I Terapeuti di Alessandria Filosofia e guarigione dell’anima secondo Filone

(da àtopon Vol. V)

Julien Ries

I terapeuti

Nel suo trattato La vita contemplativa Filone D’Alessandria, contemporaneo di Cristo, dipinge una società di filosofi asceti vissuti sul bordo del lago Mareotide in Egitto1. «La scelta di questi filosofi è immediatamente sottolineata anche dal nome che essi portano – scrive Filone – Terapeuti e Terapeutridi è il loro vero nome, innanzitutto perché la terapeutica di cui fanno professione è superiore a quella che vige nelle nostre città ; questa si limita a curare i corpi, ma l’altra cura anche le anime (psychos) in preda alle malattie penose e difficili da guarire che i piaceri, i desideri, le preoccupazioni, i timori, le avidità, le sciocchezze, le ingiustizie e l’infinita moltitudine delle altre passioni e miserie fanno abbattere su di loro. Ed ancora perché hanno ricevuto un’educazione conforme alla natura e alle sante leggi, al culto dell’Essere che è migliore del bene, più puro dell’uno, più primordiale della monade” (vc 1-2)

Così Filone dà due sensi alla parola Terapeuta: da una parte curano e guariscono le passioni e dall’altra rendono culto a Dio.

Il loro quadro di vita

Filone di Alessandria
Filone di Alessandria

Filone situa la colonia dei terapeuti su una collina di mezza altezza al disopra del lago Mereotide, eccellente situazione in ragione della sicurezza del luogo, della temperatura equilibrata dell’atmosfera, degli effluvi del lago, del clima molto salubre (vc 22-23). F Daumas ha localizzato questo luogo tra il lago Mareotide e il mare, non lontano da Alessandria, dal lato ovest davanti alla villa di Taposiride, regione in cui erano stati innalzati numerosi monasteri, forse proprio sul luogo dove avevano vissuto i terapeuti. Su tutta la costa sono d’altronde presenti antiche vestigia2.

I terapeuti hanno iniziato con l’abbandono dei beni ai figli, alle figlie, ai parenti o amici, in quanto l’essenziale era costituito dal desiderio di immortalità e di vita felice. Inoltre, invece di lasciar rovinare la loro fortuna sceglievano la filosofia per loro stessi, ma lasciavano agli altri la ricchezza e la sua gestione (vc. 13, 17). Essi fuggono la città e cercano la solitudine al di fuori delle mura della città, in giardini e luoghi isolati (vc. 18-20). Le loro case, molto semplici sono protette contro il sole e contro il freddo, separate l’una dall’altra, ma in grado di permettere la vita in comunità e il mutuo soccorso in caso di bisogno (vc.24). In ogni casa si trova un santuario o eremitaggio che permette di adempiere i misteri della vita religiosa. Qui essi non portano né bevande, né alimenti, né alcun altra cosa che possa riguardare i bisogni del corpo, ma oracoli, leggi, inni, tutto ciò che permette alla scienza e alla pietà di divenire grande e di raggiungere la pienezza (vc. 25). Questi terapeuti non sono asceti che cercano la pazienza, ma mistici che si danno alla contemplazione. Conducono una vita austera al fine di riservare forza e tempo alla vita interiore: non bevono che acqua, non mangiano che pane e sale condito con isopo. Si vestono di lino e si astengono da ogni cibo in cui ci sia del sangue (vc 73).

La loro vita religiosa

Una delle due zone della loro casa è dedicata alla contemplazione di Dio e delle potenze divine, a tal punto che i loro sogni ne portano traccia. Hanno l’abitudine di pregare due volte al giorno, mattina e sera; all’alba essi chiedono una giornata felice, veramente felice, cioè che la luce celeste si riversi sulla loro intelligenza; al tramonto pregano perché la loro anima, completamente placata dal tumulto dei sensi e dagli oggetti sensibili, raccolta nel suo consiglio e nel suo foro interiore, segua le vie della verità (vc 27-28). Tra questi due momenti di preghiera, essi si danno alla lettura delle sante Scritture. I loro libri sono opere che spiegano il senso allegorico dei testi sacri. Filone insiste evidentemente sull’esegesi allegorica dei libri santi e degli autori antichi, ma non ci dà precisazioni. Egli ha forse in mente alcune speculazioni egiziane, simili a quelle del De Iside.

Oltre alla meditazione, hanno un posto di rilievo nella loro vita la composizione di canti e di inni in lode a Dio. Durante sei giorni, il programma è identico e i terapeuti rimangono nei loro eremitaggi, liberi dalle preoccupazioni materiali, ma anche da ogni affetto e da ogni relazione. Vivono in un clima propizio alla meditazione, in una fraternità tra persone solitarie. Per i terapeuti, si tratta di vedere chiaro, di impegnarsi nella contemplazione dell’essere per arrivare alla felicità perfetta al fine di divenire luce per gli altri.

La riunione comune del settimo giorno

Il settimo giorno tutta la comunità si raccoglie per una riunione comune in una sala divisa in due parti, l’una per gli uomini, l’altra per le donne. Il rituale di questa riunione è una celebrazione è molto precisa: i partecipanti sono seduti per ordine di età, in atteggiamento di grande dignità, con le mani sotto i vestiti; il più anziano e il più versato nella dottrina avanza e fa un’esposizione che differisce per profondità da quella di coloro che fanno i retori e i sofisti, perché deve raggiungere l’anima. Anche le donne, separate da un muro di tre o quattro gomiti d’altezza, ascoltano gli oratori (vc. 31-33).

In questo giorno santo e festivo, massaggiano il corpo con l’olio per distenderlo e, secondo la loro usanza, non mangiano e non bevono che al tramonto: le occupazioni filosofiche sono degne di luce, i bisogni del corpo possono trovare soddisfazione la notte.

La solenne assemblea del cinquantesimo giorno

Attraversamento del Mar Rosso Biagio d'Antonio - Cappella Sistina
Attraversamento del Mar Rosso
Biagio d’Antonio – Cappella Sistina

Dopo un periodo di sette settimane, i terapeuti si riuniscono con la più solenne maestà. Vestiti di bianco e radiosi, allineati davanti a letti di tavola, alzano gli occhi e le mani in direzione del cielo per chiedere a Dio che la festa gli sia gradita (vc. 66). Dopo le preghiere, gli anziani, considerati secondo la loro data di ammissione alla comunità, prendono posto, da un lato a destra gli uomini, dall’altro a sinistra le donne che hanno mantenuto la castità per il loro zelo appassionato di saggezza (vc. 67-68). Distesi su semplici letti di foglie, ricoperte da tovaglie fatte con il papiro del paese, sono serviti non da schiavi, ma dai novizi della comunità scelti secondo il rango del merito (vc 69-70).

Prima dell’inizio del banchetto il presidente fa un’omelia, incidendo lentamente le idee nelle anime: spiegazione delle sante Scritture a seconda del significato allegorico, al fine di evidenziare la bellezza straordinaria dei simboli e delle idee e di risalire dal visibile alla contemplazione dell’invisibile (vc.78). Seguono il canto di un inno da parte del presidente e la ripresa dei ritornelli e delle antifone da parte di tutta l’assemblea.

Quando questi canti sono terminati, comincia il pasto: pane lievitato con del sale mescolato all’isopo come condimento. Poi tutti si alzano per celebrare la veglia sacra con due cori, di uomini e donne, nella sala del banchetto. « A volta cantano all’unisono, a volte battono le mani in cadenza e danzano con canti che si rispondono, eseguendo su un ritmo divinamente ispirato sia i canti di processione, sia di stanze, eseguendo le strofe e le antistrofe della danza dei cori» (vc 84-85). Quindi i due cori si mescolano e divengono uno, come già in altro tempo sul bordo del Mar Rosso dove si è compiuto il miracolo della liberazione del popolo, quando il profeta Mosé intonò i canti. In effetti questa veglia del cinquantesimo giorno ricorda la liberazione di Israele in viaggio verso la Terra promessa. Al termine di questa notte, al levarsi del sole, tendono le mani verso il cielo e con un’ultima preghiera domandano una giornata felice, la conoscenza della verità e la chiarezza di giudizio e ciascuno si ritira nel suo santuario.

I Terapeuti di fronte alle malattie della civiltà ellenistica

Nel suo De vita Contemplativa, Filone oppone i terapeuti ai sofisti, agli adoratori dei semi-dei della corrente evemerista della sua epoca, agli adoratori di immagini e di statue degli dei e a tutti coloro che si danno alle orge dei banchetti greci. Tutto ciò rappresenta malattie penose e difficili da guarire. In altre parole, Filone stigmatizza le malattie della civiltà ellenistica.

I terapeuti del lago Mareotide hanno scelto la terapia in grado di procurare loro la guarigione della psiche (psykas), in accordo con l’essere e l’immortalità3.

La loro terapia si svolgeva in tre tappe. La prima tappa, quella dei sei giorni della settimana, ha luogo per ogni uomo e donna – tutti dediti alla castità totale – nel monasterium della sua casa: silenzio, lettura, contemplazione, digiuno rotto soltanto al calare della notte da un pasto fatto di pane condito con sale, isopo ed annaffiato con acqua della sorgente. Ciascuno inizia e termina la sua giornata con la preghiera. La seconda tappa, quella del settimo giorno, si svolge nel santuario in cui si riunisce l’assemblea comune degli uomini e delle donne, separati da un muro di quattro gomiti. E’ il giorno sacro della terapia liturgica: ascolto della Torah spiegata e commentata, pasto in comune. E’ anche il giorno durante il quale ognuno massaggia il suo corpo con l’olio per distenderlo. La terza tappa è quella della grande terapia, la veglia del cinquantesimo giorno, poiché il numero cinquanta è il più santo e il più conforme alla natura. La sera del quarantanovesimo giorno ha luogo la grande assemblea solenne. Tutti sono vestiti di bianco, iniziano con il prendere un pasto frugale e passano la notte in una veglia sacra fatta di letture, di preghiere e di canti. Questa veglia è in ricordo delle opere di dio compiute attraverso l’intermediazione di Mosé sui bordi del Mar Rosso in favore della liberazione definitiva del popolo.

Julien Ries

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NOTE: 

1) F. Daumas, P. Miquel, Philon d’Alexandrie, De Vita Contemplativa introduction, notes, texte grec, trad. française, Cerf, Paris,1963. J. Y. LeloupPrendre soin de l’Etre. Philon et les Thérapeutes d’Alexandrie, Albin Michel, Paris,1993. Trad. Franc. et commentaire.

2) F. Daumasop. cit. pp. 42-45.

3) M. Simon, L’ascetisme dans les sectes juives, in U. Bianchi (a cura di) La tradizione dell’enkrateia, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1984, pp.393, 431.

 


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