Paride deve scegliere la più bella

Giuseppe Lampis

 

Discordia lancia in mezzo al banchetto degli dèi riuniti per le nozze della prima coppia umana un pomo d’oro da assegnare alla più bella. Tre dee meravigliose e potentissime, Era Afrodite Atena, si fanno avanti. Nessun dio osa fare da arbitro, Zeus decide di coinvolgere Paride e fa accompagnare da Ermes dinnanzi a lui le tre contendenti.

Afrodite - Musei Vaticani
Afrodite – Palazzo Altemps – Opera fotografica di Lorenzo Scaramella

Già la circostanza che per la missione occorra Ermes ci mette sull’avviso, il luogo del giudizio è lontano di una lontananza speciale se per raggiungerlo si deve scavalcare un limite che solo Ermes sa come.

Chi è mai Paride, colui che è scelto per un compito così difficile?

Egli è l’ultimo figlio di Priamo e Ecuba, i regnanti su Troia, cittadella infera. Durante la gravidanza la madre sogna una volpe che con una torcia accesa fra le fauci incendia la città e Cassandra vaticina che la rovina sarebbe stata apportata proprio dal nascituro. Sicché pensano di prevenire la sciagura esponendolo sul monte Ida subito dopo la nascita.

In questa fase iniziale, allo stato di natura, il neonato viene allevato da un’orsa, e anche questa è una notizia che indica un privilegio particolare.

Non mette conto ora di riepilogare per esteso le vicende del ritorno e del riconoscimento tardivo che introducono alla sua storia di adulto imperniata sul ratto di Elena, ma non si può trascurare di osservare che questa prende le mosse dal momento in cui il giovane scende a partecipare alle gare indette per celebrare la sua morte e vince.

Torniamo sull’Ida nel giorno del giudizio che lo ha reso famoso.

Era promette a Paride Alessandro il dominio dell’Asia se da lui sarà giudicata la più bella. Afrodite contropopone l’amore di Elena, la donna più affascinante del mondo, e a sua volta Atena offre la sapienza e la vittoria in ogni combattimento.

I tre premi appaiono nettamente alternativi: la combattività, il gusto per la vittoria in battaglia, la sapienza del guerriero, la sete di potere politico e l’amore sono percepiti come incompatibili e normalmente si escludono a vicenda. Tuttavia, sotto le apparenze di un’alternativa, un intimo collegamento intercorre fra i tre premi e egualmente fra le tre dee.

Non dobbiamo farci condizionare dal sentire comune o dal gusto letterario posteriore. Il personaggio appartiene a un’età in cui amore, guerra e dominio non sono affatto incompatibili, anzi per il quadro ideologico e etico arcaico della Grecia, del Mediterraneo, dell’Asia minore, si tengono indissolubilmente.

Nella stessa Iliade tanto è valido il nesso tra amore e valore guerriero che la storia della guerra è condizionata precisamente dall’ira di Achille indispettito per avere subìto la sottrazione della sua preda femminile.

Ma soprattutto si deve andare alla figura primitiva di Afrodite–Astarte, dea complessa, non solo patrona dell’eros ma altresì del furore combattivo.

Atena è altrettanto poco unilaterale, la sua personalità non si fa chiudere soltanto nel tratto olimpico secondo cui nasce dal principio maschile completamente armata, essa è anche una dea–uccello, è kore e madre.

Su Era sarebbe superfluo insistere, i suoi caratteri di madre sono evidenti, eppure nel tempo stesso protegge e promuove eroi.

Atena - Musei Vaticani
Atena – Palazzo Altemps – Opera fotografica di Lorenzo Scaramella

Le tre dee hanno radici asiatiche o microasiatiche molto forti. La stessa figura di Paride, esemplarmente votato all’unione con la donna più affascinante del mondo, contiene un profilo che lo avvicina ai paredri asiatici e protomediterranei della Grande Madre. Ma le cose non si esauriscono qui.

Se si supera il livello superficiale del racconto di Paride, incontriamo un dèmone più elevato, un giovane eroe cui competono i doni più ambiti, doni che non si assegnano a un uomo subalterno, bensì a un guerriero che accetta solo le prede più desiderabili e più preziose.

Tre potentissime irresistibilmente chiamate a sfidarsi su chi sia « kalliste », la più bella, si rivolgono a lui perché le giudichi. Chi è mai Paride da venire considerato degno giudice di tanto contrasto?

Nel racconto tardo compare un pastorello senza alcuna esperienza del mondo, un ingenuo esposto a ogni suggestione, quasi un incapace da circonvenire con relativa facilità. La leggenda letteraria lo dipinge inoltre per un imbelle che preferisce i piaceri dell’alcova ai rischi della battaglia. Una distorsione di poeti entrati in una fase cortese, troppo facile obbiettare che nessun eroe è effettivamente distratto dagli amori, il caso di Achille vale per tutti.

Inoltre Paride, nonostante sia presentato riluttante, si batte di frequente e con avversari temibili con i quali l’esito del duello non è mai scontato: con Menelao che lo avrebbe sopraffatto se non fosse intervenuta Afrodite, con Diomede cui infligge una ferita, e infine con Filottete che lo avvelena con la sua freccia (è allora che la ninfa Enone da lui amata prima di Elena si rifiuterà per dispetto e gelosia di dargli il controveleno).

La passione per la splendida Elena, peraltro, è il segno della potenza irresistibile di Afrodite e non della sua depravazione. La stessa Elena non cede volente al suo destino, viene trascinata, deve ubbidire a minacce. L’amore fra i due non va confuso con le storielle sentimentali moderne, piuttosto ha il rango di un rito al quale non ci si può sottrarre.

Egli vive solitario e intatto in una sorta di paradiso al modo di un uomo dei primordi, e sarebbe stato scelto come arbitro congeniale con la materia del contendere essendo il più bello dei viventi.

La veste umana non deve deviare l’attenzione. Un tempo le dee e gli dèi siedevano con gli umani e li frequentavano assiduamente, ma il potere che viene riconosciuto a questo giovane eroe indica una natura più alta di quella umana.

Se ci atteniamo al nucleo di fondo del mito, non troviamo un trastullo degli immortali, piuttosto vediamo con nettezza che tre dee molto superbe e insofferenti di vincoli si sottopongono a lui su una controversia essenziale. Esse si rimettono a lui perché decida addirittura sulla portata gerarchica del loro potere.

Chiamato a scegliere fra tre bellezze, in definitiva Paride deve scegliere fra tre doni. La bellezza di ciascuna si traduce in ciascuno dei premi di cui essa dispone e che attiene da vicino al suo potere qualificante e alla sua natura specifica.

Vi attiene così da vicino che la vera offerta risulta essere proprio la sottomissione e il servizio della dea stessa.

A chi mai sarebbe riconosciuta una simile dignità se non a un dèmone particolarmente elevato?

Peraltro, nel nucleo fondamentale del mito, i premi appaiono tutti e tre nella disponibilità del giovane eroe; se egli sceglierà, sceglierà comunque in un ambito e in un piano rispetto al quale egli viene riconosciuto perfettamente adeguato.

Dalla storia di Paride apprendiamo altresì un altro tratto importante, che egli era un grande arciere e che toccherà a lui – celato dietro la statua di Apollo – di colpire a morte Achille, il terribile vittorioso nemico di Troia.

Paride e Apollo non sono apparentati in modo tanto solidale unicamente in questa occasione finale; la spia della loro intercambiabilità sta nel racconto principale. Qui il giovane eroe incarna una delle espressioni del dio solare e si mostra come un suo dèmone.

Il possesso della più donna bella, la sapienza che rende invincibili, il dominio dell’Asia (la terra dell’oriente) – tutti e tre sono privilegi caratteristici del dio del sole nascente.

Era - Musei Vaticani
Era – Musei Vaticani – Opera fotografica di Lorenzo Scaramella

I tre premi e le tre dee, sebbene in alternativa, si presentano in stretto collegamento: la saldatura del loro rapporto si realizza proprio in Paride e in ciò che egli simboleggia.

Ciascun premio non è scontato, non è una concessione senza contropartita; costituisce una prova, un destino, una sorte da vivere.

Del resto, ognuno dei tre doni contiene prospetticamente anche gli altri, ognuno di essi mette in primo piano un aspetto particolare di un complesso inscindibile. Elena non è semplicemente una donna, è anche Asia–oriente e sapienza vittoriosa. Egualmente Asia non è un continente e basta, è anche la donna più desiderabile e la vittoria sapiente; e quest’ultima a sua volta comprende le altre due e in esse si spiega.

In ultima analisi, Paride scegliendo uno dei doni ha scelto la porta per ottenerli tutti. Data l’interrelazione essenziale dei tre privilegi, il senso della proposta era di scegliere da dove cominciare la prova.

Il carattere iniziatico dell’episodio del giudizio è molto netto. Le dee tentano il giovane, lo mettono alla prova. Questi sono i gradi della tua trasvalutazione, di quella che compete alla tua natura principesca, da quale vuoi cominciare? Quale di noi vuoi che ti assista e ti offra i suoi carismi per prima?

Il giovane sta di fronte alla prova della donna impersonata in tre forme e in tre carismi.

In ciascuno dei tre casi, l’effetto della trasvalutazione e il fine dell’iniziazione è di divenire sole levante.

Divenire, in breve, il dèmone di Apollo, come tutti i racconti concludono.

Il sole levante è il guerriero vittorioso, è il padrone della preda solare più ambita – Elena –, è il signore di Asia–oriente.

Infine Paride sceglie la donna, la donna per eccellenza, selene, la splendente, la luna; non come succube, bensì come signore. Questo passaggio è essenziale per definire la struttura del suo percorso iniziatico.

Colui, dunque, che possiede la donna–selene–luna si introduce al potere della vittoria e al dominio dell’oriente.

Per divenire autentico sole levante è necessario rompere il vincolo del ventre della notte e disporre dell’elemento femminile in soccorso e in integrazione di sé.

L’uomo irrisolto e uterino, sottostante al ciclo della Madre, embrionale, fallico–generativo, sarebbe servo della donna, sarebbe servo di Asia, estraneo alla sapienza del vittorioso e pertanto incapace di vittoria.

Il giovane eroe, al contrario, è messo di fronte al favore e all’aiuto delle tre potenti e non sottomesso al loro capriccio. La donna, la vittoria, Asia non sono sue dominatrici, sono nelle sue mani.

Egli è oriente.

Giuseppe Lampis


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