Alla ricerca di Anima – II parte

Raffaele Floro
Due volumi indivisibili:
[1]: L’incontro: per una psicologia poetica del sentimento
Bergamo: Moretti & Vitali, 2016, pagine 368.
(Il tridente, Saggi; 89, I)

[2]: Il ritorno: il sentimento come Anima nella vita e nella rivisitazione simbolica del Faust,
della Divina Commedia e dell’Asino d’oro

Bergamo: Moretti & Vitali, 2016, pagine 392.
(Il tridente, Saggi; 89, II)

Francesco Giordano

[2] Il ritorno: il sentimento come Anima nella vita e nella rivisitazione simbolica del Faust, della Divina Commedia e dell’Asino d’oro

L‘analisi fenomenologica delle quattro forme dell’immagine dell’Anima, condotta da Raffaele Floro nel precedente volume, trova qui un significativo completamento, attraverso le rappresentazioni di questo archetipo nelle opere letterarie. Quali esempi paradigmatici vengono scelti Faust, La Divina Commedia, l’Asino d’oro, e la favola di Amore e Psiche.

La letteratura, come afferma la Von Franz, è ricca di esempi ove l’Anima si pone come mediatrice nei confronti del mondo interiore, nella sua più ampia rappresentazione sovraindividuale, e come guida attraverso i suoi domini.

Dante e Beatrice in Paradiso
di Dante Gabriele Rossetti (1854)

La Poesia, secondo Jung, permette un contatto significativo con le immagini archetipiche che appartengono all’inconscio, in primis l’Anima, in tutta la sua espressività e potenza. Significativo è il riferimento di Floro alla partecipazione mistica che pone in contatto l’anima del poeta con il sentire archetipico dell’Anima Mundi, dell’Anima collettiva.

Per illustrare come Floro affronta il complesso argomento dell’evoluzione dell’immagine dell’Anima, commentiamo l’analisi del Faust di Goethe e dell’opera di Dante, La Divina Commedia che l’autore ha condotto nell’ottica della Psicologia Analitica.

Floro afferma, fin da subito, che il Faust di W. Goethe può essere posto all’interno del ricco e variegato mondo delle opere alchemiche, come più volte lo stesso Jung ha ribadito. Il Faust, infatti, appare come la trasposizione in chiave letteraria di un vero e proprio processo alchemico, il cui fine è il raggiungimento del Lapis Philosophorum, allegoria del processo di individuazione, secondo la profonda lettura fatta da Jung stesso.

Il personaggio di Faust raggiunge una completa caratterizzazione poetica, solo con l’opera di Goethe, attraverso le successive redazioni che l’Autore realizza: la prima parte vede la luce definitiva nel 1808, e la seconda, rimaneggiata sino alla sua morte, nel 1831.

Di Faust Floro fornisce al lettore un interessante ritratto psicologico: ha studiato tutte le scienze, ma non ha appagato il suo desiderio di conoscere; neanche la magia riesce a fargli penetrare i misteri della Natura. A questa sete di sapere che diviene hybris, all’unilateralità della coscienza di Faust, che isolato nel proprio mondo sembra fuggire da ogni coinvolgimento emotivo, da ogni rapporto con la oscura profondità della sua anima, risponde l’Ombra, sotto le vesti di Mefistofele, che offre a Faust ciò che egli desidera. In cambio, Faust cede a questo inaspettato “collaboratore” la propria anima …

Mefistofele conduce Faust nella sua ricerca di un appagamento dell’intelletto, e dei sensi, attraverso tutte le possibili esperienze della vita.

Faust non troverà la soluzione agognata, ma gli si aprirà la via per un’altra ricerca al di là della dimensione materiale dell’esistenza, una ricerca attraverso la propria Anima, un cammino di trasformazione, di individuazione verso il Sé. Attraverso le gesta del personaggio Faust, come si strutturano nel corso dell’intera opera, abbiamo una manifestazione della stessa psiche di Goethe.

Due piani di lettura si arricchiscono vicendevolmente: le gesta dell’eroe ne pongono in risalto la personalità, in tutta la sua ampiezza e complessità e al contempo rimandano con forza alla situazione psichica, conscia o inconscia, dello stesso Goethe, di cui Faust è una rappresentazione allegorica. Tale doppia lettura dell’opera risalta a più riprese nell’analisi che ne fa Floro.

La prima delle immagini Anima che si presenta nel Faust, nella prima parte dell’opera, è quella di Margherita riconducibile ad una visione del tutto terrena dell’archetipo. La sua tragica fine costringe Faust ad un progressivo ritiro delle proiezioni nei confronti del mondo esterno e lo porta ad orientarsi maggiormente verso se stesso, verso la propria psiche.

È in tal modo che egli incontra un’altra immagine dell’Anima, rappresentata da Elena, questa volta nel mondo degli inferi, nel suo inconscio, e ne fa esperienza.

In questa seconda parte dell’opera, Goethe descrive un viaggio interiore, un cammino di individuazione che vede Faust confrontarsi con varie metamorfosi dell’immagine di Elena, per stadi progressivi, fino all’apparizione suprema della Madre Gloriosa.

Questa immagine permetterà a Faust di raggiungere la redenzione e di entrare nel Mondo dei Cieli, dove ogni contrasto trova la sua conciliazione.

Possiamo vedere rappresentato nel Faust lo sviluppo dell’Anima simboleggiato, secondo il modello medioevale, nel culto della Donna, principio di redenzione che sostiene l’anima, la arricchisce e la amplia.

Floro vede nella Divina Commedia dantesca una analoga modalità di rappresentare, attraverso il culto della Donna, il culto dell’Anima nel suo significato più profondo, di cui descrive e analizza quattro livelli di figure. Qui, nella lettura di Jung, Dante diviene il cavaliere spirituale della sua donna, Beatrice, per lei supera le peripezie del viaggio interiore, affronta l’oscuro mondo inferiore, l’Inferno, la difficile ascesa del monte dell’espiazione, il Purgatorio, fino a giungere alla luce del mondo superiore, il Paradiso.

Il viaggio dantesco può essere visto come un cammino iniziatico verso il Sé, in cui la donna è elevata sino alla figura trascendente della Madre di Dio: una figura che si stacca dalla dimensione terrena e acquisisce il significato psicologico e spirituale a cui Jung dà il nome di Anima. Anche Dante, come Faust, nel suo viaggio, fa esperienza dell’Ombra, alla porta dell’inconscio personale, e quindi dell’Anima, alla soglia dell’inconscio collettivo.

L’Anima è rappresentata, con straordinaria ricchezza espressiva, nel II Canto dell’Inferno, da tre figure di donne beate, che aiuteranno Dante a uscire dall’oscurità di quel mondo senza speranza: la Vergine, allegoricamente interpretabile come la Grazia soccorritrice, S. Lucia, come la Grazia che illumina, e Beatrice.

Immagini antitetiche a quelle che Dante incontrerà nei gironi dell’inferno, espressioni di una femminilità arcaica e di un inconscio oscuro ed indifferenziato, come la cortigiana Taide.

Nel Purgatorio il Poeta incontrerà il femminile, immagine della sua Anima, nella figura di Matelda, espressione della donna nelle sembianze terrene, simbolo ad un tempo della felicità innocente, anteriore al peccato originale, ma anche di ciò che di questa felicità resta all’uomo, dopo la caduta di Adamo: la beatitudine terrena a cui si può giungere con l’esercizio delle virtù morali ed intellettuali.

Nella sua innocenza e semplicità, Matelda, come Giovanna nella Vita Nova, è una figura femminile gentile e delicata, che Dante riprende da Ovidio e fa rivivere nel fervido e raffinato clima dello Stilnovo. Un femminile che, nella sua caratteristica espressività, ritroveremo successivamente, con una serie di variazioni, nelle opere del Petrarca, del Boccaccio, del Poliziano, fino al Leopardi.

Matelda guiderà Dante nell’ultimo tratto del cammino di trasformazione dell’anima, fino alle porte del Paradiso, verso l’immagine di Beatrice, che anticipa la figura di Maria, la Vergine. Nel Paradiso è Beatrice la donna amata, ma anche, allegoricamente, la Teologia ad accompagnare Dante.

È la stessa Beatrice che non ha esitato a scendere negli Inferi per esortare Virgilio a guidare Dante, sperduto e terrorizzato nella “selva oscura”, nel suo viaggio tenebroso, prima tappa per giungere infine alla visione celeste.

Nell’ultimo Canto del Paradiso che si apre con la toccante preghiera di San Bernardo alla Vergine Maria, assistiamo al coronamento dello sviluppo psichico del Poeta e alla trasfigurazione finale dell’Anima. La preghiera inizia con una triplice coppia di attributi di volta in volta antitetici e contraddittori, per la logica, ma profondamente veri in una visione soprannaturale: Vergine-madre, figlia del tuo figlio, umile e alta. Tali attributi ascritti alla Vergine Maria, ci fa notare Floro riprendendo Jung, mostrano una immagine Anima arricchita in saggezza e profondamente rinnovata. Attraverso San Bernardo, Dante esprime l’interiore e indicibile esperienza di elevazione della sua anima. La medesima cosa era successa a Faust, asceso da Margherita ad Elena e da quest’ultima alla Madre di Dio.

Nel Paradiso, nell’ultimo Canto della Commedia, tutto pervaso di altissima tensione emotiva, si raggiunge la vetta più alta dell’ascesa dell’Anima, quando l’uomo è al diretto cospetto della presenza di Dio.

Dante partecipa il lettore del profondo senso di smarrimento di fronte alla rappresentazione più completa del disegno divino, la “quadratura del cerchio”, massima sfida per ogni “geometra”, in cui simbolicamente mondo finito e infinito si congiungono,

La verità sembra ad un passo … Eppure, subito dopo sfugge, quasi la mente umana non fosse in grado di contenerla.

Nella descrizione della Divina Commedia, rivisitata da Floro attraverso l’analisi fenomenologica delle immagini archetipiche dell’Anima, sottolineamo i riferimenti a alcune impronte alchemiche, come la triplice antinomia degli attributi della Vergine, che richiama la natura antinomica del Lapis, e l’esplicito riferimento alla “quadratura del cerchio”, che chiude l’opera.

Floro si sofferma ancora sull’esperienza di Sofia nella filosofia islamica e sulla favola di Amore e Psiche, cuore di Le Metamorfosi o l’Asino d’oro di Apuleio, racconto dell’esperienza iniziatica e trasformativa, dalle tenebre alla luce, del protagonista, cui vien dato nome Lucio.

Lo studio trasversale dello sviluppo fenomenologico dell’immagine dell’Anima nel ricco e complesso rapporto con le varie espressioni dell’Animus maschile, così ben condotto da Floro, dimostra come questo archetipo abbia un’importanza che travalica i limiti del tempo, ritrovandosi sempre attuale in culture diverse.

Francesco Giordano


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