Dio non si occupa di cose spicciole

Giuseppe Lampis

Allo stesso modo che non si può vivere il mito in diretta, egualmente il Signore del Principio non si occupa direttamente di specifiche articolazioni delle vite e in definitiva non si occupa di nessuna palpitante singolarità.

Max Scheler

Non sappiamo quale geometria o quali sistemi di calcolo segua il logos del Re del Mondo. Non sappiamo se Platone o Galilei, se Leibniz o Cantor, se la qabbalah o i babilonesi abbiano intravvisto i numeri della sua lingua. In ogni caso, chi ci ha provato è arrivato a capire che egli dal suo orizzonte trascendentale si esprime per universali, e dunque per modi, forme, regole, principi, e dalla sua scala non potrebbe scendere con una brusca scorciatoia dritto nei particolari e nelle cose spicciole.

Egli non si cala nell’applicazione variamente empirica degli universali e la lascia ai suoi ministri e servitori.

In quale maniera gli universali possano comunicare con i particolari, data la eterogeneità delle due nature, è stato uno dei grandi misteri di ogni religione e di ogni filosofia.

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Secondo Dionigi devono, perciò, esserci le gerarchie celesti. I gradi tra l’uno e la molteplicità sono necessariamente molti e la continuità del processo di risalita in dio della storia universale esige di essere mediata da una gerarchia dialettica.

Da qui la speculazione sulle gerarchie celesti alla ricerca dei rapporti interni all’universo. In un universo in cui si manifesta un principio spirituale, la scala dei gradi sarà scala di spiritualità, una gerarchia di angeli.

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Dio non si occupa dei singoli direttamente, nel senso che per noi significa «direttamente», bensì innanzitutto per linee universali, inviando le epoche e i dèmoni.

Ogni epoca ci trasporta come un treno da cui non possiamo scendere. Che cosa facciano i passeggeri in dettaglio è quasi scontato e perciò non mette conto di frugarlo. Gli uomini fanno costantemente le stesse cose e comunque applicano in continuazione due o tre tendenze abituali. Queste sono inspirate da un piano superiore che è stato variamentedenominato, da dèmoni guardiani o potenze angeliche, da archetipi a paradigmi. Possiamo dire che l’Artefice si interessa delle vite individue per modelli e per universali, impostando le tendenze e il campo in cui i singoli si troveranno a esercitarsi. Lo fa volta per volta secondo un suo intimo insondabile interesse e i suoi interessi sono ampi al pari della sua altezza.

Gli uomini, facendo le cose secondo poche modalità permanenti, alla fin fine fanno principalmente e per lo più le stesse cose; stanno su un treno istradato su un binario di cui unicamente l’Uno conosce la destinazione e la direzione determinata che è stata impressa.

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Sugli e negli uomini agisce il Sacro, mysterium fascinans tremendum energicum (Rudolf Otto, Das Heilige 1926).

Energicum.

Viaggio notturno e ascesa al cielo del profeta Maometto

I fati «volentem ducunt, nolentem trahunt». Trascinare è antipatico e meno efficace, specie perché non si guida mediante un sapere quanto piuttosto mediante un vivere impressioni; meglio perciò convincere della finzione che siano i sottomessi a decidere.

Dal sesso al denaro, dalle ideologie alla tecnica, le riformulazioni sono infinite e pochissime nello stesso tempo. Il timore del mistero rifrange in mille volti la sua unica faccia.

Una sola schiaccerebbe, sicché distribuisce e dosa le scosse della frusta. Non si può vivere il mito in diretta, e soprattutto non si deve.

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Ci sono, poi, gli uomini superiori, per anima e per nascita. Superiori e integrati, ma – diceva Hegel – quelli non sono semplici uomini se non per il cameriere che al massimo arriva a vedere le loro mutande.

Quelli sono epoche e modelli in atto, uomini cosmico–storici, weltgeschichtliche Männer,e in essi dio risolve qualche problema suo.

Beati gli amici che essi ammettono e beati chi li riconosce e segue, e ancora più beati quanti essi riconoscono e chiamano con sé nelle prove che servono a formare perfino dio.

Per inquadrare il discorso, possiamo recuperare da un filosofo che per un certoperiodo fu cattolico, Max Scheler, il suo pensiero dimenticato del «dio in fieri»: l’idea che dio non è un ente compiuto ab initio e che a compierlo sia il cammino etico dell’umanità.

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Come vivere il mito in diretta è una malattia dell’anima, probabilmente la principale, così il medico dell’anima dovrebbe curarla imitando il Signore del Principio che non si occupa di cose spicciole ma interviene sulle forme profonde.

La psicologia non ha alcuna chance se non procede conformemente a dio. Realizzare una simile iniziazione è impresa assai ardua, eppure è quello che le grandi culture hanno tenuto gelosamente al proprio centro.

Tutti in ogni epoca e sotto ogni cielo cercano il patto con dio (patto è la medesima parola di pace), tutti invero cercano di agire con lui o eguale a lui, perfino il folle è folle per credersi capace di tanto da sé solo.

I romani lo trovano nella pax deorum, Eraclito nella sintonia con la parola che apre mondi, Paolo nel crocifisso porta stretta della risurrezione, gli indiani nel sacrificio culminante e riassuntivo, i fabbri sciamanici nella trasvalutazione alchemica del piccolo sé nel grande Sé.

Il patto è per tutti sebbene non sia da tutti; è un mistero pericoloso da avvicinare e sostenere. È facile cadere nell’illusione e scambiare il diavolo con dio, ciò non ostante il patto si può aprire all’infinito e alla riappropriazione della vita infinita.

Giuseppe Lampis


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