Lo Gnosticismo e la
religionsgeschichtliche Schule

Ezio Albrile

In qualche modo annunciata dagli studi sul sincretismo antico di Albrecht Dieterich, dalle ipotesi panegiziane di M. A. Amelineau e panbabilonesi di Wilhelm Anz e Konrad Kessler, la «Scuola di Storia delle Religioni» teorizza lo Gnosticismo come un fenomeno anteriore al Cristianesimo, in cui la cosiddetta «gnosi cristiana» non sarà che un aspetto particolare e a volte anche marginale. Centrale in questa ermeneutica è l’opera di Johann Franz Wilhelm Bousset (Lubeck 1865- Giessen 1920) Hauptprobleme der Gnosis (Göttingen, 1907), un testo – nonostante la revisione critica di Carsten Colpe – ancora oggi di fondamentale importanza. Bousset ha studiato i diversi motivi gnostici quali il dualismo, il mito della catabasi del Salvatore, l’ascensione celeste e la figura della Madre luminosa, rintracciandone le origini in una forma di sincretismo iranico-mesopotamico. Un altro grandissimo studioso, filologo classico e storico delle religioni, che si è occupato delle origini dello Gnosticismo è stato Eduard Norden (1868-1941) nella sua opera Agnostos Theos (Leipzig 1913). Anche se in questo libro l’ argomento non è trattato espressamente, Norden presuppone l’esistenza di uno Gnosticismo precristiano, basando tale interpretazione sui materiali derivanti dalla letteratura ermetica.

La Grotta di Qumram
La Grotta di Qumram

Ma l’apice della tendenza storico-religiosa è sicuramente il Das iranische Erlösungsmysterium di Richard Reitzenstein (1861-1931) pubblicato a Bonn nel 1921. Anticipato da un lavoro sulla letteratura ermetica (Poimandres, Leipzig, 1904) e da uno sulle religioni misteriche (Die hellenistischen mysterienreligionen, Leipzig, 1910), il «Mistero di salvezza iranico» sviluppa analiticamente alcune delle tematiche già presenti nelle opere di Bousset. Motivo centrale per Reitzenstein è la vicenda di colui che egli definisce «Salvatore salvato», cioè il Messaggero, l’Uomo primordiale che discende nella Materia per liberare l’Anima luminosa. Se Dio è Luce e parte di questa Luce è rimasta intrappolata nel mondo, quando Dio discende nel mondo sotto forma di Inviato per liberarla, salvandola egli salva anche se stesso. Reitzenstein, a suffragio del carattere iranico di queste tematiche, citerà un presunto «Frammento di Zarathushtra», un testo spurio, nel quale la critica filologica posteriore identificherà una creazione del mondo letterario manicheo e quindi non-zoroastriano.

Le reazioni alle opere della religionsgeschichtliche Schule non si fecero attendere: nel 1925 a Parigi usciva la seconda edizione del libro di Eugène de Faye, Gnostiques et gnosticisme. In esso si possono intravedere alcune linee di tendenza, tra cui l’analisi delle fonti orientata a provare l’esistenza del Syntagma di Giustino – primo vero catalogo di eresie – ricostruito ipoteticamente a partire dallo Pseudo-Tertulliano e da Epifanio; l’analisi delle caratteristiche individuali dei vari sistemi gnostici; la forte affermazione dell’anteriorità della gnosi filosofica su quella mitologica. In definitiva De Faye voleva descrivere uno Gnosticismo cristiano indipendente dai modelli religiosi iranici o mesopotamici che fossero.

L’ipotesi iranistica della religionsgeschichtliche Schule è anche alla base dell’opera esegetica del teologo protestante Rudolf Bultmann (1884-1976). Gli studi del filologo e semitista Mark Lidzbarski sul mandeismo influenzarono in maniera determinante Bultmann nell’interpretazione del Vangelo di Giovanni: i passi dove Gesù è ritenuto un Messaggero celeste disceso per recare la rivelazione all’umanità avevano in qualche modo un parallelo nella letteratura mandaica. Per Bultmann il Quarto Evangelo rappresenterà l’esito e una reazione ad un mito precristiano derivante appunto da un milieu gnostico-mandaico.

Harnack aveva definito la Gnosticismo come un fenomeno di «acuta ellenizzazione del Cristianesimo». In aperto contrasto con questa definizione si ponevano quindi le affermazioni di Bousset e Reitzenstein secondo i quali lo Gnosticismo era un movimento religioso precristiano di derivazione iranico-mesopotamica. La polemica coinvolse anche l’iranista Hans H. Schaeder, inizialmente sodale di Reitzenstein nell’opera comune Studien zum antiken Synkretismus (Leipzig-Berlin, 1926). Seguace del filosofo Oswald Spengler, Schaeder in seguito elaborerà una ermeneutica secondo la quale lo Gnosticismo è visto come la combinazione dell’elemento greco come forma e dell’elemento orientale come contenuto. Una tendenza seguita anche da Hans Leisegang che nel suo Die Gnosis (Leipzig, 1924) ribadendo la duplice natura del fenomeno gnostico ne afferma però la sua origine unitaria, nata dalla fusione di questi due elementi religiosi.

Su un piano di mediazione si colloca il lavoro di Hans Jonas (Mönchengladbach 1903-New York 1993), Gnosis und spätantiker Geist, opera composita dalle alterne vicende, che si presenta come prima vera sintesi sul problema gnostico. Le fonti interpretative dell’opera di Jonas sono sostanzialmente due: i materiali comparativi raccolti dalla religionsgeschichtliche Schule (in particolare Bousset e Reizenstein) e l’ermeneutica teologico-esistenziale di Bultmann (a sua volta debitrice della filosofia di Martin Heidegger). Per Jonas il tipo centrale di gnosi è quello «siro-egizio», distinto da quello «iranico»: nel primo abbiamo una struttura emanativa «de-evolutiva» che alla fine produce un Demiurgo ribelle, nel secondo un dualismo di due principi, assoluto, nel quale il cosmo sorge dallo smembramento di un essere originario (tipico motivo indo-iranico). Jonas, dimentica però di fare i conti con le cosiddette «gnosi triadiche», cioè con i sistemi usualmente definiti come «sethiani», in cui i principi coinvolti sono tre: la Luce, lo pneuma e la Tenebra. A partire da quello che egli chiama das Prinzip der Konstruktion Jonas rintraccia nella gnosi siro-egizia, oltre a una molteplicità di influssi derivanti dalla letteratura ermetica e misterica, un fattore nuovo, quello di ritenere il mondo (= kosmos) come il male ontologico da cui bisogna liberarsi. In questa prospettiva Dio è quindi colui che salva gli uomini dal mondo. Il rapporto tra Dio e mondo si sviluppa in antitesi cosmologiche e antropologiche: se da un lato Dio è opposto al mondo, da un altro lo pneuma celato nel corpo dell’uomo si oppone alla psyche ed alla hyle. Il mondo terrestre alberga in un principio di totale autonomia: è la Tenebra, una sostanza che è «reale» solo in contrapposizione al suo opposto, la Vita ed il pleroma luminoso. Tra Dio e mondo vi è una incompatibilità assoluta. Tale concezione è per la mentalità greca un’assurdità, e l’Enneade antignostica di Plotino ne è una conferma. Impossibile quindi ascrivere le origini del fenomeno gnostico alla speculazione platonica. I Padri della Chiesa non erano meno refrattari a tale idea di negazione del mondo e quindi rifiutavano la possibilità che l’origine dello Gnosticismo andassse ricercata in seno alla Chiesa cristiana. Per quanto riguarda invece la figura del Demiurgo, essa non è per nulla identica al Diavolo: la sua rappresentazione proviene tanto dalla dottrina platonica, quanto dalla dottrina ebraica sulla creazione. Per Jonas la forma più peculiare del dualismo gnostico è rappresentata dai sistemi emanatisti siro-egizi nei quali il passaggio dalla perfezione del mondo luminoso al disordine del mondo terreno è segnato dalla hybris di un creatura intermedia, Sophia. Al contrario, secondo Jonas, il tipo iranico di Gnosticismo, rappresenterebbe un adattamento in senso anticosmico di un dualismo preesistente, quello iranico appunto.

Un buon numero di studiosi col tempo si è orientato verso l’ipotesi dell’origine giudaica o giudeo-cristiana dello Gnosticismo. Come s’è detto, uno dei primi e principali esponenti di questa tendenza fu Friedländer nel suo Der vorchristliche jüdische Gnosticismus (Göttingen, 1898). Egli insisteva soprattutto sull’esistenza di una religiosità popolare in seno al giudaismo, entro la quale sarebbe sorta la speculazione apocalittica ed in seguito quella gnostica. I questo filone ermenetutico sono da annoverarsi gli studi di Erik Peterson ( Amburgo 1890-1960 ) e di Jean Daniélou (Neuilly-sur-Seine 1905-Paris 1974), secondo cui i primi scritti gnostici bisogna ricercarli proprio nell’apocalittica giudaica. Una interpretazione affine è quella di Hans Joachim Schoeps che sottolinea la presenza di un «giudaismo gnostico» negli scritti della comunità di Qumran. Un altro studioso, Robert McL. Wilson ha indagato i rapporti tra lo Gnosticismo postcristiano ed il giudaismo della diaspora nel suo libro The Gnostic Problem (London 1958). Le sue conclusioni vanno verso la definizione di un fenomeno gnostico fortemente influenzato dalle rappresentazioni religiose del giudaismo postesilico. Nella discussione del lavoro di Wilson uno studioso tedesco, Alfred Adam, ha messo in evidenza la forte presenza di prestiti aramaici nei nomina numina della mitologia gnostica, una linea interpretativa seguita anche dal coptologo Alexander Böhlig (1912-1996). Importanti per l’ipotesi giudaistica anche i lavori dell’americano Birger A. Pearson, che ha studiato i testi gnostici di Nag-Hammadi in relazione alle loro possibili fonti ed interpolazioni in seno alla letteratura ebraica.

La formulazione più compiuta dell’esistenza di un vero e proprio Gnosticismo nell’alveo della tradizione ebraica, va però a due studiosi di straordinario valore: Gershom G. Scholem (1898-1982) e Gilles Quispel (Rotterdam 1916 – El Gouna [Egitto] 2006). Allo Scholem di deve proprio la «scoperta» della gnosi mistica giudaica, rintracciata nelle visioni estatiche della Merkabah, il «Carro» o «Trono» su cui è assiso Dio in Ezechiele I, 26. L’analisi della letteratura della Merkabah porta lo Scholem a ridefinire il problema delle origini gnostiche. In primo luogo questi testi della Merkabah per molti aspetti rientrerebbero nell’ortodossia giudaica ed alcuni sarebbero databili a prima del IV secolo d.C. Con grande erudizione Scholem dimostra che i documenti dello Gnosticismo cosiddetto «cristiano» presuppongono alcune concezioni fondamentali del misticismo della Merkabah: così, quando San Paolo descrive la sua ascensione al Paradiso, al «terzo cielo», prende a prestito termini della mistica giudaica; così, è ancora probabile che Erma, il visionario autore de Il Pastore, e Valentino fossero a conoscenza delle speculazioni giudaiche sul Nome di Dio; i documenti della gnosi valentiniana, specialmente gli Excerpta exTheodoto, rivelano l’influsso dell’insegnamento impartito nei circoli esoterici giudaici. Per Scholem questo Gnosticismo mistico della Merkabah non esulerebbe infine dall’ambito della tradizione halakhica: esso svilupperebbe in fondo motivi ed atteggiamenti già presenti nell’insegnamento ortodosso-legalistico rabbinico, sul quale avrebbe agito in modo marginale l’escatologia apocalittica, che esprimeva, nei decenni a cavallo dell’era cristiana, l’inquietudine e la rinascita religiosa di tanta parte del mondo giudaico. Prospettiva affine, ma differente nella elaborazione, è quella del teologo-storico Gilles Quispel. «Gnosis minus Christentumist Gnosis», con questo assunto il Quispel nella sua opera Gnosis als Weltreligion (Zürich, 1951) rivendicava l’autonomia e l’originalità dello Gnosticismo rispetto alle correnti religiose e filosofiche del sincretismo ellenistico-romano. Se da un lato, in sintonia con la psicologia junghiana di cui Quispel è seguace, la gnosi è una esperienza religiosa unica ed in sé conclusa, cioè una proiezione mitica implicante la ricerca della vera essenza dell’uomo (= il Sé), da un altro il Quispel rintraccia le origini di questa speculazione archetipica in una specifica ramificazione del giudaismo alessandrino. Da questo ambito culturale – più recentemente definito «Loggia Ermetica di Alessandria» – prenderanno le mosse tutte quelle riflessioni sul cosmo e sull’uomo che troveremo nelle sofisticate visioni di Valentino se non addirittura di Origene. Quispel è debitore, anche se in modo indiretto, del metodo della religionsgeschichtlice Schule. L’ipotesi pan-giudaica sulle origini dello Gnosticismo espressa dal Quispel, infatti è speculare nel metodo e nelle conclusioni a quella pan-iranica espressa dal Reitzenstein e seguaci: una eterogenesi dei fini dunque!

Nag Hammadi Codex II
Nag Hammadi Codex II

Sulla scia dell’opera di Scholem e Quispel si collocano le ricerche di Guy Gedaliahu Stroumsa (origini giudaico-gnostiche dei miti manichei), Jarl Fossum (origini samaritane dei miti gnostici), Nathaniel Deutsch. In particolare Deutsch ha ripreso le idee di Scholem sul misticismo della Merkabah, approfondendo la tematica in relazione alle rappresentazioni mitologiche presenti nei testi della gnosi mandaica. Anche J.C. Reeves ha studiato gli apporti gnostico-giudaici alla base di testi manichei come il Libro dei Giganti, giungendo ad una originale definizione di gnosi siro-mesopotamica in cui confluiscono anche elementi tratti dalla tradizione iranica.

Da menzionare inoltre lo studio del patrologo Robert M. Grant, Gnosticism and Early Christianity (New York, 1959), secondo il quale lo Gnosticismo avrebbe avuto origine dai residui delle attese apocalittico-escatologiche sorte dalla caduta di Gerusalemme. La speranza nella realizzazione sulla terra del regno di YHWH aveva guidato e sorretto il popolo d’Israele. Dalla rivolta maccabaica alla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., alla rivolta estrema di Bar Kosebah sotto Adriano, una sanguinosa catena di eventi segna profondamente il destino del «popolo di YHWH». Il fallimento della speranza escatologica realizzata in terra, segna così lo scoppio di una tremenda crisi spirituale, che porta al manifestarsi di nuove forme religiose. Nasce così, dalla convinzione che il Dio di questo mondo non è riuscito a realizzare le speranze del suo popolo, l’atteggiamento anticosmico che insieme al dualismo escatologico caratterizzerebbe lo Gnosticismo. Da frange marginali del giudaismo (la comunità essena di Qumran, i circoli giudaici influenzati dalla «teologia» iranico-caldea dei Magi «ellenizzati», il giudaismo della Diaspora in stretto contatto con il mondo aramaico siro-mesopotamico) proverrebbero i materiali che saranno unificati nelle sintesi dei grandi maestri gnostici del II secolo d.C.

Una ermeneutica in parte affine, ma con risultati più sconcertanti, è quella di Ioan Petru Culianu (1950-1991), uno studioso rumeno legato alla scuola di Ugo Bianchi. Secondo Culianu l’origine del nichilismo gnostico va ricercato nel problema degli «Angeli delle Nazioni»: nell’antico giudaismo v’era convinzione che tutte le nazioni della terra avessero un loro rappresentante nella corte celeste, gli Ebrei si attendevano dei vantaggi politici immediati per il fatto che il loro rappresentante celeste era Dio stesso, oppure l’arcangelo Michele, situato al primo posto accanto a Dio. La caduta del Secondo Tempio nel 70 d.C. altera sostanzialmente questa visione. Dal momento che Roma aveva conquistato la Palestina e che l’occupazione della Terra dio Dio pareva non aver termine, ciò stava a significare una sola cosa: Samael, l’angelo di Roma, si era sostituito a Dio o a Michele nella loro funzione di capo degli Angeli delle Nazioni; come la stessa potenza romana, anche Samael è un angelo cattivo, l’equivalente di Satana. A questa ipotesi ermeneutica, Culiano aggiunge una precisa e dettagliata fenomenologia dei miti gnostici, studiati in prospettiva diacronica.

L’ipotesi dell’origine puramente greco-platonica della teodicea gnostica è presente inoltre nei lavori di Simone Pétrement, una studiosa francese discepola della filosofa Simone Weil. Pétrement, seguendo a volte pedissequamente l’impronta di Harnack, ritiene lo Gnosticismo un fenomeno di ellenizzazione del Cristianesimo nei quali gli elementi religiosi danno origine ad una teologia politica di ribellione verso ogni tipo di oppressione sociale; una ermeneutica questa sicuramente mutuata dalle idee marxiste della Weil. Una riflessione su temi sociali e politici si trova anche nelle ricerche dell’americana Elaine Pagels, la quale ha studiato in particolare gli equilibri di potere alla base della contrapposizione tra pensiero gnostico e gerarchia ecclesiale.

Uno storico delle religioni tedesco, Carsten Colpe (Dresden 1929- Berlin 2009), in un suo famoso studio giovanile ha rivisitato criticamente le idee della religionsgeschichtliche Schule, dimostrando l’infondatezza di molte delle ipotesi enunciate da Reitzenstein. Ma ha egli soprattutto prodotto negli anni una serie di analisi fondamentali miranti a districare le varie componenti sincretistiche che si incrociano nei testi gnostici originali. Nonostante questi attacchi l’interpretazione iranistica del fenomeno gnostico ha avuto un articolato sviluppo nell’opera di un altro grande storico delle religioni, lo svedese Geo Widengren (Stockholm 1907- 1996). Widengren ha perfezionato le ricerche dei suoi predecessori rintracciando le origini dello Gnosticismo in una specifica corrente esoterico-filosofica sorta nell’alveo della religione mazdea, lo Zurvanismo. Secondo Widengren tale tradizione sapienziale mescolata alle idee del mondo aramaico-mesopotamico avrebbe dato origine alla gnosi dei Mandei e di riflesso a tutta una serie di documenti ascrivibili a quella da lui definita «gnosi partica». L’ibridazione tra materiali iranici ed aramaici sullo sfondo del regno partico è inoltre alla base di un complesso sincretismo che sfocia in testi apocalittici come il Libro di Enoch o nei più rappresentativi testi di Qumran come la Regola della Guerra, esempi di un giudaismo intertestamentario che iniziava ad interpretare il tutto seguendo canoni «gnostici». Le ricerche di Widengren e le fascinazioni della religionsgeschichtliche Schule hanno avuto un seguito nell’opera dell’italiano Gherardo Gnoli (Roma 1937-Cagli 2012), uno studioso che ha evidenziato con vigore le radici iraniche del fenomeno gnostico. In Gnoli troviamo anche una ridefinizione del Manicheismo come «religione gnostica iranica» . Un tentativo di mediazione tra queste citate posizioni estreme è del tedesco Kurt Rudolph (Dresden 1929), il quale pur sottolineando l’evidente sostrato greco-ellenistico e giudeo-aramaico nelle origini dello Gnosticismo, non trascura di sottolineare la presenza di materiali iranici. Su questa frequenza ermeneutica da segnalare anche i lavori degli italiani Giancarlo Mantovani e Alberto Camplani.

La scoperta negli anni Quaranta a Nag-Hammadi, l’antica Chenoboskion, di una intera biblioteca di testi gnostici vergati in copto, ha dato sicuramente nuova linfa agli studi sulle origini dello Gnosticismo. Lo scopritore di questo corpus di scritti, fu Jean Doresse, coptologo la cui fama venne presto oscurata dall’astro di Henri-Charles Puech (1902-1986). A Puech si devono una cospicua serie di lavori sulla fenomenologia gnostica: da menzionare lo studio su La gnose et le temps, sull’equivalenza tra la concezione dello spazio e del tempo nella demiurgia gnostica, apparso negli atti degli incontri «Eranos», ispirati dallo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung. La scuola di studi sullo Gnosticismo e sul dualismo iniziata dal Puech è continuata nell’opera del suo allievo Michel Tardieu, un fervido seguace del moto storico-filologico che è stato però anche il primo ad utilizzare un approccio antropologico-strutturalista nell’interpretazione dei miti gnostici.

Ezio Albrile


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