Astralità erotiche

Ezio Albrile

La produzione di romanzi a carattere erotico-cavalleresco nel mondo bizantino è cospicua, anche se pressoché sconosciuta. La storia d’amore di Beltandro e Crisanza ne è un esempio notevole. Il principe Beltandro, figlio del re di Romania – cioè di Bisanzio – Rodofilo, abbandona la magione avita con altri tre compagni poiché il padre lo ha in uggia, preferendogli il fratello Filarmo.

Filarmo però ci ripensa e persuade il padre a richiamarlo. Troppo tardi: ventiquattro cavalieri partono alla sua ricerca, ma lui si rifiuta di ritornare. Inizia così a vagabondare per tutto il Vicino Oriente compiendo prodezze d’ogni sorta. Giunto in prossimità della città di Tarso, vede un fiume, al disopra delle cui acque brilla una stella, vagante nel cielo. Seguendo la stella di fuoco, s’incammina per trovare la fonte: dopo dieci giorni di marcia arriva ad un palazzo edificato sopra una rupe di porfido. Di là sgorgava il fiume le cui acque infuocate nutrivano l’astro vagante.

Dai merli del palazzo, teste di leoni in oro osservano lo sbigottito principe. Al disopra di una porta di diamante una iscrizione avverte Beltandro che egli si trova davanti al castello di Eros. Fra le tante cose strane e mirabili che egli vede nel castello vi è anche una iscrizione che lo riguarda. Vi si predice che egli avrebbe amato la figlia del re di Antiochia. In quel mentre un putto alato lo invita a presentarsi al sovrano, che in realtà è Eros stesso, il quale gli consegna uno splendido scettro. Egli dovrà darlo alla più bella tra le quaranta fanciulle che sono innanzi a lui.

Beltandro trova la più bella e le consegna lo scettro. Parte quindi per Antiochia dove si mette alle dipendenze del re. Lì, nella persona della figlia del re, Crisanza, riconosce la più bella tra le fanciulle incontrate nel castello di Eros.

Nei versi apparentemente innocui di questo poema cortese si celano insegnamenti molto antichi che s’insinuano nelle predicazioni degli antichi gnostici. Li ritroviamo in due libri utilizzati dalla setta gnostica dei Perati, il primo intitolato Hoi proasteioi heōs aitheros, «Gli abitanti della periferia sino all’etere», riferito agli dèi e ai dèmoni preposti ad ogni sfera planetaria, che in qualche modo costituisce la «periferia» (proasteion) del luogo eterico dove risiede il principio originario. E in particolare nel secondo libro, un commentario gnostico ai Fenomeni di Arato, divulgatore poetico di due opere astronomiche di Eudosso di Cnido ora perdute. Tale scritto funge da base esegetica per interpretare il proemio del Vangelo di Giovanni.

Secondo l’anonimo esegeta gnostico, un vangelo originario si scorgerebbe nei cieli: negli infiniti avvicinamenti fra vicende evangeliche e mitologie astrali, la dea egizia Iside, è identificata con la costellazione del cane (Hipp. Ref. 5, 14, 6-7), cioè con Sōthis, Sirio, il cui levare eliaco indica le piene del Nilo. Sirio è la stella ignea della «canicola» e Iside è l’Arconte (o Arcontessa) delle ore del giorno che sovrintende al levare degli astri della prima volta celeste ed eterea, cioè delimita lo spazio sublunare e planetario dalla «Vera Terra», il cielo cristallino del Fedone (109 d-110 a), l’etere. La stella intravista dal principe Beltandro è certamente Sirio, l’astro canicolare il cui vincolo erotico è sottolineato dalla presenza della dea Iside. Nata in Egitto, la devozione per questa potente dea, sorella e sposa di un dio, Osiride, morente e risorgente, si diffuse in tutto il mondo ellenistico.

Attraverso un linguaggio metaforico, Apuleio nel suo famoso romanzo iniziatico esplicita come l’elemento erotico e sessuale avesse una parte rilevante nell’iniziazione isiaca. Non a caso nella fase di maggiore propagazione del culto le sacerdotesse erano note anche e soprattutto come prostitute. Così, in vesti di lino con il nodo allacciato sul petto a mostrare i seni nudi, il sistro e gli altri emblemi della dea, venivano rappresentate in statuine e terrecotte. Ciò spiega anche le misure repressive adottate dal Senato romano a partire dal 59 a.C. contro i culti di Iside. Iside maga era la dea degli incantesimi erotici: celeste e infera, in alto e in basso, Iside occupava lo spazio intermedio come dea della fertilità. A lei sola, inventrice dei filtri, apparteneva il potere di porre termine all’efficacia dei suoi sortilegi: legando e slegando, secondo i desideri dei suoi iniziati, Iside era sovrana della magia erotica perché era la sovrana universale, «dea salvatrice» (Apul. Met. 11, 9), padrona dei tre mondi, quello celeste, quello terrestre e quello sotterraneo, ed era quindi in grado di trarre a sé gli elementi che si attirano o si combattono.

Un discorso specifico è pertinente alla manifestazione della stella.

Nel Vangelo di Matteo i Magi intravedono una stella designata con il verbo greco anatellō «sorgere, levarsi», un lessico prettamente astrologico, quindi la Stella sarà intravista non «in Oriente», bensì «in levare», verisimilmente eliaco. La profezia di Zaccaria riportata nel Vangelo di Luca 1, 78 trascrive un motivo analogo: il Salvatore è invocato quale luce «sorgente dall’alto» (episkepsetai hemas anatolēex hypsous).

Nel Vangelo di Matteo l’atto di omaggio, la proskynēsis dei Magi, ricorda quello della regina di Saba, presentatasi a Salomone con aromi, oro e pietre preziose, ma soprattutto il racconto è la replica della profezia di Balaam in Numeri 24, 17 che nella versione greca dei Settanta invoca la «stella che sorgerà da Giacobbe» (anatelei astron ex Iakōb) utilizzando lo stesso lessico.

La ricorrenza di termini verbali e sostantivi derivanti da anatellō fa pensare a una indicazione della posizione dell’astro che aveva iniziato il suo levare eliaco, cioè in concomitanza con il sorgere del Sole (oppure di una stella mattutina), in un cielo particolare, forse al Solstizio. Un astro che, in piena sintonia con le attese del tempo, si levava in cielo al nascere di un Signore del Mondo, e ne rappresentava il suo «oroscopo».

È il Rex magnus de caelo celebrato negli Oracoli di Hystaspe (Lact. Div. inst. 7, 17, 11), una raccolta di profezie attribuite al re iranico Vištāspa (nell’idioma avestico > medio-persiano Wištāsp > neopersiano Goštāsp), sopravvisute solo in una manciata di frammenti, di cui i più lunghi sono conservati nell’opera di Lattanzio, che li ha adattati solo in parte al messaggio cristiano.

Il principio spirituale, come il Saošyant atteso dai Magi zoroastriani, si manifestava ciclicamente nel mondo annunciato da una Stella, essa stessa oggetto di venerazione, come avvenne in Roma per il misterioso sidus Augustum, identificato nella costellazione del Capricorno (Manil. Astr. 2, 507-509; Svet. Div. Aug. 94, 18), ma che in realtà celava una manipolazione dello stesso Ottaviano (Svet. Div. Aug. 5, 1).

Nel Saošyant iranico si materializza la forza siderea del Salvatore del mondo. Zoroastro stesso ha origini sideree: Giovanni Malala lo assimila alla costellazione di Orione, rivivificando di fatto una tradizione che ha origini avestiche. Zarathuštra custodisce gli uomini, così come la stella Tištrya/Sirio custodisce la volta celeste (Yašt 8, 44 [Panaino, p. 68]). Il passo è fatto proprio da Plutarco che descrive Horomazes pittore di un cielo stellante; tra esse ne scelse una a guardia (phylax) e custodia (prooptēs) sopra tutte le altre, la stella Sirio (De Is. et Osir. 47 F: 370 A).

L’attesa di un Salvatore venturo, di un Saošyant rinnovatore, sono parte dell’ideologia regale iranica e trovano compimento nel simbolismo della luce. Secondo Filostrato (Vit. Apoll. 1, 25) i re partici raffiguravano i propri dèi in sembianze sideree. Questo perchè essi stessi avevano un’origine celeste e ignea: discesi dal cielo in una colonna di fuoco, stigma del loro carisma era lo xvarənah, la fortuna che s’irradia dal capo dei degli esseri eletti. Ammiano Marcellino (17, 5, 1) trascrive l’epiteto che designava il «Re dei Re» Šāpuhr quale discendente di una stirpe divina consustanziale agli astri e ai due luminari: particeps siderum, frater Solis et Lunae.

Tiridate, re d’Armenia, nel 66 d.C. si recò a Roma con un corteggio di Magi ad adorare Nerone mithrizzato (Svet. Nero 13; Dion. Cass. Hist. Rom. 63, 1-7). Seguendo i moduli espressivi della regalità sacra il re Mithridate Eupatore era incarnazione di Mithra e come Mithra era nato in una caverna da una Stella discesa dal cielo, di un fulgore superiore a quello del Sole; le stesse vesti dei sovrani comprendevano una tiara e un abito cosparsi di stelle, un abbigliamento che influenzerà non poco il crepuscolo di Bisanzio.

Sia a Roma che in Oriente, in epoca ellenistica, la Stella diviene simbolo di un dio o di un re divinizzato, immagine della luce che si coagula in una forma corporea. Nei Vangeli il configurarsi del sapere astronomico e astrologico quale strumento verso la salvezza non è unicamente relegato alla pericope dei Magi di Matteo: una terminologia affine è rintracciabile in una enigmatica frase del Battista, trascritta in Giovanni 3, 30: «bisogna che egli cresca e che io diminuisca» (ekeinon dei auxanein, eme de elattousthai). Ricongiungendoci a quanto detto prima, anche qui sembra ci si riferisca al levare e al tramontare di una Stella, quella del Salvatore.

Il contesto astrale è confermato nella pericope successiva, che sottolinea come «colui che giunge dal Cielo», cioè il Salvatore, sia «superiore a tutti» (3, 31). Il verbo auxanō «accrescere, esaltare» tradisce infatti un uso astrologico, ed è, in un contesto astronomico, applicato alle fasi della Luna (Aristot. An. post. 78b 6); ricordando che in Vettio Valente (2, 18) l’esaltazione di una data natività è definita in ragione della posizione del Sole (diurna) e della Luna (notturna). Lo stesso dicasi per elattoō «diminuire, sminuire», da cui elattōsis «diminuizione, sminuimento», relato forse al tramontare dell’astro.

Sembra ovvio che il motivo della stella, del fiume igneo e del castello di Eros attinga all’immaginario regale iranico; tanto più che la regalità e la «scelta» della principessa astrale è di fatto il fulcro del romanzo di Beltandro e Crisanza.

Ezio Albrile

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Riferimenti bibliografici:

  • Clerc, «Isis-Sothis dans le monde romaine», in M.B. De Boer-T.A. Edridge (eds.), Hommages à M.J. Vermaseren, I (EPRO, 68/1), E. J. Brill, Leiden 1978, pp. 247-281.
  • Lavagnini, La letteratura neoellenica, Sansoni/Accademia, Firenze-Milano 19693.
  • Melasecchi, «Il Messia regale di Matteo: ascendenze zoroastriane, 1», in Id. (cur.), Il Salvatore del mondo. Prospettive messianiche e di salvezza nell’Oriente antico(Conferenze, 16), IsIAO, Roma 2003, pp. 91-93.
  • Panaino, Tištrya, Part. II: The Iranian Myth of the Star Sirius(Serie Orientale Roma, LXVIII/2), IsMEO, Roma 1995.
  • Panaino, I Magi e la loro stella. Storia, scienza e teologia di un racconto evangelico, Edizioni Paoline, Milano 2012.
  • Tardieu, s.v. «Iside maga. I papiri greci e copti», in Y. Bonnefoy (cur.), Dizionario delle Mitologie e delle Religioni, II, Rizzoli-BUR, Milano 1989, pp. 975 b-981 b.

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