1. Globalizzazione: marketing o umanizzazione globale?
L’umanità sta ormai entrando sempre piu’ in una nuova fase di incontro e convivenza fra gli abitanti del pianeta terra, fase caratterizzata da una sempre maggiore vicinanza fra tutti i popoli, a tutti i livelli. Grazie ai mezzi di comunicazione e alle tecniche dell’informatica ora ogni barriera sembra essere superata e ogni singolo individuo, ogni gruppo sociale, può mettersi in diretto contatto con tutti gli abitanti del pianeta. Questa nuova situazione dell’umanità è stata definita con l’ormai famosa espressione di ‘villaggio globale’ o di ‘globalizzazione’. 1
Tale nuova situazione dell’umanita’ però pone anche nuove ed urgenti problematiche: di che tipo di globalizzazione si tratta? Che tipo di villaggio globale stiamo costruendo? Stiamo creando solo un ‘marketing globale’, dominato dai grandi imperi finanziari e dai loro interessi? O stiamo costruendo invece un villaggio umano come luogo di incontro per una comune umanità, per mettere in atto una globalizzazione umana che dovrebbe portare alla fine ad una più vasta e profonda umanizzazione dell’umanità, cioè ad ‘umanizzazione globale’ degli abitanti del pianeta Terra? Questi interrogativi dovrebbero diventare oggetto di una riflessione sempre più seria e impegnata da parte di tutti, soprattutto da parte dei responsabili dei destini dei popoli. Nessuno può ormai vivere ai margini del fenomeno della globalizzazione che caratterizza il tempo presente del nostro pianeta. Occorre assumere la presente situazione con responsabilità e dare ad essa una risposta, sia sul piano teorico che pratico, che porti verso una vera e reale ‘umanizzazione globale’ dell’umanità.
Il fenomeno della globalizzazione può essere letto, credo, in una prospettiva più ampia e profonda che non sia quella contingente del marketing globale. Il presente processo di globalizzazione non puo’ essere un accadimento puramente casuale, esso può essere compreso invece all’interno del processo più generale dell’evoluzione dell’umanità. L’umanità infatti appare, secondo i dati scientifici più attendibili, sulla via di un gigantesco processo di evoluzione che la porta dallo stadio di semplice ‘ominizzazione’ (con tale termine si indica la prima apparizione dell’uomo come specie biologica distinta dalle altre specie animali) allo stato di ‘umanizzazione’ (con tale termine si indica lo sviluppo dell’essere umano nella totalità ed universalità delle sue dimensioni propriamente umane). Secondo la visione del noto gesuita Teilhard de Chardin (m. 1955), tale processo evolutivo porterebbe infine verso la ‘cristificazione’ dell’umanità (che egli chiama cristogenesi), poiche’ il ‘Cristo totale’ è per l’asse centrale e il termine ultimo dell’evoluzione umana.2 Occorrerebbe infine aggiungere che non e’ pensabile che tale processo evolutivo sia limitato al solo globo terrestre; esso deve necessariamente estendersi all’intero cosmo raggiungibile, verso cui solo da poco tempo l’umanità si sta aprendo. L’essere umano appare infatti come il punto di arrivo del processo cosmico di evoluzione. La globalizzazione quindi rappresenta una tappa verso ciò che potremmo chiamare una ‘cosmizzazione dell’umanità ‘ e, corrispondentemente, una ‘umanizzazione del cosmo’. Attraverso questo processo l’umanità assumerà sempre più il cosmo come spazio della sua realizzazione, e il cosmo, a sua volta, troverà nell’umanità la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, ‘i gemiti della creazione’ di cui parla Paolo in Rom. 8, 18-23.
Noi tutti siamo quindi coinvolti in questo un enorme processo di evoluzione di cui non siamo in grado per ora di misurarne tutte le dimensioni, ma a cui tutti siamo chiamati a partecipare: si tratta di portare l’umanità al suo sviluppo totale, rendendola in tal modo sempre più ‘umana’. E questo, occorre pure sottolinearlo, lo possiamo fare già partendo dal nostro piccolo quotidiano, umanizzando sempre più noi stessi, l’ambiente in cui viviamo e le persone che stanno attorno a noi. Nessuno è escluso da tale processo, per quanto piccolo e limitato possa sembrare il suo ruolo concreto; in realtà le vere dimensioni della opera del singolo essere umano vanno calcolate sul piano del complessivo processo del cammino umano cui tutti sono chiamati a partecipare… nessuno escluso.
Però tale enorme processo è pensabile in termini di una reale possibilità di attuazione solo a condizione che l’umanità sopravviva ai rischi insiti nella sua evoluzione… perché il vero pericolo per la specie umana non proviene tanto dall’esterno, quanto dall’interno dell’uomo stesso (secondo quanto le grandi religioni e le grandi filosofie umanistiche hanno da sempre affermato)…. L’uomo infatti può sempre diventare ‘un lupo per il suo simile’ ( homo homini lupus ), come afferma un vecchio adagio che ha trovato purtroppo molti, anzi troppi, riscontri tragici nella storia umana fin dai tempi di Caino ed Abele . Anche il grande psicologo Carl Gustav Jung (m. 1961) affermava che il vero pericolo per l’umanità proviene proprio dalla psiche umana, di cui non si conoscono ancora tutti i misteri, o meglio tutti gli abissi. Concludendo la sua ultima intervista data alla BBC nel 1959 affermava “…. l’essere umano non può sopportare a lungo un’esistenza senza senso”. In una simile situazione infatti l’uomo cercherà qualsiasi via di uscita… anche la più pazzesca e disperata fino… all’autodistruzione, perché ove la sua esistenza perde il suo senso, tutto il resto perde il suo senso con essa.
E’ quindi nella perdita o nella caduta del senso del suo esistere e del suo vivere che si situa il vero pericolo dell’umanità nel suo futuro, ed è qui che si gioca il senso della globalizzazione umana. Per questo motivo, credo, le religioni sono chiamate ad assumersi una grande responsabilità verso il nostro tempo presente: esse sono chiamate a dare una parola decisiva di speranza e di salvezza all’uomo della globalizzazione per dare base e sostegno al suo essere ‘umano’, ed orientarlo così verso una globalizzazione umanizzata o una umanità globalizzata.
La globalizzazione quindi si presenta quindi come una gigantesca, affascinante ma anche rischiosa sfida che tocca proprio l’umanità stessa dell’uomo. E il dilemma che si propone è: o l’uomo diventarà più ‘umano’ ed allora avrà un futuro, o rischia di sparire come essere umano, anche se al limite potrà sussistere come un ‘perfetto essere robotico’.
Ci sono due realtà che, a mio parere, minacciano l’essere umano come tale nell’attuale processo di globalizzazione, mettendone a rischio la sua stessa esistenza.
a. L’atomismo individualista e il marketing globale
Questo è uno dei frutti della modernità in cui il singolo è stato esaltato come il centro di tutto, quasi un assoluto, senza regola né condizione che gli venga dall’alto o dal basso, dall’interno o dall’esterno. Però, come è stato notato da parecchi studiosi, questo essere umano ‘atomizzato’ è proprio quello che va bene al tipo di società tecnologico-consumistica che si è imposta nel nostro tempo moderno e post-moderno. Questo individuo isolato, che sembra onnipotente nel suo ambito personale, è in realtà un docile strumento in balìa della società consumistica, fatto questo che può essere facilmente constatato nel nostro quotidiano e nei modelli di vita propagandati dai nostri media. Il risultato di tale atomizzazione dell’umanità sembra essere da una parte una caduta totale di valori etici, e dall’altra una progressiva e totale ‘robotizzazione’ dell’umanità consumistica.
Questo processo tecnologico-consumistico inoltre è manovrato in ultima istanza dai grandi ‘controllori’ dell’economia mondiale e dai loro interessi… e si sa quale lotta senza quartiere avviene nelle alte sfere dell’economia mondiale per il controllo del marketing globale. In tal modo sembra realizzarsi a pieno l’adagio che bene esprime la situazione drammatica in cui la nostra umanità contemporanea è situata: “L’uomo ha creato la macchina e si è trasformato a sua immagine e somiglianza”. Il risultato di tale processo di robotizzazione consumistica si fa visibile nell’attuale processo di sfruttamento e di depauperamento dell’ambiente umano sia culturale che fisico, in un modo mai visto nella storia umana. Le varie culture umane che da secoli hanno costituito la linfa vitale di tanti popoli sono ora appiattite e assorbite in un unico modello mondiale di cultura standardizzata, modello creato e imposto mediante un’asfissiante propaganda finalizzata a mettere tutta la società umana al servizio del ‘consumismo globale’ pianificato e diretto dagli imperi finanziari mondiali.
Allo stesso modo l’ambiente fisico viene sfruttato nel modo più vorace e devastante, come fonte illimitata di risorse per tale consumismo globale, senza alcun riguardo e rispetto per la natura fisica e le reali capacità del nostro pianeta il quale sembra ormai essere destinato ad un degrado per molti aspetti irreversibile e irrimediabile. Il presente processo di globalizzazione appare quindi accompagnato, quasi inevitabilmente, anche da un processo di degradazione globale che va alla fine sfociare in una totale caduta di valori umani, facendo retrocedere in tal modo l’umanità verso uno stadio che già a suo tempo Carl Jung qualificava come ‘barbarie moderna’, cioè un comportamento sub-umano che sembra diventare sempre più una caratteristica dell’uomo della società della tecnologia consumistica moderna e post-moderna. Del resto basta girare per le giungle delle nostre metropoli, o guardare molti titoli degli spettacoli dei nostri media per vedere segni evidenti di tale ‘imbarbarimento moderno’….
b. Il sorgere di nuovi tribalismi etnici, culturali e religiosi.
D’altra parte, sia come reazione all’atomismo individualista della società contemporanea che come rifiuto delle ideologie assolutiste che hanno dominato la nostra storia recente, sembra che sia in atto in molte aree umane il ritorno ad un tipo di mentalità che puo’ essere qualificata come un ‘tribalismo culturale’, con cui molti gruppi umani cercano la propria identità in un ricupero dei valori culturali tradizionali delle loro culture.
Il noto politologo americano Samuel Huntington in Scontri di civiltà ha da tempo segnalato che i futuri scontri fra gruppi umani non saranno più scontri basati su differenti ideologie totalizzanti, ma sulle diverse culture e civiltà che formano la base dei gruppi umani .3 Con il tramonto delle grandi ideologie mondiali che hanno dominanto la scena mondiale dei secoli XIX e XX, come il marxismo e i vari tipi di nazionalismo, i gruppi umani tendono ora ad indentificarsi sempre più con le proprie origini culturali, religiose ecc. Il ricupero di tali valori tradizionali dovrebbere essere un fenomeno positivo. Si può però facilmente notare che quando tale indentificazione avviene in modo ‘tribale’, cioè in uno spirito di esculsività e di ostilità verso gli altri gruppi e le altre culture, si creano dei tribalismi culturali e religiosi che, sostenuti da forti interessi politici ed economici, diventano fonti di scontri e guerre feroci, con conseguenze catastrofiche ed imprevedibili, come molta storia recente dimostra. Si pensi, ad esempio, ai recenti conflitti che hanno devastato e devastano tante regioni umane (ex-Yugoslavia, Africa, Indonesia, Afganistan, Iraq ecc). Per tale motivo diventa un imperativo urgente prendere e far prendere coscienza dei vari tipi di tribalismo che sconvolgono il nostro villaggio globale, e lavorare per creare le premesse di un loro superamento.
Anche qui, credo, il ruolo delle religioni è e sarà determinante. La religione infatti rischia di essere catturata nel gioco tribale della nuova umanità ‘globale’, come nel passato lo fu per i vari tipi di imperialismo che hanno dominato le società umane. Nella presente umanità ‘globalizzata’ infatti le guerre non si scatenano più fra villaggi diversi come nel passato, ma, e in modo non meno feroce, fra i quartieri e le strade dello stesso villaggio globale. E’ importante quindi che ogni religione, prendendo coscienza del pericolo di essere strumentalizzata da tale nuova violenza tribale, operi coscientemente per un superamento del proprio tribalismo, rifacendosi alle grandi ricchezze di saggezza della propria tradizione in un atteggiamento di apertura e dialogo con le altre religioni.
E’ stato spesso ripetuto recentemente (vedi, ad esempio, il programma per un etica globale del teologo tedesco Hans Küng) che nell’umanità attuale non ci può essere pace fra le nazioni se non c’è una pace fra le religioni. Le religioni dell’umanità devono quindi trovare e sostenere i principi di un comune umanesimo globale su cui costruire dei nuovi rapporti di convivenza che superino le tradizionali mentalità di conflitti ‘tribali’. Una profonda conversione è urgentemente richiesta, conversione che parta dalla base, cioè da ogni singolo individuo, per allargarsi a tutto il villaggio umano. Non ci si può aspettare dei veri cambiamenti dalle strutture esteriori se i singoli non sono coinvolti in prima persona in tale processo.4
Occorre sottolinare infine la grande importanza che ha nel nostro ‘villaggio globale’ il quartiere islamico sia per la sua storia passata che per la sua presenza attuale. Si tratta di più di un miliardo di persone in rapida e continua espansione. Appare quindi estremamente importante fare in modo che tale quartiere diventi esso pure parte positiva e costruttiva della convivenza pacifica con gli altri quartieri del villaggio globale, superando i demoni del tribalismo religioso che lo sconvolgono.
2. La religione nella globalizzazione: suo ruolo.
La religione è coinvolta nella globalizzazione in quanto questa, come abbiamo visto, è un problema che tocca il senso ultimo dell’essere umano. Il fenomeno della globalizzazione infatti, come è stato sottolineanto, non è un fenomeno a senso unico, ma si presenta profondamente ambivalente. Esso può risolversi sia in senso positivo, verso cioè una maggiore umanizzazione dell’uomo, sia a livello dell’individuo che della comunità. Ma può risolversi anche in senso negativo, verso cioè una totale disumanizzazione dell’essere umano fino al rischio della sua sparizione fisica. Dato che è un problema profondamente umano, la globalizzazione interessa la religione e questa si sente chiamata a portare un contributo decisivo per una soluzione positiva della vicenda umana.
La religione infatti, occorre pure sottolinearlo, non tocca semplicemente la periferia dell’essere umano, come è il caso per altri ambiti come la politica, l’economia, l’arte ecc. La religione tocca di fatto il nucleo fondamentale dell’esistere umano, là in cui si tratta del senso ultimo e del destino definitivo della sua esistenza, e quindi della sua salvezza o dannazione. La religione riguarda l’essere umano là dove questi si mette in rapporto con l’Assoluto, cioè con il Principio e il Fine del suo esistere, e dove è chiamato quindi a prendere la decisione definitiva e determinante di se stesso.
L’uomo moderno, dopo aver tolto il fondamento ultimo del suo agire etico, cioè l’Assoluto, Dio, ha cercato di fondare tali valori etici su altri fondamenti, cioè sulle varie ideologie che hanno dominato l’universo culturale del nostro mondo fino ad un tempo recente. Credo non ci sia ora pensatore serio che non metta per lo meno qualche punto interrogativo su tale impresa-pretesa, tipica del razionalismo moderno. La storia moderna ha dimostrato nel modo più eloquente che le varie ideologie che hanno voluto sostituirsi a Dio, hanno di fatto precipitato l’umanità in baratri abissali di assolutismo, alienazione e sfruttamento, in breve in una vera e propria ‘barbarie moderna’, come l’ha classificata Carl Jung. C’è stata, e continua ad esserci, quasi una caduta a domino dei valori umani, in cui alla fine sembra prevalga solo il singolo, nel suo atomismo individualista in cui impera incontrastata la legge suprema dell’interesse individuale e null’altro. Tale crisi del razionalismo moderno era stata da tempo denunciata da molti avveduti lettori della modernità fin dal suo inizio, che da questo punto di vista sono stati veri profeti. Basti pensare al grande scrittore russo Fiedorov Dostoiesvkj, al nostro poeta Giacomo Leopardi e al filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, tanto per citare alcuni nomi. Essi tutti hanno messo in luce la mistificazione radicale del cosidetto ‘progresso’ umano moderno, basato sulla pura scienza e sulla conseguente impresa tecnologica. La caduta di senso umano di tale impresa tecnologico-scientifica ha prodotto la reazione del pensiero post-moderno che ha messo in piena evidenza i limiti della ragione assolutista moderna. Le varie ideologie moderne hanno dimostrato alla prova dei fatti di non avere una base sufficente per sostenere i valori umani fondamentali.
Occorre aggiungere tuttavia che, se e’ vero che nella nostra umanità post-moderna c’è una nuova ricerca di umanità più genuina e sincera, lontana dai dogmatismi ideologici di un recente passato, tale ricerca pero’ e’ accompagnata spesso da una diffusa ‘atomizzazione’ dei valori umani, cioe’ di una loro frantumazione arbitraria, cui si rinuncia a trovarne un fondamento stabile. Di conseguenza si assiste al diffondersi di un assoluto atomismo individualista e irresponsabile che, sotto l’etichetta giustificatrice del cosidetto ‘pensiero debole’, si sente libero da ogni vincolo. E’ in tale contesto di crisi di valori, drammatico per la nostra umanita’, che la religione in quanto tale, e quindi ogni singola religione, è chiamata a dare un apporto fondamentale per la fondazione ed il sostegno dei valori umani.
Però la religione stessa (e quindi ogni singola religione, visto che la situazione esistenziale dell’umanità è quella di un pluralismo religioso) per poter presentarsi con un certo grado di credibilità all’uomo del villaggio globale deve sottoporsi ad un serio processo di critica e di purificazione. La stessa religione infatti (e quindi ogni singola religione) non si presenta nella storia umana con le mani pulite. Quattro mi sembrano essere le istanze con cui ogni religione nel nostro tempo presente deve confrontarsi per potere presentarsi come fattore di positiva crescita nel nostro villaggio globale: l’originalità, la modernità, il dialogo e la giustizia. Riassumo sinteticamente il senso di questi termini, rimandando al libro citato, dedicato a tale tema.5
a. originalità : ogni religione e’ chiamata rivisitare il proprio messaggio originale, recuperandone il senso primo al di là di tutte le varie interpretazioni e le spesse incrostazioni storiche, in cui molte volte tale messaggio è stato offuscato se non tradito.
b. modernità : ogni religione deve anche confrontarsi seriamente con la modernità uscendo da una visione mitologica, in cui per secoli ha vissuto, per entrare decisamente in una visione critico-scientifica di sé e degli altri elaborata secondo i criteri della la scienza moderna. Il passaggio alla modernità non è opzionale, ma entra necessariamente nel processo dello sviluppo umano.
c. dialogo: ogni religione è chiamata pure a mettersi in un dialogo serio e costruttivo con le altre religioni, uscendo dall’auto-centrismo ed dall’auto-referenzialità tipici della storia di molte religioni. La propria identità, ora nel contesto del presente villaggio umano globale, non deve essere cercata nel rifiuto dell’altro e del diverso, rifiuto basato molte volte su ignoranza e molti pregiudizi, ma in un incontro positivo con esso. Anzi si può e si deve dire che una religione sarà tanto più se stessa nella misura in cui sarà capace di aprisi ad un dialogo positivo con le altre religioni, dialogo basato su di una reale conoscenza della realtà dell’altro.
d. giustizia: ogni religione è chiamata infine ad impegnarsi seriamente per la giustizia nel mondo. Il problema della giustizia, che riguarda il rispetto dei diritti umani intesi in modo totale e per tutti, e tale campo si estende anche al rispetto per l’ambiente umano e naturale, deve entrare come parte essenziale di ogni religione.
3. La mistica e… la globalizzazione.
Se il dialogo interreligioso è estremamente importante per il superamento dei vari tribalismi che minacciano l’esistenza del nostro villaggio globale, occorre dire che tale dialogo deve partire da e ritornare a ciò che è il cuore dell’esperienza religiosa, cioè l’esperienza mistica.
a. La mistica come esperienza della realtà umana nel suo profondo.
Il termine ‘mistico’, con i suoi derivati, è stato banalizzato nella nostra cultura di massa imposta dai media del consumismo globale. Esso è stato ridotto a significare quanto c’è di più stravagante, illogico e strano nei vari campi dello show consumista, al punto che si parla con tutta disinvoltura della mistica dello sport, dei profumi, della macchina ecc.
Occorre evidentemente riportare il termine ‘mistico’ al suo senso vero, originario e profondo. Anche qui senza ripetere quanto è stato detto altrove, indico solo alcuni tratti del senso del termine .6
Il termine ‘mistico’ indica ciò che c’è di più profondo e vero nell’esperienza umana, ciò che c’è di più segreto e nascosto in essa che non è né esposto né disponibile per essere manipolato dalla curiosità indiscreta e dagli interessi superficiali del pubblico. Mistico significa ciò che è reale, anzi ciò che vi è di più vero e reale nel segreto del cuore umano, là dove l’uomo si incontra con l’Assoluto e con Lui celebra il suo incontro trasformante. Prendere sul serio tale dimensione fondamentale dell’essere umano, volerla verificare nel proprio esistere quotidiano, scommettere su di essa la propria vita: questo significa entrare nella dimensione mistica.
b. La mistica come esperienza di Dio come il Mistero assoluto.
Occorre poi dire che l’esperienza mistica si rivela come un’esperienza altamentre drammatica; essa infatti riassume e concretizza il dramma radicale dell’essere umano. Questi infatti è l’essere chiamato all’incontro con Dio, come il Mistero assoluto. Ma tale Assoluto, termine ultimo delle aspirazioni del cuore umano e meta ultima del suo pellegrinare nel tempo, si rivela in ultima analisi come ciò che vi è di più indispensabile e necessario all’uomo, ma nello stesso tempo come ciò che è più indipendente da lui e che può essere ricevuto solo come libero dono e grazia, al di fuori di ogni manipolazione umana. L’uomo infatti può incontrare l’Assoluto solo là dove questi si fa incontrare. Quindi il dramma della ricerca umana può essere riassunto nei seguenti termini: l’uomo è quell’essere che è alla ricerca del senso più profondo e reale del suo esistere, cioè di ciò che vi è di più indispensabile e necessario per lui. E tuttavia egli non può raggiungere tale meta ed ottenere tale scopo se non come assoluto dono e pura grazia. Tale esperienza dell’Assoluto è il cuore di ogni vera esperienza mistica, e quindi di ogni vero mistico.
L’esperienza mistica ci porta ad un livello che sta chiaramente al di là di ogni formulazione logico-razionale. Qui si tratta prima di tutto di esperienza, cioè di un’esperienza personale, esistenziale, in cui la persona umana entra in contatto col Mistero divino. In tale incontro, come le testimonianze dei mistici di tutte le religioni rivelano chiaramente, accadono cose ‘che nessun occhio umano ha visto e nessun orecchio umano ha udito’. I mistici che hanno avuto un vera esperienza di Dio, come incontro con l’Assoluto, hanno sperimentato che tutti i limiti in cui le nostre esistenze umane sono immerse ed incatenate, i limiti cioè del tempo e dello spazio, sono stati in un certo senso superati. Sotto tale aspetto la mistica, se compresa e vissuta nel suo intento più profondo, porta al di là delle particolarizzazioni culturali che condizionano la nostra esperienza umana. Essa infatti intende incontrarsi proprio con la Realtà Assoluta, che come tale non può essere possesso particolare e geloso di alcuno. Là ‘solo lo Spirito è legge’, dice S. Giovanni della Croce; là l’essere umano si riveste degli attributi divini, dicono i mistici musulmani. In ogni caso i mistici parlano in un linguaggio che solo chi ha avuto tale esperienza può capire. L’esperienza mistica si colloca in definitiva al di là delle formulazioni teologico-razionali, poiché essa è esperienza della Realtà, non un discorso astratto su di Essa.
La mistica quindi, cuore dell’esperienza religiosa, deve diventare il luogo privilegiato del dialogo interreligioso, come base per un serio dialogo interculturale. Un dialogo interreligioso che non arrivi ad una comunicazione al livello dell’esperienza spirituale è un dialogo ancora monco, incompleto. L’esperienza mistica tende ad andare oltre i limiti esteriori della legge anche rivelata, e della ragione teologica che vuole sottoporre tutto alla sua misura raziocinante. Essa tende infatti al ‘faccia a faccia’ con la Realtà Assoluta, e quindi essa è e deve diventare sempre più il luogo di superamento dei vari tribalismi culturali e religiosi che rompono l’unità del villaggio umano.
Intendo indicare qui alcuni campi in cui tale dialogo inter-spiriutale o inter-mistico può e deve realizzarsi, avendo di mira in particolare il mondo islamico, campo del mio interesse e delle mie ricerche. Tali criteri, credo, possono essere applicati analogicamente a tutte le altre grandi esperienze mistiche della storia religiosa dell’umanità.
Naturalmente, prima di poter mettersi in dialogo, occorre avere una seria conoscenza dell’altro. Per me, come cristiano, questo significa che avere una conoscenza seria, fatta con empatia e simpatia della realtà della mistica islamica, o sufismo, per cui rimando a quanto ho scritto altrove su tale soggetto.7 Qui intendo solo accennare a tre tappe in cui, a detta degli autori mistici musulmani stessi o sufi, si struttura l’esperienza mistica in Islam.
L’esperienza sufi parte sempre dalla legge divina, cioè la sharî’a, che in quanto legge rivelata da Dio non può e non deve essere manipolabile dagli uomini. Questo è il punto di partenza per ogni cammino sufi: nessuno può pretendere di essere sufi se non osserva la legge divina ( sharî’a ) rivelata da Dio. Questo è quanto viene affermato dai maestri sufi di tutti i tempi.
Ma la legge è solo il quadro esteriore dell’esperienza mistica; il fedele è chiamato a realizzare le realtà interiori e più profonde della legge intese da Dio, cioè a conformarsi alle qualità divine. Questo è lo scopo ultimo della vita del credente, scopo che è realizzato attraverso il cammino o la via mistica ( tarîqa ), fatto in genere sotto la guida di un maestro spirituale.
Però lo stadio finale di tale cammino spirituale non può essere uno stato di perfezione puramente umano. Questo sarebbe, a detta degli autori sufi più accreditati, un tipo di idolatria ( shirk ), il peccato più grave condannato dall’Islam. Il fine ultimo del cammino sufi non può essere che la Verità -Realtà suprema ( haqq – haqîqa ), cioè Dio stesso, che è il termine ultimo di tutti i simboli religiosi. Il sufi quindi, in forza della sua chiamata interiore, è chiamato a passare dalla esteriorità delle forme all’esperienza interiore personale e viva, cioè al ‘gusto’ ( dhawq ), della Realtà divina stessa, senso e scopo ultimo del suo cammino. La storia però dimostra che molte volte questo cammino porta il sufi ad esperienze ed espressioni che sembrano contraddire la prima tappa, quella cioè della legge e delle sue formulazioni razionali. Questo conflitto, in cui la bianca rosa dell’esperienza mistica dei sufi è stata sovente imporporata con il rosso del loro sangue, secondo una diffusa immagine-simbolo della loro esperienza, sembra un dato ineliminabile dal mistero dell’incontro di due libertà : quella dell’uomo e quella di Dio, l’Assoluto. Quest’ultima infatti è una Libertà che sempre sorprende e scandalizza quanti rimangono legati all’esteriorità della legge, dei simboli religiosi e delle loro formule.
Con tali premesse entriamo ora nei campi indicati in cui è possibile e, direi, doveroso l’incontro fra le varie esperienze mistiche, quelle del Cristianesimo e dell’Islam in particolare. Li chiamiamo spazi o luoghi di incontro, perché essi indicano problematiche che sono comuni a tutte le esperienze mistiche, problematiche cui queste sono chiamate a rispondere. Leggere la propria esperienza mistica in dialogo e scambio con altre esperienze simili è utile, anzi necessario ed indispensabile nel nostro tempo. Incoraggianti tentativi in tale campo si possono trovare negli scritti di molte persone che nel nostro tempo hanno tentato, e continuano a tentare tale cammino di dialogo interreligioso a livello spirituale, come il sufi e studioso musulmano Sayyed Hossein Nasr, il monaco benedettino Bede Griffith, e il monaco buddista Thich Nhat Hanh, e tanti altri.8
B. Spazi di dialogo fra mistica cristiana e sufismo
1. Dalle misteriose profondità dell’anima umana…
Ogni mistica sia nel Cristianesimo che nell’Islam, come pure nelle altre religioni, si presenta anzittutto come un’esperienza del ‘sé’ umano, cioè di ciò che c’è di più vero e profondo nell’essere umano. I mistici sono i primi ad affermare che l’essere umano non è semplicemente una cosa fra le cose, che esso non può essere ridotto all’insieme dei suoi componenti fisio-biologici. L’essere umano ha delle profondità da cui scaturisce la sua vera identità, profondità indicate comunemente con il termine ‘anima’ ( psychè , nafs ). Sondando le profondità dell’anima umana i mistici sono testimoni che questa è legata misteriosamente, ma realmente alla sua sorgente prima, l’Assoluto. L’essere umano è essenzialmente l’essere della trascendenza verso l’Assoluto: questo è l’illimitato, non-comprensibile e non-afferrabile, ma sempre presente Orizzonte di ogni attività umana in quanto tale, soprattutto nei suoi atti fondamentali di conoscenza, amore e libertà. Questo assoluto, illimitato Orizzonte è percepito dall’essere umano come il Mistero trascendente e santo verso cui il suo cammino è diretto.
L’essere umano infatti è stato definito come ‘il pellegrino dell’Assoluto’. Questa è la sua struttura ontologico-esistenziale che si manifesta in tutta la fenomenologia del suo comportamento. L’essere umano è quell’essere inquieto che nulla appaga; egli porta dentro di sé una domanda di senso che mai si esaurisce e che continuamente lo incalza: l’essere umano è destinato a trascendere se stesso. Il suo punto di riferimento è sempre un Orizzonte lontano, al di là di tutto ciò che da vicino lo circonda. Ma, pur lontano, quell’Orizzonte è una realtà che tutto avvolge ed in tutto è presente. L’essere umano si sente inevitabilmente proiettato fra due abissi: o l’elevazione infinita o la caduta infinita. Egli infatti pur esistendo nei limiti del tempo e dello spazio, aspira continuamente a qualcosa che li trascende. Come crisalide prigioniera, egli tende a trasmutarsi in un essere nuovo e libero; come feto fragile ed incompleto, egli si sente destinato ad essere rigenerato in un essere adulto e perfetto. Sotto ogni punto di vista l’uomo è quell’essere che è mosso da un desiderio profondo, da una sete insaziabile, da una inquietudine radicale che in nulla si appaga e nulla può appagare. E questo perché egli nel profondo del suo essere sa di essere orientato verso ciò che non ha limiti, l’Assoluto: sia che tale desiderio affiori esplicitamente alla sua coscienza, sia che esso rimanga implicito nei suoi atti di conoscere, amare e decidere in libertà e responsabilità. Questi sono gli accenti, i desideri e le elevazioni che troviamo nei mistici di tutti i tempi. Questo è ciò che essi intendono quando parlano delle profondità della persona umana, della sua interiorità, della sua anima o del suo spirito.
L’essere umano quindi è chiamato a passare per l’intima dinamica che lo muove dal finito all’infinito, dall’esteriore all’interiore, dal molteplice all’Uno. Ed è proprio la perdita di questa dimensione spirituale, che è poi la vera ed autentica dimensione mistica, che costituisce la causa della profonda crisi dell’uomo moderno. Questi infatti, nonostante il grande progresso scientifico-tecnico realizzato mediante lo sviluppo e l’applicazione delle scienze positive, sembra aver perso il senso della propria esistenza, della sua vera identità umana. L’uomo moderno si trova, come abbiamo accennato sopra, in uno stato di disgregazione, di caduta in un esteriorismo vuoto e sempre più meccanicizzato e robotico. Nel mondo moderno infatti sembra realizzarsi sempre più il detto: “L’uomo ha creato la macchina, e si è trasformato in sua immagine e somiglianza”, anzi egli si è messo al suo servizio.
Invece è proprio la ricerca spirituale che realizza l’essere umano nel suo profondo facendolo diventare sempre più umano, cioè facendolo passare dallo stato di ‘ominide’ (come semplice specie animale) allo stato di ‘umano’, come essere cosciente e responsabile del suo destino. E’ interessante notare che la radice indo-europea per designare l’essere umano, *men/man (tedesco mann , inglese man , in sanscrito mánu ), che sembra essere relazionata alla radice del termine ‘mente’ (latino mens , greco mnêmê , germanico * mind , sanscrito mánas ), denota in primo luogo il pensiero e la coscienza come prima caratteristica dell’essere umano: fra tutti gli animali l’uomo si manifesta come quell’essere che ‘pensa’, e cioè che sa, è consapevole ed ha coscienza di esistere.
Far ricuperare quindi all’essere umano la sua dimensione di ‘essere-per-la-trascendenza’, come homo viator , cioè come essere in cammino orientato ed aperto all’incontro con l’Assoluto, rimane uno dei compiti fondamentali delle religioni in generale, e dei loro cammini mistici in particolare. Su questo punto possiamo trovare una larga convergenza fra i mistici di tutte le religioni, e questo può diventare un fecondo campo di dialogo fra di loro, anche se ciascun cammino mistico segue dei percorsi specifici tracciati dalla propria tradizione religiosa. Anche i sufi, i mistici musulmani, hanno lasciato pagine di interessanti riflessioni sulla reale ‘vocazione’ dell’uomo, come essere orientato essenzialmente a Dio. Al centro della loro riflessione sta infatti un noto hadith (detto attribuito a Muhammad, Profeta dell’Islam) che afferma: “Colui che conosce se stesso (lett. la sua anima, nafs ), conosce il suo Signore ( rabb )”.9 I sufi infatti hanno sperimentato che nel fondo dell’anima umana c’è un riferimento radicale, un’apertura ontologica verso il suo Signore, l’Assoluto. Questo hadith, com’è noto, è stato il motore e il centro di ricche speculazioni dei sufi sull’anima umana ed i suoi stati. Queste possono essere riassunte in due linee fondamentali di riflessione.
a. Il cammino sufi e le sue tappe.
Il sufismo ha sviluppato assai presto un’analisi attenta e dettagliata degli stati interiori dell’essere umano. L’essere umano infatti non nasce già perfetto, ma deve camminare verso la sua perfezione attraverso tappe e stadi molteplici. L’idea del cammino (in arabo sulûk ), delle sue tappe ( manzil, maqmt ), dei suoi stati interiori ( ahwl ), ha occupato grande parte delle riflessioni dei sufi. E’ qui che si è innestata in Islam l’idea della ‘via mistica’ ( tarîqa ), che si è poi organizzata anche esteriormente a tale scopo. C’è un’immensa letteratuta al riguardo e su questo punto si trovano facilmente paralleli nelle altre mistiche. Nel Cristianesimo, ad esempio, abbiamo tutta una vasta letteratura sulle ‘scale del paradiso’, come pure in esso classica è rimasta la divisione delle tappe della vita interiore in via purgativa, via illuminativa, via unitiva. Occorre però sottolineare che il fine ultimo del cammino mistico non sono gli stati interiori (cercati in modo a volte ossessivo da certe mistiche ‘deviate’): il fine ultimo del cammino mistico è e rimane l’incontro, l’unione con l’Assoluto, unico termine ultimo del peregrinare umano. I grandi maestri mistici di tutte le grandi tradizioni religiose metteranno sempre in guardia i loro discepoli dal pericolo di cadere nel tranello di scambiare gli stati interiori con il loro termine ultimo. C’è qui il rischio di cadere in ciò che i sufi hanno sempre denunciato come idolatria, cioè ‘l’associazionismo nascosto’ ( al-shirk al-khafî ), che consiste nel mettere qualcosa alla pari, insieme con Dio: questa è considerata la più grave mancanza nel cammino sufi.
b. Le dimensioni dell’essere umano.
Il cammino mistico, facendo incontrare l’uomo con Dio, lo conduce alla scoperta e realizzazione delle sue dimensioni ontologiche fondamentali. Nella visione islamica l’essere umano è qualificato da tre categorie fondamentali: egli è il servo ( ‘abd ), il vicario o luogotenente ( khalîfa ) e l’immagine ( sûra ) di Dio .10
L’essere umano è prima di tutto ‘il servo di Dio’ ( ‘abd Allh ), egli è cioè totalmente relazionato a Dio, in assoluta dipendenza ontologica da Lui. Il qualificativo di servo (‘abd) non significa uno svilimento dell’essere umano, come una superficiale lettura può fare credere, ma esso è invece la fonte e la ragione della nobiltà dell’essere umano. Attuando totalmente e coscientemente tale dipendenza assoluta da Dio, l’uomo-servo (‘abd) incontra un Signore che lo onora, facendolo partecipe della sua signoria sulle creature, in forza della quale l’uomo viene chiamato ad essere il ‘vicario’ o il ‘luogotenente’ (khalîfa) di Dio sul creato. Tutto ciò però è fondato su di una realtà ontologica fondamentale: l’essere umano è stato creato ad ‘immagine’ (sûra) di Dio. Egli quindi può e deve riprodurre in sé i tratti (khuluq) di Dio: “Rivestitevi dei tratti di Dio”, è pure un importante hadith che è diventato uno dei punti base del cammino sufi.11 Tutto ciò è infine sfociato in molte correnti sufi, in quella di Ibn ‘Arabî in particolare, nell’elaborazione dell’idea dell’Uomo perfetto (al-insn al-kmil): l’essere umano è visto come il micro-cosmo, specchio delle qualità divine e sintesi delle manifestazioni del Reale-Assoluto (haqq) nell’universo (khalq). L’essere umano quindi è chiamato, secondo tale visione sufi molto seguita nelle ‘vie’ sufi (turuq), a realizzare la completa manifestazione del Reale-Assoluto in una unione profonda di Reale creante-creatura ( haqq – khalq ) e di Signore-servo: egli diviene alla fine il servo-signoriale ( ‘abd rabbnî ), rivestito cioè delle qualità del suo Signore.
Queste speculazioni dei sufi ricordano certamente dei temi simili nella mistica cristiana. Anche nella visione cristiana l’essere umano è servo-immagine di Dio, incaricato della cura della sua creazione. Allo stesso modo le speculazioni dei sufi sull’idea dell’Uomo perfetto ( al-insn al-kmil ) possono essere messe in parallelo con quelle dei mistici cristiani sulla ‘divinizzazione’ ( theopoiêsis-theiôsis ) dell’essere umano, con beninteso tutte le differenze provenienti dalle differenti visioni di fede. Nella visione cristiana infatti non si tratta solo di partecipazione alle qualità divine, ma alla vita divina stessa nella sua fonte eterna che è la Comunione trinitaria. Non c’è dubbio tuttavia che uno approfondito scambio fra tali visioni ed esperienze potrebbe risultare illuminante per tutte e due le tradizioni mistiche.
In conclusione, l’antropologia dei sufi musulmani e dei mistici cristiani può offrire ampi spazi per uno scambio, in cui si può realizzare una mutua comprensione ed arricchimento. In tale spazio un dialogo fra le due tradizioni spirituali non solo è possibile, ma altamente desiderabile e, senza dubbio, proficuo per tutti. Questi temi poi dovrebbero aprire ampi spazi per una collaborazione concreta, diretta a salvare l’uomo contemporaneo, come è stato detto, dal pericolo di una sua disgregazione totale e dalla sua caduta nel vuoto di valori che sembra condurlo, sotto la spinta dell’ideologia dell’attuale consumismo tecnologico, in una pericolosa robotizzazione a tutti i livelli. Appare quindi chiaro che la vera mistica in tutte le religioni ha come compito fondamentale quello di salvare e realizzare nel modo più vero e profondo proprio l’umanità stessa dell’uomo portandolo all’incontro con la sua Origine e il suo Fine: l’Assoluto stesso.
2 ….attraverso le incognite dimensioni del cosmo.
L’essere umano è collocato in un universo che si estende e si amplifica verso dimensioni sempre più vaste e misteriose. E tuttavia è in esso e attraverso di esso che egli è chiamato a realizzare la sua perfezione, il suo cammino verso l’Assoluto. Anche questo punto può divenire un ampio e fecondo campo di scambio e dialogo fra le due tradizioni mistiche, cristiana e islamica. Ambedue le tradizioni infatti affermano che l’universo non può essere ridotto a ‘semplice materiale’ manipolabile a piacere dall’uomo: l’universo è invece lo spazio del cammino umano verso l’Assoluto.
a. La perdita del senso spirituale dell’universo.
Un maestro sufi contemporaneo, Sayyed Hossein Nasr, afferma che l’universo nella visione sufi ha due dimensioni o due aspetti fondamentali: uno mutevole ed uno permanente. L’aver dimenticato l’aspetto della permanenza di esso per concentrarsi solo sull’aspetto della mutabilità e della sperimentabilità empirica è stato, secondo S. Hossein Nasr, il grande sbaglio della scienza moderna. Questo fatto ha portato ad una visione secolarizzata dell’universo, alla distruzione della sua dimensione sacra, e come consequenza anche alla distruzione della dimensione sacra dell’uomo in esso situato, fino al punto di smarrirne completamente il senso. Infatti, avendo ridotto l’universo a ‘oggetto di uso e consumo’, come pura materia manipolabile a suo piacere, l’essere umano ha finito per ridurre anche se stesso a puro ‘oggetto di uso e consumo’ in balìa della tecnologica consumistica moderna. Di conseguenza si è avuta una caduta totale di valori, ed un concentrarsi solo sugli aspetti materiali e utilitaristici della natura che ha portato ad uno smodato sfruttamento delle sue risorse.
Le conseguenze di tale atteggiamento però si fanno sentire ormai al punto che anche i secolaristi cominciano ad accorgersi che occorre un progetto di sviluppo ‘più olistico e piu’ umano’, basato su di una visione totale ed integrale dell’universo, cioè di una visione olistica di esso e dell’essere umano in esso situato. Essi però, i secolaristi, negando il rapporto con il Trascendente hanno ormai perso la chiave di una lettura ‘spirituale’ della realtà. Per questo occorre ritornare a ciò che Hossein Nasr chiama la ‘scienza qualitativa’ delle grandi tradizioni religiose che da sempre hanno letto l’universo come l’essere relativo, mutevole, che deve essere necessariamente rapportato all’Assoluto permanente che lo sostiene. Il senso profondo infatti del relativo e contingente è di essere manifestazione dell’Assoluto e Necessario. Isolato in se stesso il relativo perde il suo senso vero ed il suo orientamento radicale, e cade nel non-senso, nel vuoto ontologico, che porta necessariamente ad un vuoto etico-morale. Questa è la malattia mortale da tempo denuncitata dai più acuti analisti della situazione esistenziale dell’uomo nella modernità.
b. Per un armonia fra scienza e sapienza.
E’ solo ricuperando il senso ‘spirituale’ dell’universo che la scienza moderna potrà uscire dal pericolo di divenire fattore di distruzione e non di sviluppo dell’universo, e dell’umanità in esso situata. L’uomo infatti deve ricuperare il profondo senso simbolico della natura, come manifestazione dell’Assoluto. Nella cosmologia antica ciò era indubbiamente più facile. L’universo era immaginato come composto da una serie di livelli di esseri che si estendevano dalla terra ai cieli, e il tutto era orientato spontaneamente verso il ‘Supremo sedente sul suo trono che tutto sovrasta e contiene’ (Corano 2, 255). In questa visione il cosmo esteriore (l’universo) trovava facili paralleli con il cosmo interiore (l’anima umana): l’essere umano infatti era concepito come il micro-cosmo, specchio-immagine del macro-cosmo. Una lettura ‘spirituale’ dell’universo era indubbiamente più facile per gli antichi.
Ora però, con i progressi della scienza moderna, tale lettura ‘spirituale’ dell’universo è diventata più difficile. La moderna visione dell’universo ha indubbiamente frantumato l’armonia, i simbolismi ed il senso della visione antica. Noi fatichiamo ora ad integrare nella nostra spiritualità la moderna visione di un universo in espansione-evoluzione, sorto dal Big-bang iniziale, e mosso quasi ‘a caso’ da formidabili forze, di cui solo ora cominciamo conoscerne la dinamica, forze che sembrano operare senza un chiaro scopo prefisso, anzi secondo alcuni, senza nessuno scopo. Lassù non ci sono più cieli abitati da forme angeliche con influssi benefici o malefici sugli abitanti del pianeta terra, ma solo ammassi di galassie in rapidissima espansione, agitate dalle quattro forze fisiche fondamentali (almeno per quanto ne sappiamo ora), e dirette non si sa dove. Di qui l’interrogativo: che senso ha tutto questo per la vita spirituale? E’ possibile continuare in una dicotomia tra la visione scientifica e la visione mistica dell’universo? E’ sufficente ripetere nei nostri testi gli schemi cosmologici del passato, quando ormai viviamo nella visione di una realtà completamene diversa?
Queste domande richiedono una risposta che rimane in gran parte una sfida formidabile per tutte le mistiche e le spiritualità contemporanee. Le soluzioni mitologiche sono sempre una tentazione, perché più facili ed immediate, ma a lungo andare non reggono ad uno stretto confronto con i dati della scienza. Da parte cristiana ci sono stati alcuni tentativi di risposta, a tali problematiche, il più noto dei quali è quello del gesuita paleontologo Pierre Teilhard de Chardin (m. 1955). Egli ha cercato una integrazione teorica ed esistenziale fra i dati della scienza moderna e la visione cristiana dell’universo, sviluppando una mistica ‘della terra’, partendo cioè dal cosmo come è descritto dalla scienza moderna, e integrando tale visione scientifica in una adeguata visione cristiana in cui il Cristo totale diviene il punto Omega verso cui sale l’evoluzione cosmica. Teilhard de Chardin è stato un grande ispiratore per molte persone che sono alla ricerca di un’armonia ed una complementarietà fra scienza e fede. Tuttavia anche la sua non può essere considerata la risposta definitiva alle domande ‘cosmologiche’ della spiritualità contemporanea in confronto con lo sviluppo scientifico moderno. La ricerca in tale senso deve continuare.
Anche da parte islamica una simile riflessione sembra possibile, riprendendo certe interessanti intuizioni sul cosmo che si trovano in sufi come Ibn ‘Arabî, Jall al-Dîn Rûmî, ed altri.
In conclusione, anche qui, nel rapporto dell’essere umano con l’universo che lo circonda, troviamo ampi spazi per un incontro e dialogo fra esperienze le diverse mistiche, in particolare fra quella cristiana ed musulmana, per un impegno comune nella ricerca di una visione olistica dell’universo che integri i dati della scienza con l’esperienza religiosa, visione questa che sembra piu’ che mai necessaria all’uomo contemporaneo. Tale dialogo inter-spirituale deve sfociare in un efficace impegno per una nuova prassi che salvi l’essere umano e il suo ambiente dalla distruzione del consumismo tecnologico contemporaneo.
3. … verso l’abisso del mistero di Dio.
L’essere umano trova la sua identita’ piu’ profonda, come e’ stato affermato sopra, quando si rapporta con la sua Origine prima e il suo Fine ultimo, cioe’ con l’Assoluto. E’ nel suo rapporto con Esso quindi che l’essere umano trova o ri-trova la sua identità più profonda.
a. L’essere umano come essere per l’Assoluto.
Ma l’Assoluto, termine ultimo delle aspirazioni del cuore umano, non può essere un prodotto dell’uomo stesso; sarebbe un idolo, quindi un inganno profondo e radicale sulla stessa identita’ umana. Quindi l’Assoluto, meta ultima del pellegrinare umano, si rivela in ultima analisi come ciò che vi è di più indispensabile e necessario all’uomo stesso, ma, anche come ciò che è più indipendente da lui e che può essere ricevuto solo come libero dono e grazia, al riparo da ogni presa o manipolazione umana. L’Assoluto infatti è e rimane sempre sovranamente libero di se stesso: Egli si comunica come vuole e dove vuole, senza previe condizioni impostegli da chicchessia. Questo è il cuore di ogni esperienza mistica, ed anche su tale punto troviamo convergenze e consonanze interessanti fra le varie tradizioni mistiche, e fra quella cristiana e islamica in particolare. Noto è l’apologo del sufi persiano Farîduddîn ‘Attar (d. 627/1230), nel suo libro Parole di uccelli . Quando i trenta uccelli (simbolo dei sufi alla ricerca di Dio) giungono alle porte del palazzo di Sîmûrgh, l’uccello misterioso della Cina (simbolo dell’Essere divino), si sentono rispondere che se essi hanno bisogno di Lui, Lui non ha bisogno di loro: Dio è pur sempre l’Autosufficente, l’Indipendente ( ghanî ) dalle sue creature e dalle loro richieste.
Ma l’ Assoluto, deve per forza rimanere solo un orizzonte lontano, una meta asintotica verso cui l’uomo proietta la sua esistenza senza nessuna risposta? L’essere umano, deve restare necessariamente ai margini del Mistero divino, senza possibilita’ di gettare uno sguardo nelle Sue profondita’? E l’Asssoluto, deve necessariamene rimanere in un certo senso prigioniero della sua trascendenza? Non può Egli farsi presente nella storia e svelarsi esplicitamente al pellegrino umano? E chi può porre previe condizioni all’essere ed all’agire dell’Assoluto? Il cammino verso di Lui, se vuole essere un’autentica ricerca di Lui, non può essere fatto che nell’umile attesa di un suo possibile avvento nella storia umana. L’inesausta attesa umana può essere considerata come il solo presupposto che Egli stesso ha messo nel cuore dell’uomo per potersi svelarsi e donarsi a lui, secondo la nota espressione di S. Agostino: “Tu ci hai fatti per Te [o Signore] e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” ( Confessioni 1, 1).
L’esperienza comune di tutti i mistici di tutte le tradizioni religiose testimonia che è necessario uno svuotamento totale dell’essere umano davanti all’Assoluto in modo da essere riempito di Lui solo. I sufi hanno parlato a lungo del fan’ (annientamento) e per giungere al baq’ (sussistenza in Dio), termini che richiamano il ‘tutto e nulla’ ( todo y nada ) di tanta parte della tradizione mistica cristiana.
Quando l’Assoluto irrompe nella storia umana, questa assume allora un senso nuovo e una dimensione diversa: i suoi segni, pur presi dal mondo creato, si rivelano carichi di sensi e orizzonti nuovi, che trascendono i limiti del creato. I mistici sono coloro che hanno sperimentato ed espresso nel modo più reale questa inesausta tensione fra il creato categoriale e l’Assoluto trascendente. Il vero mistico, a qualunque tradizione religiosa appartenga, è colui che ha vissuto nel modo più radicale tale incontro con l’Assoluto e, come Mosè, sul monte Sinai, ne è stato trasfigurato. E’ su tale esperienza personale che nasce in lui una sensibilità particolare verso ogni altra esperienza dell’Assoluto. Questa forse è la ragione per cui i mistici delle differenti tradizioni religiose hanno una strana sintonia di sentimenti e una impressionante affinità di espressioni. Essi si sono infatti avvicinati alla stessa sorgente ed hanno attinto dallo stesso pozzo la stessa acqua che contiene in sé tutti i più diversi sapori.
b. Il Dio ‘il più grande e il più vicino’.
L’Assoluto quindi viene sperimentato dai mistici allo stesso tempo nella sua trascendenza e nella sua immanenza, nella sua unità e nella sua molteplicità, nella sua semplicità e nella sua varietà. Nessuno di tali aspetti può essere isolato e negato, perché appunto l’Assoluto in quanto tale non può essere che la coincidentia oppositorum , la sintesi degli opposti, o meglio il superamento degli opposti, al di là cioè delle distinzioni limitate e limitanti poste dalla ragione misuratrice e calcolatrice ( ‘aql ), come i mistici di tutte le religioni non si stancano di ripetere. Il mistico, a differenza del teologo, non ha paura di immergersi nelle aporie dei paradossi dell’Assoluto che sorpassano le nostre categorie razionali, e questo perché il mistico è guidato da una percezione più profonda della realtà. L’Assoluto infatti si presenta sempre come il Mistero che è compreso tanto in quanto non è compreso, perché “… se lo comprendi, non è Dio” (S. Agostino). Anche questo tema può, e deve, diventare un campo di ampio e aperto scambio fra le varie tradizioni mistiche.
Nel pensiero islamico il problema della proclamazione dell’unità di Dio ( tawhîd ) unita alla realtà dei suoi attributi ha affaticato a lungo il pensiero dei teologi senza arrivare ad una soluzione chiara, ma finendo nel silenzio del ‘non chiedere perché’ ( bil kayfa ). Credo che solo nei sufi tale problema ha ricevuto una soluzione più reale perché essi non hanno avuto paura di inoltrarsi nei ‘paradossi dell’Uno’. Per il sufi andaluso Ibn ‘Arabî, ad esempio, il sommo della proclamazione dell’unità di Dio ( tawhîd ) non è nell’affermazione di un’astratta unità divina, come è intesa dalla maggior parte dei credenti, ed anche dai teologi musulmani. Il vero tawhîd per Ibn ‘Arabî consiste infatti nell’affermare l’unità divina nella molteplicità delle sue auto-manifestazioni ( tajalliyyt ): queste auto-manifestazioni sono aspetti del Reale-Assoluto ( haqq ) che è sempre e nello stesso tempo Uno e molteplice, Creatore e creatura, a seconda dei punti di vista sotto cui lo si considera. Il Reale-Assoluto ( haqq ) inoltre non deve essere concepito in uno stato di immobile stasi, ma come un inesausto dinamismo di essere, mosso da una misteriosa forza originaria, trascendente e creatrice: l’Amore ( hubb ). Il movimento originale per cui l’Essenza divina (‘il tesoro nascosto’ del noto hadith) si manifesta in una serie infinta di auto-manifestazioni ( tajalliyyt ) è l’Amore ( hubb ). In un celebre passo delle suo libro Perle della saggezza Ibn ‘Arabî proclama:
Il movimento che è l’esistenza del mondo fu un movimento di amore… Senza tale amore il mondo non sarebbe venuto all’esistenza; quindi il movimento dal nulla all’esistenza è il movimento del Creatore verso di essa (esistenza)… Resta quindi provato che il movimento fu un movimento di amore, e che quindi non c’è movimento nell’universo se non in relazione all’amore.12
Sulla base di tale visione molti sufi hanno sviluppato ardite speculazioni sull’Essere divino, frutto di particolari esperienze interiori. Alcuni di loro hanno parlato di una misericordia essenziale ( rahma dhtiyya ), e altri di un’amore originario ( mahabba asliyya ) in Dio stesso: queste sarebbero i motivi-motori della creazione che altro non è che l’auto-manifestazione di Dio da Se stesso a Se stesso in Se stesso. La molteplicità del movimento esistenziale del creato non si trova quindi al di fuori di Dio, ma nell’Essere divino stesso e scaturente dalle sue inesauste capacità creative.
Bastano questi accenni per far vedere come anche qui c’è un ampio spazio per riflessioni che potrebbero portare a dei parallelismi straordinari, impensati finora, fra le varie esperienze mistiche, in particolare quelle delle tre religioni abramitiche.
E’ qui che a mio avviso si protrebbe trovare un punto di incontro su una questione che da secoli ha diviso e contrapposto cristiani e musulmani con reciproci anatemi e condanne, non solo teorici. Intendo lo scontro tra il monoteismo islamico e la Trinità cristiana, dogmi questi, che nella controversia teologica del passato sono stati visti per lo più come posizioni che si escludono e si negano senza alternativa. Non si tratta di annullare le differenze che esistono fra le due tradizioni religiose in un compromesso che sarebbe in fondo un tradimento di ambedue le fedi. Si tratta invece di capire problematiche, simili da molti punti vista, che esistono in ambedue le visioni religiose, e in tal modo aiutare ad una comprensione reciproca superando atavici pregiudizi, dati per lo più come scontati.
Il problema di fondo che si pone a tutte e due le tradizioni è il seguente: Dio, il Mistero ultimo verso cui l’essere umano e’ orientato, deve rimanere necessariamente chiuso nella sua trascendenza, come in un limite a Lui stesso invalicabile, oppure Egli è libero e potente di dare non solamente delle cose e delle qualità (cosa che la tradizione islamica, come pure altre tradizioni mistiche ammettono), ma di comunicare ‘Se stesso’ alle sue creature superando il supposto limite della trascendenza? La fede cristiana si è espressa a tale riguardo in senso positivo basandosi sulla rivelazione di Dio stesso come amore assoluto e incondizionato: “Dio è amore” (1 Gv. 4, 8.16). In tale visione, l’essere-Dio non significa in primo luogo il suo isolamento in un’unità trascendente e assoluta, ma la sua trascendente capacità di comunicare Se stesso, proprio Se stesso, al di fuori di Se stesso, in una auto-comunicazione libera sì, ma anche totale. La fede cristiana vede che la creazione stessa è in fondo una prima auto-comunicazione, che potremmo chiamare ‘esterna’, di Dio. Ma tale auto-comunicazione esterna di Dio ha la sua radice e la sua fonte nell’auto-comunicazione interna di Dio da Se stesso a Se stesso. Dio infatti è per essenza Comunione, perché Dio è in Se stesso l’eterno Amore, eternamente Amante e Amato; questo è il fondo del mistero trinitario. Ed è proprio per questo che Egli crea, ed è proprio per questo che Egli è e rimane libero e capace di comunicare non solo delle cose o delle qualità, ma Se stesso, proprio Se stesso al di fuori di Se stesso alle sue creature che rimangono pur sempre libere di accettare o no tale auto-comunicazione divina. Questa è nella visione cristiana la radice della ‘divinizzazione’ ( theopoiêsis-theiôsis ) dell’essere umano che i Padri della Chiesa hanno espresso nel noto teologoumenon : “Dio si è fatto uomo affinché l’uomo diventi Dio”. Questo tema, come è stato accennato, trova dei paralleli interessanti nelle speculazioni ardite dei molti sufi a riguardo dell’idea dell’Uomo perfetto ( al-insn al-kmil ). Ma qui evidentemente non c’è spazio per inoltrarci in ulteriori considerazioni.
In ogni caso, dovrebbe risultare chiaro, per evitare affermazioni distorte se non false, che il problema dell’unità e della molteplicità in Dio sta ben al di là della semplicistica aporia matematica dell’uno e del tre, come è intesa dai comuni credenti ed è stata fissata dalla tradizionale polemica islamica. Infatti l’aspetto paradossale dell’unità divina è stato in qualche modo intravvisto anche dalle più profonde ed ardite intuizioni dei sufi che sono andati al di là delle astratte categorie razional-teologiche dei teologi. Molti sufi infatti hanno intuito che l’abisso dell’Essere divino è mosso da un’insondabile Mistero di ‘misericordia e amore essenziali’ che hanno mosso il ‘tesoro nascosto’, cioè l’Essenza divina, ad espandersi in una serie infinita di auto-manifestazioni che da Essa partono e ad Essa fanno ritorno.
È pure interessante notare come riflessioni molto simili si trovano in altre tradizioni, come ad esempio nella tradizione Buddhista del Amida Buddha. Il pensatore giapponese Takeuchi Yoshinori parla della trans-discendenza dell’Amida Buddha (come contrapposta alla tradizionale idea della trascendenza divina) con cui questi si comunica ai suoi fedeli e elargisce loro la salvezza.13
Nell’esplorazione del Mistero profondo di Dio si aprono ampi spazi di dialogo e scambio per una mutua comprensione fra le differenti tradizioni mistiche. Le tradizioni mistiche di tutte le religioni infatti sono dei cammini che intendono portare ogni essere umano ad incontrarsi con, anzi ad immergersi nell’abisso del Mistero divino, Mistero sempre pieno di sorprese e di novità, Mistero che sorpassa e trascende sempre ciò che la mente umana può pensare ed il cuore umano può sperare. Ma tale Mistero è stato esperito pure come un Mistero di amore assoluto, un Mistero non solo trascendente, ma trans-discendente, perché ha voluto farsi conoscere e comunicarsi alle sue creature in un modo che pure sorpassa e trascende tutto ciò che la mente umana può pensare e il cuore umano può sperare. Portare l’essere umano a ‘faccia faccia’ con tale Mistero significa fargli realizzare la sua vocazione e la sua indentita’ piu’ profonde. E questo e’ il compito fondamentale ed ultimo di ogni mistica, in tutte le religioni. E questo rappresenta indubbiamente un ampio spazio di incontro, di dialogo fra le religioni.
C. Conclusione: verso il dialogo delle spiritualità o spiritualita’ in dialogo.
Aconclusione di tali brevi accenni ai possibili campi o spazi di dialogo fra la mistica cristiana e il sufismo mi pare importante sottolineare l’urgenza di tale dialogo non solo tra cristiani e musulmani, ma anche con tutte le tradizioni mistiche delle altre religioni senza porre condizioni e limiti. Più che parlare di schemi o teologie di dialogo è importante che le differenti tradizioni spirituali entrino in un dialogo concreto tra di loro, dialogo in cui ciascuna si possa presentare nello stesso tempo con la propria identità ed originalità, unite ad una convinta e provata attitudine di apertura, accettazione e comprensione delle altre tradizioni mistiche, cioè ‘dell’alterità dell’altro’. Le presenti riflessioni hanno inteso illustrare alcuni campi o spazi in cui tale incontro dialogico può aver luogo. Le mistiche delle varie tradizioni religiose, e nel nostro caso delle tradizioni cristiana e islamica, sono urgentemente chiamate ora a dare una risposta ai problemi dell’uomo dei nostri tempi, l’uomo della globalizzazione o del villaggio globlale.
Da molte parti infatti sale insistente l’appello per un ritorno alla ‘ sapientia perennis ‘, cioè a quella saggezza umana basilare, comune a molte tradizioni religiose dell’umanità ; saggezza che è stata da sempre la linfa vitale della storia umana. E’ tale saggezza che è chiamata ora a dare un senso alla nostra storia umana contemporanea, storia in cui l’essere umano è in pericolo di una perdita totale della propria identità umana, in pericolo cioè di essere inghiottito in una ‘robotizzazione’ tecnologica globale e totale. A tale scopo molte persone spirituali del nostro tempo hanno dedicato grandi sforzi per fare incontrare le tradizioni religiose dell’Occidente e dell’Oriente per rifondare su di esse la reale identità ‘umana’ dell’essere umano. Abbiamo già accennato ad alcuni di loro come il musulmano Sayyed Hossein Nasr, il monaco benedettino Bede Griffiths e il monaco buddista Thich Nhat Hanh, e molti altri. Queste persone sono convinte che solo ricuperando le ricchezze spirituali delle varie tradizioni religiose, ora in un sincero clima di dialogo e di collaborazione, in una specie di ecumenismo spirituale interreligioso che poi si traduca in una prassi liberatrice a tutti i livelli, solo così si potrà salvare l’umanità del nostro tempo.
Persone come queste sono estremamente necessarie nel tempo presente per far riacquistare all’uomo del consumismo tecnologico contemporaneo le dimensioni umane della sua esistenza, dimensioni che trovano le loro più vere radici proprio in quella sapientia perennis che nel passato ha ispirato le grandi tradizioni culturali e religiose dell’umanità. L’uomo tecnologico è urgentemente chiamato ora, all’inizio del terzo millennio, a ricorreggere la rotta della sua impresa razional-scientista e tecnologico-consumista per realizzare una profonda sintesi fra scienza e tecnologia da una parte, e saggezza e sapienza spirituali dall’altra. Questo deve essere posto in atto al più presto, se si vuole evitare il pericolo che l’umanita’ si dissolva in quell’atomismo individualista, di cui abbiamo parlato all’inizio, che sembra spingerla verso un auto-annientamento spirituale, che diverrà però inevitabilmente anche fisico.
Questo è cio che predicano i saggi, i profeti del nostro tempo; e speriamo che le loro voci non risuonino in vano nei deserti delle nostre città tecnologiche.
Inoltre le tradizioni mistiche sono chiamate a salvare l’uomo del nostro tempo anche dall’altro pericolo mortale che si sta diffondendo nella nostra società post-moderna: il pericolo del risorgere dei vari tipi di tribalismo in cui la religione è facilmente manipolata a servizio di grossi interessi politici ed economici. Questo discorso interessa in modo particolare vaste aree del mondo islamico che subiscono la violenza di ciò che è conosciuto ormai come l’Islam ‘politico’. E’ infatti questo connubio fra religione ed spirito tribale, che include sempre una forte componente economico-politica, che ha portato e porta alla formazione dei molti movimenti estremisti che seminano guerre e devastazioni ormai in tutto il mondo, islamico e non a livello planetario. Il sufismo, in particolare, è chiamato ad essere un’alternativa all’Islam ‘politico’, tipico di tali movimenti militanti e militaristi dell’Islam.
Il sufismo è chiamato quindi a diventare un fattore di pace e di fraternità nel villaggio globale umano mettendo in primo piano la dimensione spirituale dell’Islam, in cui prevalgono i valori della giustizia, della misericordia e dell’amore. Questa dimensione spirituale scaturisce da una visione fondamentale dell’essere umano che è comune a tutta la tradizione religiosa delle famiglie abramitiche, quella cioè dell’essere umano come ‘immagine di Dio’. Ogni essere umano è tale, e quindi ogni essere umano deve essere rispettato nei suoi valori fondamentali di persona, e fra questi il valore della libertà, in particolare libertà di coscienza, di parola e di comunità. Questo principio, cioè l’essere umano visto come ‘immagine di Dio’, può rappresentare, a mio avviso, una base comune e sufficentemente ampia per unire gli sforzi di tutte le tradizioni spirituali delle famiglie abramitiche per un impegno comune in difesa della dignità della persona umana, di ogni uomo e di tutto l’uomo, rifiutando ogni tentazione di carattere tribalistico, per aprirsi ad una visione più universale ed olistica dell’umanità. Inoltre poi questo dialogo spirituale può e deve essere allargato a tutte le altre tradizioni religiose dell’umanità per diventare, lo si spera, un saldo sostegno per la promozione del dialogo interculturale a tutti i livelli del villaggio globale umano.
Questa è una sfida urgente per la nostra umanità contemporanea, ed in particolare per le religioni che si muovono sulla scena del nostro pianeta. Esse sono chiamate ora ad essere non più strumenti di un potere devastante ( instrumentum imperii ), come lo sono state molte volte, anzi troppe volte nel passato e possono divenirlo tuttora. Esse sono chiamate diventare fattori di fraternità, di convivialità e di pace fra i popoli e le culture del nostro villaggio globale.
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NOTE:
1) Per una informazione generale sul processo di globalizzazione e una bibliografia fondamentale su di esso vedi Carmelo Dotolo, ‘Globalizzazione e Vangelo: mutamenti antropologici e umanesimo cristiano’, in Ad Gentes 6 /2 (2002) 264-278.
2) Per la visione di Pierre Teillhard de Chardin vedi in particolare i suoi libri, Le phenomène humain, Editions du Seuil, Paris, 1955; id., Le milieu divin, Editions du Seuil, Paris, 1957.
3) Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano, 1997, (ed. ingl. The Clash of Civilization and the Remaking of World Orde r, Simon & Schuster, New York, 1996).
4) vedi su tale punto il capitolo ‘L’islam nel ‘villaggio globale’, in Giuseppe Scattolin, L’islam nella globalizzazione, EMI, Bologna, 2004, pp. 63-92.
5) ibid., pp. 73-81.
6) vedi il capitolo ‘Introduzione alla mistica: unità di esclusione o unità di unione’, in Giuseppe Scattolin, Spiritualità nell’islam, EMI, Bologna, 2004, pp. 11-30.
7) vedi il capitolo ‘Il cammino spirituale nell’Islam: cammino sufi e riflessione cristiana’, ibid., pp. 31-56, e l’antolgia storica di testi sufi, Giuseppe Scattolin, Esperienze mistiche nell’Islam, EMI, voll. I-III, 1994-2000.
8) Indichiamo solo alcune opere di questi maestri spirituali del nostro tempo: Sayyed Hossein Nasr, Sufismo, Rusconi, Milano, 1994; Bede Griffiths, A New Vision of Reality – Western Science, Eastern Mysticism and Christian Faith, Fount, London, 1992 (1989); Thich Nhat Hanh, La luce del Dharma. Dialoogo tra cristianesmo e buddhiso, Oscar Mondadori, Milano, 2003 (1999).
9) Questo hadith, comunemente riportato nella tradizione sufi, non trova pero’ riscontro nelle raccolte canoniche, vedi A. J. Wensinck, Concordance et Indices de la Tradition Musulmane, E. J. Brill, Leiden, 1936-1969, 7 voll.
10) vedi il capitolo ‘L’uomo nell’islam’, in Giuseppe Scattolin, Dio e uomo nell’islam, EMI, Bologna, 2004, pp. 36-68.
11) Anche questo hadith riportato dalla tradizione sufi non trova riscontro nelle raccolte canoniche di hadith, vedi Wensinck, Concordances, cit.; vedi il commento di al-Ghazlî in Esperienze mistiche III, pp. 241-242.
12) Ibn ‘Arabî, Fusûs al-hikam, Abû ‘Al ‘Afîfî (ed.), Dr al-Kitb al-‘Arabî, Beirut, 1980, pp. 203-204.
13) vedi Takeuchi Yoshinori, Il cuore del Buddhismo, EMI, Bologna, 1999.