Il gioco delle sorti

Ezio Albrile

La demonizzazione dello spazio cosmico, tipica della mentalità gnostica, sembra reagire a una disciplina delle sorti planetarie, un’antica tecnica divinatoria attraverso la quale si stabilivano i destini individuali. Ciò si attuava mediante due metodi diversi: il lancio dei dadi oppure un calcolo astrologico abbastanza semplice, che partiva dalle posizioni relative del Sole, della Luna e dell’Ascendente nel tema natale. Attraverso di essi si poteva calcolare il locus fortunae di ciascun individuo.

Fig. 2 – Basilica di San Savino a Piacenza

Un trattato astrologico pseudo-ermetico del II sec. a.C., il Panaretos, indicava le sorti dei singoli pianeti nel seguente ordine: la sorte del Sole era il «buon demone»  (Agathos daimōn), quella della Luna la «buona fortuna» (Agathē tychē), quella di Giove determinava la stirpe, e così via… Secondo il Megistē di Claudio Tolemeo, l’Almagesto (Al-majistī) dei levantini, i Pianeti stessi stabilivano le sorti in qualità di daimones: Giove era Agathos daimōn, posto nell’undicesima casa, Venere (Afrodite) era Agathē tychē, Saturno era Kakos daimōn, etc.

La dottrina ermetica non era quindi sfuggita al grande Tolemeo. Mentre l’applicazione pratica del metodo empirico delle sorti, cioè il lancio dei dadi, era formalmente attribuita all’ultimo re egiziano Nectanebo. Ne sono testimonianza le Sortes Astrampsychi, uno scritto oracolare del III sec. d.C. (ma risalente ad archetipi più antichi) attribuito all’evanescente mago egiziano Astrampsico. Il testo nei secoli ha avuto una grande fortuna, basti pensare alle più recenti Sortes Sangallenses e Sortes Sanctorum la cui fama raggiunge il mondo medievale.

Spesso l’estrazione e la disputa delle sortes è rappresentata nel gioco degli scacchi, metafora del fato e della vicenda umana. Nati nell’Iran sasanide, ma di provenienza indiana, gli scacchi giungono in Europa nell’XI secolo circa, grazie probabilmente alla mediazione araba. Giocati su una tavola quadrata composta di 64 caselle di colore bianco e nero, alternate e contrastanti, raffigurano plasticamente il succedersi dei destini cui è sottomessa la vita dell’uomo.

Ne è testimonianza la presenza di scacchi e di scacchiere nell’arte romanica, in particolare nelle decorazioni di mosaici pavimentali. Due manufatti sono significativi a riguardo. Il primo è un frammento di pavimentazione musiva proveniente dalla cattedrale di Santa Maria ad Acqui Terme (Alessandria), attualmente custodito presso il Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama a Torino. Il mosaico, databile al 1120-1130 circa, in origine probabilmente ricopriva tutto il presbiterio della chiesa; attualmente ne sopravvivono tredici frammenti, che riportano scene di difficile interpretazione. Una di queste è disegnata su un fregio con cinque personaggi (fig. 1): tralasciando il primo, un essere alato coronato con un diadema a quattro punte, la nostra attenzione è focalizzata sulla scena centrale, dove un personaggio con una clava fissata alla cintura, armato di arco, scocca una freccia che colpisce un cammello tenuto per le briglie da una figura maschile munita di lancia.

La freccia si va a conficcare dove la gobba dell’animale forma una sorta di scacchiera formata da 36 caselle. Di passaggio notiamo che 36 è il numero dei Decani, entità celesti così chiamate poiché ognuna di esse amministra gli influssi astrali di 10° della fascia zodiacale. Evidentemente si tratta di una «caccia astrale», la cui «preda» sono le sorti estratte fra i 36 signori planetari della decade, uno per ogni 10° dello Zodiaco, 3 per ogni segno. La natura astrologica dell’evento è confermata dalla successiva e ultima figura, un drago alato, forse da collegare alla omonima costellazione, le cui enormi spire si estendono da Est a Ovest (Arat. Phaen. 24-62) e lambiscono il Polo Nord. Costellazione il cui ruolo è centrale in un commentario gnostico ai Fenomeni di Arato, trascritto in una famosa opera eresiologica (Hipp. Ref. 4, 47, 1-2).

Fig. 3 – Battistero di San Giovanni ad Fontes a Lomello (Pavia)

L’altro manufatto in cui la tavola degli scacchi è concepita come «tavola dei destini» proviene dalla basilica di San Savino a Piacenza. Il pavimento del presbiterio è infatti adornato da un importante mosaico a carattere cosmologico di fine XI-inizio XII secolo. Al centro, all’interno di un doppio cerchio (= mondo) sorretto da un Atlante, si trova un Vecchio (= Kronos) vestito di tunica e mantello allacciato sul petto e seduto su un seggio decorato con teste canine; con le mani regge, una per ogni lato, le immagini del Sole e della Luna. Ai punti cardinali, tra i cerchi esterni sono raffigurati animali reali o fantastici (cani, cavalli, mostri alati) affrontati a coppie, mentre delle figure umane vestite con abiti persiani (berretto frigio, pantaloni lunghi, etc.) muovono il cerchio più esterno. Ai lati del Vecchio, in quattro riquadri, sono raccolte quattro scene, senza apparente relazione fra loro. Nel riquadro in basso a destra è rappresentata una partita a scacchi (fig. 2). Un personaggio anziano con barba e baffi è seduto su seggio con spalliera curva, davanti al piano di gioco. Ha la mano destra posata su un pezzo nero, come se lo stesse per muovere, mentre con l’altra mano sembra indicare qualcosa. Del secondo giocatore si intravede solo un braccio, mentre anch’egli sta muovendo un pezzo nero. Entrambi, quindi, disputano le sorti delle pedine nere, collocandone la la fortuna sulla scacchiera. La presenza accanto alla scena del Vecchio Kronos conferma tale interpretazione. La parola latina anus, «cerchio», è legata etimologicamente ad annus, «anno», quale succedersi di mesi e stagioni. Svariati testi ai confini fra latinità ed ellenismo fanno riferimento alla «ruota dell’anno» (Sen. Herc. fur. 178-180; Philostr. Im. 2, 34; Macr. Sat. 1, 21, 13). La figurazione del Tempo, Aiōn o Kronos, all’interno di un cerchio zodiacale o stagionale è un antico lascito infuso nell’arte romanica.

Una ulteriore testimonianza romanica sembra unire i riti della nascita con la disciplina delle sorti. Il Battistero di San Giovanni ad Fontes a Lomello (Pavia) è un notevole esempio di arte longobarda di incerta datazione (V-VIII sec.). Gli originari affreschi che decoravano l’interno, creando uno sfondo mistagogico all’iniziazione battesimale, sono pressocchè perduti. Restano solo pochi sparuti frammenti sulle pareti del braccio sud, dove si nota un panneggio grigio con soggetti ornamentali genericamente designati come croci greche inserite in circoli e losanghe. In realtà, a una attenta osservazione, scorgiamo in essi una serie di motivi riconducibili a tematiche astrali. Notiamo in particolare un doppio cerchio intersecato da due ellissi perpendicolari (fig. 3). La figura, senza significato apparente, richiama invece un soggetto rilevante della disciplina astrologica: il colùro.  I colùri sono i cerchi passanti per gli equinozi (colùro equinoziale) e per i solstizi (colùro solstiziale); i due colùri sono perpendicolari all’equatore celeste e si incrociano al polo celeste. Il nome deriva dal greco  kolouros, «dalla coda mozza», perché i due cerchi sono invisibili nella loro parte australe da un osservatore che scruti il cielo nel nostro emisfero. Sulla sfera celeste, inventata forse da Anassimandro attorno al VI sec. a.C., Eudosso di Cnido fissò verso il 375 a.C. la rappresentazione dei colùri (assieme ai 5 paralleli, l’eclittica, i 12 segni zodiacali e le immagini già esistenti).

Spesso nell’astrologia antica il segno zodiacale dell’Ariete ha tra il petto e la vita una cintura o un cerchio (nella Tabula Bianchini oppure nel Mithraeum di Ponza) che corrispondono al colùro equinoziale. L’immagine astrologica dell’Ariete assimilata a quella del Cristo Agnus dei, rappresenta inoltre una metamorfosi di ciò che era visivamente raccontato nei misteri di Mithra. Il ricordo specifico è la melothesiazodiacale attribuita a Zoroastro, in cui l’Ariete presiedeva alla testa, lo Scorpione ai genitali e il cane che annusava il sangue del toro agli ardori della canicola, il tempo del levare eliaco di Sirio.

Infatti l’Ariete segue esattamente il percorso che compete al primo segno dello Zodiaco (primus et hic Aries astrictius ordine currit), come recita un’iscrizione dal Mithraeum di Santa Prisca (ca. 200 d.C.): è il dux, ilprincipium signorum, non solo nel mithraismo, ma nella disciplina astrologica classica. Poiché Aries è capo e guida delle costellazioni zodiacali, deve avere a che fare con le sorti che da lui scaturiscono e che da lui in qualche modo sono determinate.

Ezio Albrile

 


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