Allegria, alacritas

Giuseppe Lampis

Allegria, da alacritas.

La salute dell’anima sta nel completamento fedele del suo destino o daimon. Destino, compito, dèmone sono insiti dalla nascita nella propria indole.

Questa è la vera felicitas. La felicità sta nella vera apertura. Nella vera fecondità, nella moltiplicazione di sé nello svolgersi del molteplice che svolgendosi si lega nell’uno, nell’opera, nel lavoro, nell’agire.

Sussiste un rapporto stretto tra felicità, pienezza, e allegria alacritas.

Il contrario della depressione, il contrario della nera pesantezza saturnina.

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Il tema della grazia redentrice del lavoro sta in Benedetto (ora et labora) e poi in Cauvin (Calvino).

Il lavoro si pone come apertura al mondo e come preghiera.

Uno dei problemi fondamentali della modernità è provocato dalla desacralizzazione del lavoro e della sua riduzione al fine della pura produzione insensata di ricchezza. Il lavoro è invece produzione di mondo, e bisogna che sappia di che mondo deve trattarsi. In altre parole, la ricchezza deve avere un senso etico.

La classe dei produttori nella costituzione del sapiente tradizionale (Platone, Repubblica) è subordinata gerarchicamente ai garanti del giusto ordinamento e orientamento della polis.

Già Eraclito denuncia lo sganciamento della classe dei ricchi commercianti dalla direzione del sapiente.

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Il dramma della modernità sta nell’aver assunto il fine della ricchezza a sé. Questo tradimento ha stravolto il valore e il significato metafisico del lavoro e creato una popolazione mondiale di disperati.

Il calvinismo è la cerniera decisiva del completamento dell’apertura delle cataratte. In un certo senso, si potrebbe addirittura affermare che è stato tradito; pensava di consacrare la grazia del lavoro contro la corruzione cattolica e invece è stato diabolicamente stravolto e usato in direzione materialistica.

Il materialismo del lavoro non sarebbe tuttavia dilagato all’estensione planetaria se il calvinismo non avesse infranto un ostacolo ancora formidabile: togliere la classe dei produttori dalla subordinazione alle classi superiori e consegnare alla borghesia democratica il governo della polis.

L’ideale di Benedetto doveva essere reinterpretato dal ginevrino Cauvin affinchè potesse divenire un’arma demoniaca di degenerazione dell’esistenza.

Marx non ha fatto altro che trarre le conclusioni di un discorso prepotentemente avviato tre secoli prima da una rivolta religiosa.

Giuseppe Lampis


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