La felicità come indice di sviluppo umano

Estratto dal seminario “omaggio a Carl Gustav Jung,
organizzato dal Centro Studi Mythos nel novembre 2011, Bracciano (Roma)

Biancamaria Alberi

La felicità e il calcolo economico dello sviluppo

L’importanza che da sempre riveste la felicità per gli esseri umani è un fatto incontrovertibile con cui si sono confrontate e si continuano a confrontare in modi diversi tutte le discipline. L’assunto di fondo resta il fatto che ogni essere umano è un progetto di vita e l’aspirazione alla felicità è il comune denominatore alla base di tutti i progetti umani. Il valore della felicità come requisito fondamentale dell’esistenza umana non ha perso il suo peso nemmeno nella moderna società globalizzata che, nel suo sforzo di definire in termini concreti il livello di sviluppo e di civiltà mondiale, non ha potuto evitare di porsi il problema del livello di felicità raggiunto dalle popolazioni dei paesi del mondo. Il problema, quindi, posto in termini “economicisti”, è stato quello di misurare la felicità delle persone nei diversi luoghi del mondo. 
buthan1La considerazione della felicità come obiettivo della scienza economica è una innovazione radicale nella comunità degli economisti i quali, al contrario, sono da sempre orientati (sia nelle varianti micro che macro economiche), a dimenticare l’uomo nella sua dimensione reale, l’uomo capace di pulsioni diverse dal calcolo utilitarista, lo stesso che Benedetto XVI, nella sua Caritas in veritate, descrive come capace di immettere la gratuità nel mercato, l’uomo capace di “desideri socializzanti”, secondo la felice intuizione del premio Nobel Kenneth Arrow. 
La limitatezza e l’aridità di una definizione del livello di sviluppo delle nazioni basata esclusivamente sulla considerazione del loro prodotto interno lordo, sembra imporsi all’attenzione di una parte della comunità degli economisti e dei sociologi, riportando in primo piano l’importanza di valori come l’altruismo e le buone relazioni umane perché le persone possano essere felici e vivere in una società felice. 
Nel suo saggio “L’economia della felicità ” il giornalista Luca de Biase, sostiene che per troppo tempo gli uomini hanno pensato che la felicità dipendesse dal livello dei consumi e, per assicurarsene una fetta sempre maggiore, hanno dedicato al lavoro una quota sempre più alta del loro tempo. Così facendo hanno però finito col sacrificare le relazioni umane che costituiscono invece il principale generatore di felicità. Il risultato è che col tempo la quota di infelicità ha finito con l’assumere proporzioni intollerabili.
L’invito, in altre parole, è di non considerare il PIL come l’unico metro di misura per valutare la ricchezza di un paese e della sua popolazione. Da sola, infatti, questa misura è incompleta: dice quanta ricchezza monetaria c’è all’interno di un territorio, ma non quanta felicità c’è fra i suoi abitanti. Al PIL, insomma, dovrebbe essere quanto meno affiancato un indicatore di felicità umana. 
«La visione del mondo implicita nell’economia tradizionale, insomma, può e deve essere rivista”, scrive De Biase. Un invito senz’altro da raccogliere se non altro come sottolinea l’autore – per “ricompattare la società su progetti condivisi».1

Dal PIL alla FIL

L’avvio del processo di superamento del PIL come indice di benessere sociale, nasce nel Bhutan, piccolo Stato tra l’India e la Cina ai piedi dell’Himalaya che, nel 1972, sostituisce il PIL con il GNH (Gross National Happiness, Felicità Nazionale Lorda).
I quattro pilastri di base per la misurazione della felicità del popolo sono: 

  1. l’esistenza di uno sviluppo economico equo e sostenibile, che include l’istruzione, i servizi sociali e le infrastrutture, in modo che ogni cittadino possa godere degli stessi benefici di partenza; 
  2. la conservazione ambientale, particolarmente importante nel Bhutan dove solo l’8% del territorio è utilizzabile per l’agricoltura; 
  3. la cultura, intesa come una serie di valori che servono a promuovere il progresso della società ; 
  4. e infine il pilastro su cui si fondano tutti gli altri, il buon governo.

Il sistema adottato per misurare la Felicità Interna Lorda non si limita al livello di reddito (e di consumo) di una nazione, ma introduce una serie di parametri che affiancano i dati del PIL arricchendolo. Aspetti come il livello d’istruzione, l’accesso all’acqua potabile, la sanità gratuita, la percentuale di persone che usufruiscono del sistema fognario, l’aspettativa di vita, la qualità dell’ambiente, il tasso di criminalità, diventano indicatori di benessere sociale.

Dal 1972 nel Buthan ogni anno si misura la Felicità Interna Lorda in base alle esigenze e ai bisogni della popolazione, partendo dal fatto che la felicità non può essere misurata solo dalla produttività in termini materiali, ma dalla qualità della vita che tiene conto di valori etici e spirituali. La FIL del Buthan, ispirandosi alla stessa filosofia buddhista praticata dai suoi cittadini, pone la persona, microcosmo nel macrocosmo, al centro dello sviluppo inteso come interazione armonica con la vita dell’intero universo, e si pone, da questo punto di vista, come contraltare della visione individualista occidentale.
in base

bhutan2In base ai parametri del PIL, il Bhutan risulta una delle nazioni più povere del pianeta, mentre, in realtà, nessuno muore di fame, non esistono mendicanti, né criminalità e la maggior parte della popolazione accede gratuitamente alla sanità e all’istruzione pubblica.

Il Dalai Lama, a proposito della Felicità Interna Lorda, ha dichiarato: «Come buddhista, sono convinto che il fine della nostra vita è quello di superare la sofferenza e di raggiungere la felicità. Per felicità però non intendo solamente il piacere effimero che deriva esclusivamente dai piaceri materiali. Penso ad una felicità duratura che si raggiunge da una completa trasformazione della mente e che può essere ottenuta coltivando la compassione, la pazienza e la saggezza. Allo stesso tempo, a livello nazionale e mondiale abbiamo bisogno di un sistema economico che ci aiuti a perseguire la vera felicità. Il fine dello sviluppo economico dovrebbe essere quello di facilitare e di non ostacolare il raggiungimento della felicità ».
L’impostazione buddista che svincola la felicità da fatti puramente materiali svela uno dei punti nevralgici intorno al quale ruota la validità dell’intero sistema trasportato nel mondo occidentale dove la definizione di Felicità Interna Lorda, tradotta in area anglofoba come GNH (Gross National Happiness), assume caratteristiche diverse orientate ad un approccio quantitativo più che qualitativo. 

La misurazione del benessere nel mondo occidentale

L’indicazione della felicità come valore fondante della qualità della vita e del benessere sociale non è rimasta confinata alle pendici dell’Himalaya, ma è stata accolta e sviluppata in molti altri Paesi del mondo.

Nel mondo globalizzato, dove i bisogni e i desideri degli esseri umani tendono ad uniformarsi in tutti i luoghi della terra, l’obiettivo di misurare il livello di felicità individuale raggiunto dalle popolazioni diventa l’elemento innovativo di un nuovo approccio proposto, per prime, dalle Nazioni Unite con il loro Indice di Sviluppo Umano (HDI Human Development Index) non più riferito esclusivamente al PIL ma anche agli indicatori relativi alla qualità della vita.

A partire dalle Nazioni Unite fino all’Unione Europea, diversi gruppi di ricerca hanno lavorato per definire e perfezionare degli indicatori di felicità da utilizzare nelle analisi delle condizioni di diversi Paesi del mondo: dal GNH (il Gross National Happiness, la felicità nazionale lorda) adottato dal Bhutan, allo Human Development Index lanciato dall’Agenzia dell’ONU UNDP (United Nation Development Program); dal Canadian Index of Well Being definito dall’Università di Waterloo, all’Happy Planet Index elaborato dalla New Economics Foundation; dal Better Life Index promosso dall’OCSE, al progetto italiano BES (Benessere Equo e Sostenibile) nato da un’iniziativa congiunta del CNEL e dell’ISTAT per la misurazione del benessere. 
La felicità si identifica nel benessere e nella qualità della vita sociale e viene definita attraverso standard ed indicatori che rendono possibile la comparazione tra le condizioni di vita dei diversi Paesi del mondo. È proprio attraverso questo confronto che diventa evidente la poca significatività della dimensione economica delle nazioni e la necessità di ampliare l’analisi alla considerazione di fattori di natura non economica ma sociale e psicoantropologica.

A partire dagli anni ’90, la misurazione del benessere degli Stati, realizzata dalle Nazioni Unite, integra i dati relativi al Prodotto Interno Lordo con i nuovi dati sulla Felicità Interna Lorda ricavati attraverso indicatori che fanno coincidere il concetto di felicità essenzialmente con la soddisfazione di bisogni sociali.Gli indicatori di felicità individuati dai ricercatori legati al programma per lo sviluppo umano dell’ONU originariamente sono quattro: aspettativa di vita, livello di scolarizzazione, sanità ed istruzione pubblica, rispetto dei diritti umani. La scelta è estremamente significativa in quanto traduce in aspetti concreti i valori sociali attribuiti al concetto di felicità. Da questo punto di vista, l’individuazione dei singoli indicatori di felicità testimonia efficacemente la coincidenza creatasi tra felicità e soddisfazione di bisogni individuali, in una visione radicalmente individualista della società.

Dal 1993 gli indicatori dello sviluppo sono diventati tre: una vita lunga e sana, l’accesso alla conoscenza, e uno standard di vita dignitoso. Ne deriva che l’HDI viene calcolato sulla base della combinazione tra i numeri sull’aspettativa di vita, l’alfabetizzazione degli adulti, la popolazione scolastica e il PIL. 
L’uniformità degli indicatori permette di confrontare le condizioni di vita nelle diverse nazioni del mondo e ricavarne una graduatoria, il che tuttavia non coincide esattamente con la rilevazione della felicità effettiva delle persone. Nel 2006 la Norvegia ha segnato l’HDI più alto (0,965) pur essendo il Paese Europeo con il numero maggiore di suicidi.

Un indicatore introdotto negli anni 2000 dalla Human Development Reports è l’Indice di sviluppo di genere (GDI) e la misura dell’empowerment di genere (GEM), riconoscendo con ciò il grave ritardo nel raggiungimento di una reale parità tra uomini e donne, considerata come un valore sociale.
A livello europeo la suggestione esercitata dal concetto di Felicità Interna Lorda ha ispirato il Presidente francese Sarkozy a creare, nel febbraio 2008, una commissione sulla misurazione delle prestazioni economiche e del progresso sociale, composta da una ventina di esperti mondiali e coordinata da Joseph Stiglitz, Amartya Sen – entrambi premi Nobel – e Jean-Paul Fitoussi, presidente dell’Osservatorio francese delle congiunture economiche (Ofce). Il rapporto della Commissione ha messo in evidenza la maggior importanza della misura del benessere della popolazione rispetto a quella della produzione economica. Così al prodotto interno lordo (Pil) viene preferito il prodotto nazionale netto (Pnn), che tiene conto degli effetti della svalutazione del capitale in tutte le sue dimensioni: naturale, umana e così via. In altre parole si vuole mettere fine alle aberrazioni di un Pil che, per esempio, aumenta in caso di catastrofe naturale grazie alle spese per la ricostruzione, mentre il costo della catastrofe non viene contabilizzato.

Il concetto di sostenibilità 

Gli esperti insistono sulla necessità di non privilegiare il breve periodo, parlando del concetto di “sostenibilità “, cioè della capacità di un’economia a mantenere nel tempo il benessere della sua popolazione. In Italia, alla fine del 2009, Il Sole-24 ore commissionò una classifica per stabilire le città più “felici” d’Italia secondo 8 parametri della Fil già sperimentati in Francia (condizioni di vita materiali, salute, istruzione, attività personali, partecipazione alla vita politica, rapporti sociali, ambiente e sicurezza economica e fisica). 

L’esito di tale classifica ha visto primeggiare i comuni della Romagna, della Toscana e delle Marche, con Milano (capitale del Pil) in 37ma posizione, in fondo Siracusa e altre province siciliane. La classifica dell’anno successivo ha proposto posizioni sostanzialmente invariate. I risultati ottenuti coincidono con la recente indagine Eurostat (ufficio statistico della commissione europea) sul Pil italiano che vede, tra le prime posizioni, la provincia di Bolzano, la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Lazio, in basso il Sud. Da ciò si rileva che, salvo qualche caso, il tasso di benessere si accompagna alla produzione di reddito anche se, evidentemente, non si esaurisce ad essa.

L’economista italiano de Biase sostiene che i modelli tradizionali per leggere l’economia non sono più in grado di rispondere alle domande relative alla felicità delle popolazioni dei paesi sviluppati e di quelli che hanno da qualche tempo imboccato la via dello sviluppo“.2
bhutan3Il ragionamento proposto è che, oltre un certo limite, la crescita economica non è più in grado di assicurare la felicità. L’aumento indefinito del consumo implica, infatti, una spinta indefinita di lavoro necessario a finanziarlo e di tempo da dedicare all’attività professionale, a scapito delle relazioni umane, dei rapporti personali – familiari, amorosi, d’amicizia – e dell’apertura in genere verso gli altri in termini di curiosità, creatività e apertura intellettuale. È necessario – sostiene de Biase – un cambio di mentalità, un ribaltamento dei valori che porti a riconoscere che oggi ‘il bene scarso’, da sempre oggetto della scienza economica, è costituito anche dai rapporti interpersonali spontanei.
Il tema non è nuovo e trova una serie di sostenitori autorevoli come, tanto per citare un esempio noto, Serge Latouche, professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI e all’Institut d’études du devoloppement économique et social (IEDES) di Parigi, che, con le sue teorie, ispira il movimento della “decrescita” basato sulla critica al concetto di economia intesa in modo formale, ossia come attività di mera scelta tra mezzi scarsi per poter raggiungere un fine, e promuove il concetto dell’economico che si rifà alla definizione di economia sostanziale, intesa come attività in grado di fornire i mezzi materiali per il soddisfacimento dei bisogni delle persone non riconducibili esclusivamente alla sfera economica3.

Le indagini Eurostat-Eurobarometro hanno evidenziato che sebbene vi siano state molte oscillazioni, “la soddisfazione media riportata dagli europei era, nel 1992, praticamente allo stesso livello di 20 anni prima, a fronte di un considerevole aumento del reddito pro-capite nello stesso periodo.”

Tra tutte le letture possibili di questo dato emerge il fatto che la maggiore o minore felicità di ogni individuo è sempre espressa in relazione al suo personale parametro, che, di solito, coincide con il raggiungimento o meno dei suoi obiettivi. Se cambiano le aspettative cambia il livello di raggiungimento della felicità.

L’impossibilità di ridurre la felicità ad una mera accezione quantitativa traducibile nel numero ed entità di bisogni soddisfatti, senza esaminarne le sfumature più essenziali, è oggetto di una serie di studi sociologici condotti principalmente negli Stati Uniti che individuano come aspetti importanti il fatto che la felicità individuale sia strettamente connessa al rapporto con gli altri e alla loro stima, dal che si deduce che l’errore principale dell’individuo è credere che utilità e felicità siano connesse. (Baumann)
Ridurre la categoria della felicità a quella dell’utilità è “all’origine della credenza secondo cui l’avaro sarebbe, dopotutto, un soggetto razionale. Eppure un gran numero di interazioni sociali acquistano significato unicamente grazie all’assenza di strumentalità. 

L’economista Stefano Bartolini declina la felicità con le relazioni interpersonali: se siamo infelici, pur vivendo in Paesi sostanzialmente ricchi, è perché abbiamo sacrificato al benessere materiale il tempo e il gusto per gli altri. Il rapporto tra degrado relazionale, economia e felicità è misurato a partire dagli Stati Uniti: “Il tasso di crescita del reddito familiare necessario a compensare la perdita di felicità dovuta al declino delle relazioni avrebbe dovuto superare il 10 per cento. Non sarebbero bastati nemmeno 30 anni di crescita economica a ritmi cinesi, per fare crescere la felicità degli americani…”.4

La scienza economica (nelle varianti micro e macro), sempre più astratta e formalizzata, perde colpi: l’economia reale va in crisi per eccesso di virtualità finanziaria, mentre l’economia teorica non riesce più a capire, spiegare, predire e correggere. L’esigenza di cambiare modello economico è ormai un’emergenza internazionale.

L’affermazione del Nobel americano Joseph Stiglitz «se non misuri la cosa giusta, non fai la cosa giusta» ha ispirato la recente idea del Premier Inglese Cameron di “pesare” oggettivamente la life satisfaction, in aggiunta ai tradizionali indicatori di benessere di una nazione. L’ufficio di statistica nazionale britannico tasterà il polso di 200.000 persone, che potranno darsi un voto, in un range da 0 a 10, rispondendo a domande come: “Quanto sei stato felice ieri? Quanta ansia hai provato? In che misura senti che le cose che fai sono utili?”. L’obiettivo è provare a definire la qualità del proprio tempo, le emozioni provate in prevalenza, la fiducia verso gli altri, l’immagine del futuro.

Le prime stime, sulla base dei dati ricevuti, sono previste per la metà del 2012 e dovrebbero servire a tracciare un quadro più chiaro e completo della vita della popolazione, favorendo scelte più accorte e consapevoli da parte dei decisori.

Anche in Italia il presidente dell’Istat Enrico Giovannini ha creato d’intesa con il Cnel un “gruppo di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana”, composto da rappresentanze delle parti sociali e della società civile. L’obiettivo dichiarato è di costruire un “approccio multidimensionale del benessere equo e sostenibile” (Bes), che possa integrare il dato della ricchezza nazionale con altri parametri, fra cui le diseguaglianze (non solo di reddito) e la sostenibilità, non esclusivamente ambientale5.

Dalla FIL al BIL

Seguendo questa stessa linea ideale, gli ultimi studi di economia sociale rivisitano la definizione di FIL trasformandola in BIL, Benessere Interno Lordo proposto come superamento del PIL, espressione ormai obsoleta e che soprattutto rappresenta un preciso modello di sviluppo oggi entrato definitivamente in crisi. 

Qualità della vita, benessere, felicità. Da Sarkozy a Cameron, l’idea che il Pil non basti più – almeno non da solo – per misurare la vera ricchezza dei territori è uscita definitivamente dal dibattito accademico che ha visto (e vede) cimentarsi e confrontarsi economisti e statistici. Da tempo governi e istituzioni internazionali stanno sperimentando nuove strade e nuovi criteri capaci di dire quanto si viva bene in un territorio. 
Un ulteriore contributo importante al superamento del PIL è dato dall’OCSE che ha elaborato un proprio indicatore di benessere, il Bli, acronimo di Better Life Index, basato su parametri diversi da consumi, investimenti ed esportazioni, che tradizionalmente sono indice della ricchezza di un paese. 
L’indice dell’OCSE (Organizzazione per il Commercio e lo Sviluppo Economico) classifica i suoi trentaquattro paesi membri in base ad 11 criteri: abitazione, reddito, lavoro, partecipazione civile, istruzione, ambiente, amministrazione, salute, soddisfazione personale, sicurezza ed equilibrio tra lavoro e privato. Ogni paese ha un punteggio relativo a ciascuno di questi parametri. 

La novità è che la graduatoria prodotta non coincide con un giudizio univoco in quanto ognuno può interpretarla in base all’importanza relativa che attribuisce ad ogni criterio. Quindi per chi non ha un interesse particolare per il reddito ma ricerca i valori della comunità e la soddisfazione personale la Danimarca è il Paese migliore; per chi ha a cuore l’ambiente è la Svezia; mentre in Australia e Canada si gode di buona salute. L’Italia si colloca sotto la media Ocse rispetto a quasi tutti i parametri. Mediamente al ventiquattresimo posto su trentaquattro, appena sotto a Israele, Slovenia e Repubblica Ceca; appena sopra Corea, Polonia e Grecia. Dati che ribaltano le graduatorie dettate dal Pil.
Infine, il progetto italiano BES, benessere equo e sostenibile che assume come premessa la constatazione che il PIL guida da anni la comparazione dello sviluppo, non solo economico, nel corso del tempo e tra Stati appartenenti ai cinque diversi continenti. Esso è un indicatore sintetico, internazionalmente accettato e, come tutti gli indicatori sintetici, non abbraccia ogni dimensione del benessere di una società ; soprattutto, quando il livello del PIL per abitante tende a essere elevato, si riduce la sua correlazione con altre sfere del progresso sociale (longevità, salute, deprivazione, etc.).

La controproposta al PIL elaborata dal progetto BES mira alla definizione delle diverse sfaccettature che descrivono la qualità della vita in Italia attraverso 12 domini identificati dal comitato CNEL-ISTAT per affiancare l’indicatore PIL nella misurazione del benessere dei cittadini italiani che riguardano:
1. Ambiente; 2. Salute; 3. Benessere economico; 4. Istruzione e formazione; 5. Lavoro e conciliazione tempi di vita; 6. Relazioni sociali; 7. Sicurezza; 8. Benessere soggettivo; 9. Paesaggio e patrimonio culturale; 10. Ricerca e innovazione; 11. Qualità dei servizi; 12. Politica e istituzioni

Così come il benessere dipende da numerosi aspetti, anche i confini di tali domini non sono sempre nettamente separati e possono essere letti in continuità fra di loro.

Conclusioni 

Aconclusione della breve rassegna sugli studi presi in esame, risalta la consapevolezza dell’insufficienza dimostrata dal Pil a rappresentare l’effettivo benessere di una nazione. Come disse per primo Bob Kennedy nel celebre discorso alla Kansas University del 1968, esso “misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Le radici di questo scollamento fra l’indicatore ed il benessere effettivo sono da ricercarsi probabilmente nelle sue origini. 

Il Pil fu creato a cavallo fra la grande depressione degli anni Trenta ed il secondo dopoguerra. Sebbene fin d’allora il suo ideatore, tale Simon Kuznets alla guida di un team di ricercatori del Ministero del Commercio degli Usa, nutrisse delle perplessità sull’utilizzo dell’indice – tant’è che decise di dimettersi –, è accettabile che in un periodo di ristrettezze e povertà, ad un aumento della produzione e dei consumi corrispondesse un aumento del benessere delle famiglie. Allora aumentare i propri consumi significava avere accesso a beni di prim’ordine, che garantivano un reale miglioramento del tenore di vita, delle condizioni igieniche etc.

Certo questo non avviene oggi. Nel bel mezzo di una crisi economica mondiale pretendere che le famiglie aumentino i loro consumi è improponibile, mentre diventa evidente l’utilità di investire le proprie risorse ed il proprio tempo in attività che possono comportare un reale miglioramento della qualità della vita personale e, magari, anche della qualità della società in cui vivono.

A ciò va aggiunta la considerazione che la società dei consumi, oggi al tramonto, ha di fatto consumato la capacità umana di stabilire relazioni autentiche e coltivare valori profondi, travolti dal mondo delle immagini di successo e di felicità posticce.

Emerge quindi una profonda esigenza di riscoprire valori sociali ed etici da condividere in prospettiva di un’inversione di tendenza rispetto al modello dominante dello sviluppo e della crescita illimitati. Una inversione di tendenza che si rende necessaria per il semplice motivo che l’attuale modello di sviluppo è ecologicamente insostenibile, ingiusto ed incompatibile con il mantenimento della pace. Esso inoltre porta con sé, anche all’interno dei paesi ricchi, perdita di autonomia, alienazione, aumento delle disuguaglianze e dell’insicurezza.6

Cosa aspettarsi? Per prima cosa di non confondere “qualità ” con “felicità “. La felicità è un concetto complesso e può sfuggire a misurazioni di tipo statistico. La qualità, invece, rappresenta la capacità di un territorio di fornire ai cittadini servizi di alto livello; infrastrutture adeguate; tutela ambientale; occasioni di lavoro e di affari, di svago e di cultura; sicurezza e solido tessuto sociale. Insomma, anche se questi aspetti non sono proprio tutti gli ingredienti della felicità, sono comunque dei loro presupposti.

Biancamaria Alberi

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Bibliografia

G. Ateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 2004.
S. Bartolini, “Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere“, Donzelli editore, 2010
W. Bello, Deglobalizzazione. Idee per una nuova economia mondiale, Baldini Castoldi Dalai, 2004.
G. Bologna (a cura di), State of the world 2004. Consumi, Edizioni Ambiente, 2004
M. Bonaiuti, Obiettivo decrescita, EMI, 2004
N. Chomsky, Il bene comune, Piemme, 2004
H. Daly e J. Cobb, Un’economia per il bene comune, Red edizioni, 1994
L. de Biase, Economia della felicità. Dalla Blogosfera al valore del dono e oltre, Feltrinelli, 2008
M. Deriu, Al di là dello sviluppo: globalizzazione e rapporti Nord-Sud, EMI, 2000,
S. Latouche, Come si esce dalla Società dei Consumi, Bollati Boringhieri, 2011
S. Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, 2007
T. Scitovski, L’Economia senza gioia, Città Nuova Editrice, 2000
V. Shiva, Vacche sacre e mucche pazze. Il furto delle riserve alimentari globali, DeriveApprodi, 2004,
V. Shiva, La guerra dell’acqua, Feltrinelli, 2004,

Sitografia

www.benessereinternolordo.net
www.decrescita.it
http://decrescitafelice.it/
http://hdr.undp.org/en/statistics/hdi/
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-12-13/
www.misuredelbenessere.it
www.oecdbetterlifeindex.org
www.wikiprogress.org/

NOTE:

1 – L. De Biase, Economia della felicità. Dalla Blogosfera al valore del dono e oltre, Feltrinelli, 2008
2 – L. De Biase, Economia della felicità . op. cit.
3 – S. Latouche, Come si esce dalla Società dei Consumi, Bollati Boringhieri, 2011
4 – S. Bartolini, “Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere“, Donzelli editore, 2010
5 – www.misuredelbenessere.it
6 – M. Bonaiuti (a cura di), AA.VV., Obiettivo Decrescita, Nuova Edizione, EMI, 2005


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