Il Male Categoria morale, patologia psichica, realtà umana

Claudio Widmann
Ed. Ma.Gi. – Roma 2009

Serena Leccese

MaleIl tema con cui Claudio Widmann si cimenta, è di quelli che ‘fan tremar le vene e i polsi’ proprio perché appartengono a quei misteri ineludibili della vita, con i quali è giocoforza confrontarsi. E Widmann, che già più volte si è addentrato con le sue opere nei profondi recessi dell’anima e nei percorsi labirintici dell’antropologia culturale (vedi sul destinoil mito del denaro), ha affrontato, insieme ad altri psicologi, questo tema in un voluminoso libro, articolato in due parti: il male e la psicologia; il male e la patologia.

Dobbiamo anche dire, che il tema del male è il tema con cui si confrontano tutte le tradizioni religiose che cercano di domandarsi che cosa sia il male, da dove provenga e come evitarlo.

Quasi tutte le culture conoscono miti in cui l’uomo in un tempo lontano, viveva in una situazione di felicità, non turbata dal dolore e dalla morte in una condizione simile a quella della divinità. Solo in un secondo momento qualcosa, molto spesso il peccato dell’uomo, avrebbe turbato questa stato di felicità originale e introdotto il male. Tuttavia, questo attribuire alla propria colpa il male è per l’uomo anche una modalità di non confrontarsi con un male assoluto. Un male che, essendo parte della stessa divinità il cui potere eccede ogni possibilità umana, sarebbe dunque solo terrorizzante.

Come scrive Annamaria Iacuele la sofferenza dell’innocente, appare particolarmente ingiusta e inspiegabile e il tema, sollevato sin dal biblico Giobbe, diviene centrale nelle opere dei più grandi pensatori ed artisti (vedi Leopardi, Dostoevskij, Camus). Di fronte alla sofferenza dell’innocente ci sono due strade: o cercarne un compenso (il premio in un’altra vita) o accettarla gratuitamente, comprendendo che il male e il dolore sono parte fondamentale del tutto e quindi di noi stessi. Infatti, respingendo il male, si finisce per respingere la vita nella sua totalità e quindi anche noi stessi, al contrario dicendo sì al mondo, si dice sì al male, ma questa è l’unica strada per dire sì anche a noi stessi. Tuttavia, conclude Annamaria Iacuele, l’individuo può dire sì e affrontare il male e il dolore solo all’interno di un superiore quadro di riferimento (etico, religioso, politico) nel quale possa sentirsi rafforzato e messo in condizioni di equilibrare le avversità, sentirsi aperto alla speranza che il destino possa essere invertito e che anche gli errori e le sconfitte più dolorose siano un’opportunità esistenziale e destinale di liberazione: l’occasione di un salto verso una nuova verità.

Il tema del rapporto dell’uomo con dio a proposito del male è affrontato anche da Robert Mercurio in La sofferenza e il male hanno un senso? Egli riferisce di un’interessante opera teatrale di Elie Wiesel, (Il processo a Dio, 1982). In un villaggio dell’Ucraina, nel bel mezzo dei pogrom che terrorizzavano gli ebrei, tre attori itineranti propongono per la festa del Purim di improvvisare una commedia che rappresenti un processo a Dio per chiedergli conto del male toccato a persone miti e devote. Vengono distribuiti tra gli astanti i ruoli di accusatore, di giudice, di testimone, ma nessuno accetta il ruolo di difensore all’Onnipotente’. Solo un estraneo, improvvisamente comparso, si offre di assumere la difesa di Dio e dichiara che la fonte del male è da cercarsi nel cuore degli uomini. Alla fine si scoprirà che in realtà questo difensore era il diavolo in persona.

La caduta di Lucifero (Gustave Doré, 1886)
La caduta di Lucifero (Gustave Doré, 1886)

Il diavolo compare anche in un altro saggio, Diabolico e simbolico di Giulia Valerio. Il diabolico è visto, secondo l’etimologia, come ciò che divide, separa gli elementi, non per giungere ad una maggiore comprensione, ma per arrivare a soluzioni semplici, eliminando la problematicità del conflitto. è dunque proprio come la malattia serpeggiante del nostro tempo. Giulia Valerio ci mostra come nelle tradizioni popolari, nei racconti di fiaba e nelle leggende, riprese nelle nostre più famose opere letterarie, il diavolo prometta ricchezze tangibili e visibili in cambio di qualcosa di meno visibile: l’anima, gli affetti più cari, proprio ciò che costituisce la dignità e la vera ricchezza umana, il suo potenziale creativo e simbolico. Perché il diabolico è ciò che si contrappone al simbolico, alla tensione unificante, pur portatrice di sofferenza, ma di sofferenza potenzialmente fertile e creatrice di un nuovo orizzonte, di una visione trascendente in cui tutto possa trovare posto (coincidentia oppositorum).

Questa visione simbolica è più congeniale all’oriente e Toshjmasa Saito in L’immagine del male in Giappone e la coscienza trascendente ci spiega l’ottica pluralistica giapponese. In quest’ottica, che ha origine dal buddismo e dal politeismo scintoista, Dio e il Maligno non sono gli estremi di una linea retta, ma sono collocati in una circonferenza, in cui procedendo in direzione opposta finiscono per incontrarsi in un medesimo punto. Conseguentemente, la luce e l’ombra non si contrappongono l’una all’altra, ma come diceva il saggio Eraclito “il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà fame…” e ancora: “belle per il dio sono tutte le cose e giuste; ma gli umani ne hanno ritenute giuste alcune, ingiuste le altre”.

“Allora, che fare?” si domanda Marina Valcarenghi in Necessità del male.

Se il male “è necessario per definire l’opposto significato di bene, e se è necessario anche per accettare il nostro destino di creature imperfette e per liberare l’atto creativo, allora perché viene espulso dal corpo psichico come un rifiuto tossico, perché manca un’educazione a riconoscere il male come parte di ognuno di noi, così come invece siamo propensi a riconoscere il bene che è in ognuno di noi? Perché questa rimozione?…” e l’autrice, da psicoanalista che parla anche e soprattutto agli psicoanalisti, conclude “ sono convinta che, se vogliamo parlare del male la miglior cosa sia di cominciare a pensare a quello che facciamo noi, a sapere sulla nostra pelle come fa bene e come fa male riconoscere il proprio male.”

Proprio con un richiamo alla coscienziosità si conclude la prima parte del testo, con un saggio di Claudio Widmann: il male che fa male, il male che fa bene. Dice l’autore: se il male è legato, come nel mito biblico, alla nascita della coscienza e all’uomo che non si accontenta solo dei frutti dell’albero della vita, ma vuol gustare anche il frutto dell’albero della scienza del bene e del male, allora il male richiede coscienziosità. E ogni affievolimento della luce della coscienza fa sorgere l’ombra, le tenebre, nelle quali spadroneggia il male nei suoi mille volti. Eppure l’Ombra è parte assolutamente necessaria del processo individuativo, a cui partecipa con modalità non sempre percepite dalla coscienza. Ne risulta, ancora una volta, che nella complessità del tutto ciò che a prima vista sembrava solo ineludibile necessitas, si rivela utilitas, un’ opportunità. Così anche il male diviene felix culpa nella via della redenzione.

La seconda parte del testo è dedicata alla patologia e su questa, più specialistica non ci soffermeremo, limitandoci a dare notizia degli autori e dei temi trattati, tutti di grande interesse non solo clinico ma soprattutto esistenziale.

Adriano Voltolin in Il male e la sua ripetizione, attraverso la sua esperienza clinica, vuole chiarire come più è forte la pulsione individuativa, più è forte il confronto con il male.

Giuliano Turbini scrive La complicazione del lutto: effetto del male o psicopatologia?

Yves Ranty in Il tentativo di suicidio e la psicoterapia autogena e G. Gastaldo e M. Ottobre in Il male come tendenza antibionomica nel training autogeno avanzato mostrano come la psicoterapia autogena possa aiutare i pazienti a superare le tendenze antibionomiche e a ricostruire la vita secondo le norme della vita.

Infine, il tema della sessualità come via di individuazione incandescente, ma per questo così pericolosa, è affrontato nei saggi: Le forme estreme di manipolazione corporea di Luigi Torinese e L’eros freddo di Letizia Bruni e Domenico Mazzella.

Serena Leccese


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