contribuire all’impasse ideologica del nostro tempo. Infatti, la responsabilità etica di cui il mondo contemporaneo ha disperato bisogno naufraga sempre nell’antinomia egoica tra onnipotenza ed impotenza: l’Io, nello scenario collettivo, come nel piccolo di ogni caso individuale, è sovraccarico in modo inflazionato e velleitario di responsabilità. Si atteggia a padrone del mondo, infallibilmente dimostrandosi inferiore al compito e rivelandosi inattendibile. Non è la coscienza solipsistica dell’Io che può decidere per il mondo. Apprendendo invece a dialogare con le voci della natura inconscia, come con i sogni ma anche in condizione di veglia, la coscienza umana può guadagnare attendibilità e misura in rapporto ad altri ed altro. Se di fronte ai problemi ed ai misteri della vita saremo capaci di interrogarci e rispondere con tutta la nostra realtà, esprimendo, anche solo per approssimazione, una qualche consapevolezza d’insieme, conscia ed inconscia, forse, saremo capaci di un rapporto più valido e sano con la realtà del mondo di cui l’essere umano s’è posto alla guida. Ed il mondo contemporaneo ha più che mai bisogno di una guida prudente, di un conducente non ubriaco e di passeggeri più attenti al paesaggio.

Disegno di C.G. Jung tratto dal "Libro Rosso"
Disegno di C.G. Jung tratto dal “Libro Rosso”

Considerato sotto il profilo generale, il metodo immaginativo introdotto da C.G.Jung attiene alla sfera spirituale della meditazione di cui può essere considerato una variante specifica. In larga misura, infatti, il procedimento ripropone passaggi tipici presenti nelle più antiche tradizioni, come: lo svuotamento della coscienza, l’atteggiamento di ricettività e di concentrazione della mente, l’attenzione rituale, l’oggettivazione, ecc. Rispetto a tale sfondo comune, l’immaginazione attiva junghiana si differenzia tuttavia per la qualità psicologica di relazione all’immagine che essa introduce. Il metodo non si limita infatti a lasciare emergere l’inconscio o, come lo si voglia considerare, l’evento interiore che trascende l’ordinaria percezione della realtà. Rispetto a quel che si esperimenta richiede anche che si prenda posizione attiva, suscitando una sorta di confronto etico con l’immagine.

Per comprendere meglio la questione e prima di entrare di più nel merito del procedimento immaginativo, occorre però fare un passo indietro e riconnetterci ad alcuni punti qualificanti della psicologia analitica sulla cui base poggia la possibilità dell’immaginazione attiva. Questa ultima, infatti, non è nemmeno concepibile al di fuori del contesto da cui origina. Dell’analisi psicologica junghiana rappresenta anzi il frutto più specifico sulla via del percorso d’individuazione psicologica.

Domandiamoci, allora: che cosa caratterizza essenzialmente la modalità di relazione con la psiche introdotta da C.G.Jung? Tanto a livello terapeutico che, in senso più ampio, quale tendenza individuativa, come si accennava nelle considerazioni iniziali, la prospettiva junghiana guarda alla trasformazione della coscienza in senso simbolico, al di là dell’antinomia conscio/inconscionihilismo imperante nella visione del mondo attuale. Quando gli veniva chiesto quale fosse il tratto distintivo del suo modo d’intendere la psicoanalisi rispetto ad altri, Jung amava rispondere che, dal punto di vista strettamente analitico, non esisteva un suo proprio orientamento particolare ( ad es., cfr. Scopi della psicoterapia,1929). Per quel che concerne la fase analitica della terapia, Jung dichiara che nessuna teoria o opzione tecnica lo contraddistingue in modo speciale. A seconda del caso, poteva ricorrere a riferimenti e strumenti freudiani, piuttosto che adleriani o viceversa. Se l’obiettivo a tale livello è bilanciare la prepotenza dell’irrazionalità psichica riconducendo il vissuto personale a migliori ragioni, con l’effetto di ridurre i sintomi e ricalibrare l’adattamento esistenziale, la concezione psicosessuale di Freud o la visione centrata sui conflitti di affermazione e riconoscimento da parte di Adler (per stare ai grandi termini di raffronto, del tempo) potevano funzionare per il meglio. Magari con atteggiamento più fluido e qualche variante di spirito, Jung vi si adattava benissimo. tipica del

Non è a questo livello che la specifica originalità della sua concezione psicologica emerge e si differenzia in modo esplicito rispetto alle altre.

“Se i risultati terapeutici [ottenuti mediante il metodo riduttivo dell’analisi] sono soddisfacenti – sostiene Jung – probabilmente ce ne possiamo accontentare; in caso contrario, la terapia deve conformarsi, bene o male, ai dati irrazionali del malato, lasciandosi guidare dalla natura: e il medico, più che curare, contribuirà allo sviluppo delle potenzialità creative del paziente. Quel che ho da dire comincia là dove ha inizio questo sviluppo e fine la cura.” (ivi, C.G.Jung, Opere, ed. it., vol. XVI°, pag. 50).

Giù, di seguito, Jung sottolinea esplicitamente che il suo contributo originale allo sviluppo del processo analitico emerge dai casi nei quali il trattamento razionale della psicoanalisi riduttiva non basta, risultando inadeguato rispetto alla domanda di fondo da parte dei pazienti di trovare senso e scopo alla vita.

L’elaborazione del senso rappresenta dunque il motivo specifico dell’opus psicologico junghiano e qualifica una modalità di relazione con l’inconscio profondamente diversa da quella della psicoanalisi tradizionale che si trattiene in un orizzonte culturale ancorato ai lumi della ratio, e ad un approccio medicalizzante che non pone in discussione senso e valore della coscienza in rapporto al potenziale archetipico dello psichismo inconscio.

Jung chiama sintetico-costruttivo questo sviluppo del procedimento psicologico che si profila oltre i limiti della terapia analitica. Dopo aver cercato di ridurre l’inconscio a ragione e d’integrarlo nel panorama della coscienza dell’Io, il nuovo compito consisterà nel creare una prospettiva simbolica, espressione comune delle componenti consce ed inconsce della personalità. Dunque, un nuovo senso di consapevolezza, frutto non più di un lavoro sull’inconscio ma, in senso proprio, con l’inconscio.

Aben vedere, checché ne dica Jung, nel condurre il processo psicologico, pur nella prevalenza del metodo analitico, lo stile junghiano di confronto con la psiche si differenzia

fin dall’inizio da altri per il ruolo guida che l’elaborazione dei sogni ha e mantiene sempre nel contesto della terapia.

Alchimista in meditazione allo stato di Nigredo, al principio dell'opera. Jamsthaler, Viatorium spagyricum (1625)
Alchimista in meditazione allo stato di Nigredo, al principio dell’opera.
Jamsthaler, Viatorium spagyricum (1625)

Se sul piano storico fu Freud ad indicare l’interpretazione dei sogni come la via regiaper accedere all’inconscio, tuttavia fu Jung a valorizzare e praticare con coerenza la geniale intuizione del maestro. La questione, naturalmente, è assai complessa e meriterebbe molto più spazio, ma qui basterà accennarvi. Freud, attraverso il metodo di libera associazione, partiva dal sogno come spunto per una ricognizione dei conflitti del paziente e finiva per allontanarsene privilegiando l’analisi delle fantasie e dei vissuti personali. In tal modo, il momento centrale della terapia diveniva l’analisi di questo materiale composito proiettato sulla relazione analitica, la così detta analisi del transfert. Le immagini oniriche, in buona sostanza, sono intese da Freud come espressione oscura di conflitto tra livelli psichici diversi, un testo criptato da decodificare al fine di portare alla luce il loro vero significato; il quale consisterebbe nella sua traduzione nei termini ragionevoli di una sana coscienza dell’Io. In questa visione, il sogno appare in definitiva come uno dei materiali nevrotici su cui l’analista opera. Spesso compare come il primo, cronologicamente, ma non per questo è il più importante; né, per niente affatto, rappresenta il perno della terapia. Per Jung, le cose stanno in tutto un altro modo: le immagini oniriche sono viste come espressione della realtà psichica nel suo insieme e non quale risultante di un compromesso con le istanze egoiche; visione junghiana che riconosce la profonda alterità ed autonomia della psiche inconscia rispetto ai desideri ed i timori dell’Io. L’Io stesso anzi

Nella trama onirica si ritrova compreso, quale parte rispetto al tutto che lo avvolge ed, in quanto figura del sogno, vi è rappresentato per quel che è e per quel che vale dal punto di vista dell’inconscio. In tal modo, la realtà inconscia può rapportarsi al campo alla sfera del conscio in funzione compensatoria rispetto al punto di vista dell’Io, relativizzandone l’unilateralità e le fissazioni complessuali.

Riflettere intorno alle immagini oniriche significa molto di più che non una semplice analisi del contenuto che si prefigga di tradurle e contestualizzarle nei termini della coscienza egoica. Su questa base, ma al di là di ciò, la terapia junghiana concepisce le espressioni dell’inconscio come fonte di ispirazione per l’attività conscia, immagini con funzione d’orientamento proposte dall’istinto psichico. Restare fedeli alle figure del sogno, non allontanarsene in via definitiva, come sarebbe per il metodo di libera associazione, ma ritornarvi a girare intorno in una sorta di circoambulatio psicologica, è la via praticata da Jung, sempre attento a non deprivare di senso le immagini oniriche mediante astrazioni e concettualizzazioni.

Una penna, una candela o un coltello, sono tutte figure oblunghe che nello studio della Bergstrasse di Vienna, facilmente, verrebbero apparentate in carattere fallico; beninteso, se il contesto associativo del paziente lo suggerisse potrebbero bene arricchirsi di tale valenza. Tuttavia, per Jung, la penna manterrà sempre la sua qualità specifica di strumento connesso al significare; la candela all’illuminare, il coltello al taglio. Ed a questa specificità si farà sempre riferimento puntuale per non snaturare l’influsso psichico ma accoglierne la modalità ed il senso peculiare di progetto. La relazione che così può prendere luogo tra la coscienza riflessiva e la sua matrice immaginale esprime il senso di un confronto tra livelli psichici opposti che dialogano in una configurazione d’insieme.

Lo stile rigoroso di lavoro con i sogni, filo conduttore fin dagli esordi del trattamento analitico, è l’alveo in cui prende forma e si rende possibile lo sviluppo sintetico-costruttivo dell’interazione con l’inconscio che Jung riconosce quale suo originale contributo alla psicologia del profondo. Se è dunque vero che, per quel che riguarda la fase analitica del processo psicologico, intesa in strictu sensu, l’approccio junghiano può utilizzare strumenti teorici e tecnici comuni ad altre impostazioni, senza pregiudizi né alternative di principio, non rivendicando alcun proprio sistema esplicativo del fatto psichico, è d’altra parte inconfutabile che la sua diversità di spirito abbia radici profonde, evidenziabili fin dalle premesse del procedimento. La differenziazione psicologica della coscienza e la relativa integrazione delle porzioni assimilabili dell’inconscio procedono, dalla prima seduta all’ultima, di pari passo ad una mutua influenza tra le parti; una reciproca opera di contaminazione affettiva, per così dire, di  familiarizzazione, che sul piano simbolico corrisponde alla crescita del sentimento intrinseco della personalità.

Il ruolo cruciale del sentimento, quale funzione psicologica di orientamento, è forse il tratto che più distingue lo spirito junghiano di rapporto con l’inconscio dalle concezioni razionalistiche che adombrano la psicologia del nostro tempo, anche in psicoanalisi, colludendo in modo perverso con la perseverazione razionalistica del conscio collettivo.

Questo è un motivo determinante che riguarda l’umanità attuale nel suo complesso, ben al di là dei problemi di tipologia personale dei singoli. Infatti, dal punto di vista psicologico, la funzione del sentimento dà il senso del rapporto, tanto in direzione estroversa, con gli altri e l’altro, tanto per via introversa con se stessi e le nostre proprie istanze interiori.

Il sentimento dà la misura di quanto è possibile nella comunicazioni tra le parti. In quanto tale, è funzionalmente connesso all’eros, al fattore di coesione e d’interscambio tra diversi: quel che più necessità al recupero di una consapevolezza adeguata per una umanità in sconnessione, rispetto a sé ed al proprio contesto.

La questione, ovviamente, è enorme e non può certo liquidarsi per accenno; qui ci limitiamo a porla a sfondo, dolente, ma anche pregnante, di quel che l’impegno alla trasformazione psicologica delle coscienze può contribuire al rinnovamento etico della visione del mondo.

La familiarizzazione tra l’Uomo ed i suoi sogni è la pietra angolare di questo impegno di raccordo tra natura e civiltà, tra l’istinto interiore disatteso dall’umanità contemporanea e la coazione ansiosa che la sospinge, alla cieca, in direzione estroversa tra onnipotenza ed impotenza, sensi di colpa ed irresponsabilità.

Se il nesso psicologico tra l’Io e le immagini psichiche, tra la riflessività della coscienza e la sua matrice archetipica, si annoda portando avanti con rigore e devozione l’interpretazione dei sogni quale disciplina, un salto di qualità di consapevolezza simbolica può essere raggiunto mediante il metodo d’interazione diretta con le figure dell’inconscio che Jung pone al centro della propria visione psicologico-individuativa: l’immaginazione attiva.

Giungiamo così, alla prospettiva sintetico-costruttiva in cui la specifica originalità della psicologia junghiana esplicita tutto il suo potenziale. Il lavoro con i sogni, che ne costituisce la base, configura una sorta di dialogo a distanza tra l’Io e le personificazioni dell’inconscio: lo spirito è di interscambio, parimenti sentito quale reciproca influenza tra i livelli psichici. Ma si tratta di un dialogo, appunto, che si tiene a distanza: quando il sogno accade l’Io dorme inerme ed, anzi, vi si trova sognato; quando poi il sogno verrà ricordato e riflesso nelle ipotesi dell’analisi sarà già scomparso, sarà altrove e se ne darà un’interpretazione. Su tale distanza poggia, in effetti, la possibilità stessa dell’interpretazione, tradizionalmente intesa, la quale, per sua natura, richiede un margine di distacco tra il soggetto indagante ed il testo indagato.

Il metodo immaginativo prospettato da Jung, invece ed a sviluppo dell’analisi dei sogni, prevede che tra le parti si stabilisca un incontro ravvicinato. L’Io e le personificazioni della psiche autonoma (non diverse da quelle esperimentate a livello onirico), reciprocamente, devono incontrarsi su un piano intermedio di confronto immaginale, né del tutto conscio, né solo inconscio, per dar luogo ad una sorta di sogno ad occhi aperti.

Daremo ora una breve essenziale descrizione del procedimento junghiano, ponendo in evidenza innanzitutto il senso propriamente attivo che lo qualifica.

Pallade Atena nasce dalla testa di Zeus - incisione su lastra di rame - 1618
Pallade Atena nasce dalla testa di Zeus – incisione su lastra di rame – 1618

Jung, in età avanzata, osservò come l’importanza da lui attribuita fin dagli esordi della sua opera alla facoltà immaginativa, quando lui stesso era pressoché il solo a indicarla quale terreno privilegiato della elaborazione psicologica, fosse stata recepita dalla comunità scientifica in maniera sempre crescente. Oggi, a noi stessi appare scontato, tanto ingente è la varietà di approcci che nel corso degli anni si sono delineati. Ma ciò è avvenuto -commentava Jung- solo sotto un certo riguardo : l’attenzione allo sviluppo della fantasia è rimasto confinato al favorire l’emersione delle immagini psichiche, al fine di prenderne coscienza o, semplicemente, ottenere un effetto catartico. Per quel che riguarda il dialogo attivo tra la coscienza dell’Io ed i contenuti inconsci che affiorano dalla fantasia, lo spirito dei tempi ha completamente glissato. La proposta junghiana, in tal senso, è rimasta in piena solitudine ed, a dire il vero, salvo rare eccezioni, risulta persino trascurata nell’ambito della stessa psicologia analitica. Per Jung, invece, promuovere il confronto etico tra l’Io e l’inconscio è in definitiva la questione cruciale, in favore di un atteggiamento simbolico della mente capace di trascendere l’accentuata antinomia costellata tra gli opposti psichici (razionale/irrazionale, conscio/inconscio, ecc.) nella visione attuale del mondo. Dunque, nell’approccio psicologico all’immaginazione, per la prospettiva junghiana è fondamentale che non ci si limiti ad una fruizione contemplativa e/o interpretativa (nell’accezione ordinaria del termine) di quel che emerge dall’inconscio; ma che corrispondentemente vi sia partecipazione attiva dell’Io nello sviluppo della vicenda.

Per avere un’idea del procedimento, è possibile distinguerlo in quattro fasi principali (il che ovviamente, non andrà inteso letteralmente, né in senso logico, né cronologico, avendo solo utilità espositiva):

Lo svuotamento della mente.

Si tratta di una condizione di partenza comune a molte tradizioni meditative che, in linea generale, corrisponde al mantenere la concentrazione sull’immagine che si sta prendendo a riferimento o sullo stato affettivo, l’umore, da cui un evento psichico può scaturire. In questa fase è importante evitare ogni interferenza con il mondo esterno e lasciarsi scivolare ogni tendenza propria alla distrazione. E’ opera di tenacia e di pazienza, nel patire le tentazioni divaganti e svalutative dell’Io, il quale non cede facilmente la sua posizione di controllo.

Lasciare accadere l’evento psichico.

Se la prima condizione è soddisfatta, nel corso del tempo (mai quantificabile a priori, come del resto per una psicoterapia) si potrà apprezzare una modificazione che dà il senso dell’evento psichico. Impossibile generalizzare, per ciascuno sarà diverso, in funzione della sua personalità e della rispettiva tipologia psicologica. Jung diceva che mantenere l’attenzione profonda sull’immagine, per così dire, la ingravida (dal tedesco betrachten, che rende l’idea di una gravidanza animale). Se il punto di partenza è un’immagine già formata (ad esempio, una figura di un sogno), si noterà una sua qualche variazione; se, invece, si è partiti da uno stato affettivo, ci potrà essere magari una modificazione di questo stato o, a partire da ciò, la formazione di un’immagine visiva, acustica o sensoriale. E’ sempre importante continuare a tenere l’attenzione desta perché il processo non interrompa la sua fluidità ; ad esempio, fissandosi in forma statica o, viceversa, accelerandosi in modo eccessivo, come nel saltare da un’immagine all’altra, a mo’ di caleidoscopio. Ovviamente, anche a questo livello le differenze tipologiche comportano attitudini e rischi diversi.

Oggettivazione.

Rappresentare in qualche forma definita l’evento immaginale è un altro punto importante. Non certo solo per fissarlo nella memoria, il che per altro è indispensabile, come per i sogni del resto, i quali sembrano fatti di materiale evaporabile. Ma, proprio come per i sogni, c’è un’altra ragione ancor più fonda: le immagini dell’inconscio, perché si possa stabilire con esse un confronto reale, hanno bisogno del nostro aiuto per personificarsi. Prestare loro un corpo materiale, di parole, forme plastiche, colori, musica o altro, è un atto di devozione che consente di rapportarsi alle figure della psiche come realtà  distinte dal nostro Io. Saremo così portati a prenderle più sul serio senza ridurle a nostro capriccio; e, per altro verso, come nel pensiero magico di culture arcaiche è attestato, se ne ricaverà anche una difesa dai rischi di possessione. Condizioni, entrambe, indispensabili perché un vero dialogo alla pari tra le componenti psichiche della personalità prenda fiducia.

Il confronto etico con l’inconscio.

Per le tre prime fasi che abbiamo finora distinto il metodo immaginativo junghiano non si differenzia eccessivamente da altre più tradizionali vie della meditazione. A ben vedere, fin dall’inizio, molte peculiarità preparono l’esplicitazione della qualità propriamente psicologica dell’immaginazione attiva, ma, nell’insieme, la specifica diversità si manifesta nella quarta fase.

Quando l’evento immaginale si è configurato -dice Jung- l’Io dovrà prendere posizione al suo interno ed influire sul suo esito; ciò dà pieno risalto alla valenza attiva del procedimento. Se così non fosse, l’atteggiamento egoico della personalità resterebbe passivo rispetto allo svolgimento di una situazione psichica che lo riguarda intimamente; il che evidenzierebbe, per via di fatto, che la realtà psichica non è presa davvero sul serio. Nella realtà concreta, infatti, potremmo mai essere indifferenti a come si evolve una situazione drammatica nella quale ci troviamo a rischio? Resteremmo a guardare, senza darci da fare, come va a finire se la nostra casa brucia? Nel confronto con la realtà interiore, l’Io deve avere lo stesso atteggiamento d’impegno che avrebbe di fronte ad un problema che nel mondo gli si ponga concretamente. Altrimenti sarebbe solo finzione: un’evidente pseudo-relazione con l’inconscio psichico. Di tale distinzione fondamentale, per come ci si relaziona rispetto alla realtà delle immagini interne, era ben consapevole la tradizione alchemica, cui Jung fa esplicito riferimento nella formulazione del proprio procedimento. L’alchimia, infatti, distingueva con chiarezza la Phantasia, fruire passivo del fantasticare, dalla Vera imaginatio, l’impegno etico nel chiedere e dar risposta alle immagini che si manifestano (vedi C.G.Jung, Opere, Mysterium Coniunctionis, vol.XIV°, tomo II°).

Con l’immaginazione attiva la psicologia del profondo assume l’eredità del compito che fu degli alchimisti di riattivare la funzione spirituale di relazione con il fondamento inconscio della natura umana.

Sia detto solo per accenno, poiché l’argomento è vastissimo e meriterebbe una trattazione specifica, ma ciò non dimeno è indispensabile farvi riferimento: il motivo simbolico dell’immaginazione attiva è strettamente connesso con un tema fondamentale che Jung affronta nella sua concezione dei Tipi psicologici: la questione della funzione inferiore.

L’idea dei Tipi Psicologici (cfr. C.G.Jung, Opere, vol.VI°,1921) contiene molti aspetti di grande valore, sul piano storico ed attuale. Di certo, rappresenta uno stimolo a relativizzare la psicologia dell’Io e l’unilateralità della sua forma di coscienza. In questo senso il testo di Jung è di fatto psicologico e non solo un libro di psicologia. Ne coglieremo qui un aspetto particolare che, nel suo essere apparentemente piccolo, esprime la questione cruciale dello sviluppo psicologico della personalità, appunto: l’inferiorità psicologica (che si può anche definire con Hillman, dimensione infera).

Diamo solo schematico richiamo alla struttura base della tipologia psicologica junghiana: quale segno grafico rappresentativo immaginiamo una croce greca a braccia eguali. Al vertice superiore della linea verticale poniamo la funzione superiore, ovvero, la modalità cosciente più specializzata ed efficace, attraverso la quale una certa persona preferibilmente si relaziona al mondo; chiamiamo questo, per esemplificare, il  Nord della personalità.

Disegno di C.G. Jung tratto dal "Libro Rosso"
Disegno di C.G. Jung tratto dal “Libro Rosso”

Sulla linea orizzontale, disponiamo due diversi tipi di funzionamento che possono essere in collegamento con il punto di vista conscio ma anche appartenere allo sfondo psichico; sono zona di confine che delimita il campo della coscienza egoica dalle espressioni dell’inconscio. Le chiameremo Ested Ovest. Infine c’è il Sud: al vertice basso della linea verticale è la funzione inferiore, ovvero quegli aspetti della nostra personalità che per propria natura, e non per difetto, sono irriducibilmente inconsci. Abituati ad identificarci col Nord, con il punto di vista unilaterale dell’Io, tendiamo per lo più a svalutare la nostra funzione inferiore, a nasconderci, colpevolizzarci. Si tratta infatti del lato di noi meno facilmente adattabile alle circostanze; là dove più spesso incontriamo problemi e soffriamo. D’altro lato, però, è in questo ambito che viviamo le più intense emozioni e, al meno talvolta, incontriamo la vera felicità. Tutto quel che realmente ci sorprende passa per di là. Jung amava ripetere che la funzione inferiore è la porta attraverso cui passano il nostro angelo ed il nostro diavolo.

In corrispondenza di questi punti cardinali, Jung propone di considerare quattro funzioni psicologiche tipiche che rappresentano dei punti di riferimento per comprendere le possibili diversità di funzionamento individuali a livello di atteggiamento della coscienza. Due di esse, il pensiero ed il sentimento, sono descritte da Jung come funzioni razionali, in quanto entrambe esercitano una funzione ordinatrice sull’esperienza della vita, riconducendola a dei criteri cognitivi o valutativi. In specie, il pensiero procede definendo la realtà secondo un canone del tipo vero/falso; e, il sentimentoordina l’esperienza della realtà mediante giudizi di valore del tipo buono/cattivo. Si tratta di modalità di funzionamento razionale tra loro opposte, in quanto nella mentalità collettiva appaiono scisse e difficilmente conciliabili. O prevale l’una o l’altra e la valenza soccombente caratterizza la tendenza inconscia.

Le altre due modalità basilari prese in considerazione da Jung per descrivere le possibilità del funzionamento cosciente sono la sensazione e la intuizione; ovvero, rispettivamente: la facoltà di relazionarsi alla realtà per quel che è, assumendola per come si presenta; e, viceversa, la facoltà di collegarsi al potenziale di una situazione, cogliendone i possibili sviluppi. In buona sostanza, il tipo di sensazione sta al dato di fatto; l’intuitivo guarda a quel che c’è dietro l’angolo. Entrambe tali modalità di funzionamento della coscienza sono dette irrazionali in quanto sintetizzano semplicemente delle percezioni, rispetto alle quali non esercitano un particolare ruolo d’ordinamento.

Il tutto è infine reso più complesso dalla distinzione ulteriore tra due tipi di atteggiamento, introverso/estroverso, che tendono a caratterizzare il funzionamento preferenziale della coscienza in una direzione piuttosto che nell’altra. Il prevalere dell’introversione determina una maggior confidenza nell’esperienza interiore e, viceversa, l’atteggiamento estroverso confida di più nella relazionarsi all’esterno. Ciascuna modalità di funzionamento privilegiato dalla coscienza si coniuga così con tratti specifici dati dall’orientamento, introverso/ estroverso, che in prevalenza caratterizzano la personalità.

Facciamoci bastare, per ovvia necessità, questo sintetico richiamo allo schema della tipologia psicologica. La nostra attenzione cadrà in via particolare sul tema della funzione inferiore in quanto, si è detto, essa rappresenta la radice inconscia della personalità. Per analogia, possiamo paragonarla alla radice dell’albero, la quale per sua natura appartiene al sottosuolo dando linfa al tronco ed alla chioma, le parti visibili della pianta; né mai avrebbe senso portarla alla luce, sradicarla, poiché ne andrebbe di mezzo la vita stessa dell’albero nel suo insieme.

Il concetto junghiano di inconscio collettivo è intimamente connesso con la realtà  infera della psiche; in quanto esso consente di distinguere dalla dimensione personale dell’inconscio una dimensione più profonda che appartiene al potenziale psichico della specie, il quale di per sé stesso ha valore transpersonale. L’inconscio personale cui essenzialmente si riferisce Freud riguarda i meccanismi di formazione del conscio ed i suoi prodotti di scarto nell’ambito dei conflitti d’adattamento alla realtà che ciascun individuo deve affrontare come problema. Ovviamente, Jung mantiene l’attenzione a questo livello che, in qualche modo, rappresenta il prius di ogni analisi psicologica. Ma non si limita a questo. Jung guarda alla dimensione profonda della psiche inconscia come alla radice archetipica propria del potenziale umano che esercita funzione di stimolo e di rinnovamento sul campo della coscienza. Colto secondo questa prospettiva, l’inconscio non appare più terra di conquista per l’espansione dei progetti egoici, ma quale fonte infera d’ispirazione: matrice archetipica della vita conscia.

Potersi relazionare psicologicamente in modo vitale alla dimensione inferiore della nostra personalità è dunque il vero problema cui è connessa la possibilità di sviluppo dell’umanità attuale.

Sul piano della psicoterapia, tutto il lavoro propedeutico dell’analisi è orientato all’allargamento del campo della coscienza e, nella misura del possibile, all’integrazione di porzioni di vita inconscia. Se guardiamo attraverso le lenti della tipologia, ciò corrisponde al compensare e relativizzare la prospettiva unilaterale della coscienza dell’Io e della sua tendenziale identificazione con la funzione superiore nell’adattamento alla realtà, quel che abbiamo designato come Nord. Le funzioni disposte sulla linea orizzontale, Est/Ovest, rappresentano, più o meno, il limite dell’espansione della coscienza e la soglia d’integrabilità dell’inconscio; in quanto tali, sono dette da Jung ausiliarie.

Al punto più basso della verticale è il Sud, la funzione inferiore, con la quale si gioca la possibilità di riformulare l’interscambio creativo con il potenziale archetipico della psiche umana. A questo compito Jung ha legato il senso della sua opera. Si configura così una mèta per la riflessione psicologica che trascende le finalità medico-riparative della psicoanalisi tradizionale e tocca il tema generalmente umano della trasformazione del rapporto con la realtà, del senso stesso della coscienza e, in estrema sintesi, della visione che si ha del mondo.

A questo scopo, palesamente diverso dalla prospettiva analitica, sarà necessario formulare uno stile di relazione con la psiche propriamente innovativa, intesa a relativizzare la spinta eroica al controllo egoico dell’esperienza, all’interpretare e gestire, che risulterebbe vana di fronte al nuovo compito di creare armonia tra le parti, seppur sempre ce ne sarà bisogno.

Diviene essenziale ora stabilire un luogo d’incontro su cui tutte le componenti della personalità, conscia ed inconscia, possano confluire. Su questo terreno, l’Io potrà porre le sue domande ed avanzare le proprie ipotesi di significato ascoltando ed interagendo con il punto di vista emergente dall’inconscio. L’Io potrà così apprendere a sacrificare la propria vocazione solipsistica e la psiche archetipica avrà canali in cui scorrere per irrigare la coscienza, senza abbracciare l’alternativa secca dello sprofondamento o dello straripamento. Su questo terreno immaginale di confronto e dialogo tra l’Io e le personificazioni dell’inconscio matura una consapevolezza psicologica che può portare l’umanità attuale oltre l’arido razionalismo che perdura nella dominante collettiva e la precipita nel nichilismo.

Il modello dell’immaginazione attiva introdotto da Jung risponde in modo specifico a queste esigenze, configurando una nuove attitudine etica alla responsabilità.

Come si è finora argomentato, infatti, esso rappresenta una via praticabile, originata dal laboratorio psicologico che, individuo per individuo, analizza gli scompensi della coscienza occidentale, divenuta ormai paradigma globale per tutta l’umanità contemporanea. Non dunque una sua variante utopica, assumibile per infatuazione ideologica, ma qualcosa che sorge proprio dall’intimo della crisi di senso e valore che affligge la nostra condizione umana. Questa via dell’immaginazione costituisce una disciplina di elaborazione introversa, una cultura dell’interiorità, che aspira a riconnettersi alla visione del mondo per arricchirla di un valore aggiunto inestimabile ed altrimenti impossibile da guadagnare.

Se si leggono le considerazioni finali con cui Jung conclude il suo saggio dedicato alla Psicologia del Transfert (C.G.Jung, Opere, vol. XVI°; sez.II°, 1946) si resta impressionati nel constatare come la questione psicologica, e di quel che la psicologia del profondo può dare alla collettività, travalica l’ordinaria percezione. Molto al di là della funzione medica, volta al riadattamento dentro gli attuali crismi, essa è riconosciuta come fulcro per la rianimazione del senso spento ed inaridito del sociale, politico ed ambientale.

La necessità che la coscienza dell’Uomo contemporaneo si disidentifichi dal totalitarismo morboso dell’Io è la vera priorità da affrontare. Nessuna speranza possiamo avere se ciò non accade primariamente nell’interiorità dell’Uomo stesso. Qui è la radice folle di ogni totalitarismo. Niente di davvero nuovo sotto il sole… Culture e spiritualità antichissime, basti pensare a quella tibetana, da sempre ne coltivano consapevolezza, ma appunto ciò ha da essere riscoperto in termini propri ed autentici dalla mentalità dell’Occidente. Non basta che le sia insegnato dall’esterno, da dove viene lo scompenso più grave di lì deve anche venire la soluzione.

Sul piano psicologico, l’immaginazione attiva esprime una pratica, maturata nell’alveo dell’analisi del profondo, che disciplina la relativizzazione del punto di vista dell’Io nell’interazione con le figure interiori della psiche, aprendo alla possibilità di percepire l’andamento sincronistico della realtà ; ovvero, di quel sistema simbolico di corrispondenze tra eventi interiori ed eventi esterni, al di là dei nessi causali che a noi risulti sensato stabilire. Attraverso di essa diviene possibile aprirsi alla percezione responsabile dell’Unus Mundus, la connessione intrinseca tra gli accadimenti che, nel via vai di trame interne o esterne, governano le nostre esistenze, al di là della nostra capacità di darcene spiegazione.

I percorsi individuali che si muovono in tal senso sono per ora delle gocce nel mare di fronte alle difficoltà oceaniche del mondo contemporaneo, ma che si produca un nuovo movimento di consapevolezza etica, su base psicologica, per quanto possa apparire poca cosa, confinato com’è in un piccolo insieme di sperimentazioni individuali, è tuttavia di incomparabile valore. E comunque, resta la sola via attendibile, poiché origina da dove proviene la scissione più profonda nella visione attuale del mondo: l’interiorità psichica propria dell’Uomo stesso.

Federico de Luca Comandini


Articoli correlati