In origine, uomini e dèi vivevano insieme e appartenevano allo stesso ordine di realtà. Ognuno degli dèi, e degli uomini che ne condividevano la sorte, rappresentava un aspetto eterno e necessario del tutto.
Non è chiaro da quale speciale angolazione gli uomini riflettessero l’intero universo, né attraverso quale elemento costitutivo lo richiamassero; qualcuno sospetta che gli uomini riassumessero l’intero universo attraverso una forza che aveva lo speciale potere di annientarlo e di cambiarlo. Il sospetto è nato dal fatto che talvolta si ritenne che l’elemento loro attribuito – la loro via o il loro strumento – fosse il fuoco, in quanto il fuoco ha proprio lo speciale potere di non lasciare più le cose che tocca nello stato in cui le ha trovate e le porta a uno nuovo dal quale esse non possono più tornare indietro.
Gli uomini erano dunque, fra gli dèi, circondati da un certo mistero e sfiorati dal sospetto di essere i depositari di un’arte terribile, quella di dare origine a cose che prima non erano, ragione per la quale sembravano in grado di manipolare ciò che già esisteva volgendolo in niente. Questa loro arte presunta, non nota eppure deducibile da indizi vari, doveva avere a che fare con l’uso di un loro speciale rapporto con il fuoco. Essi pare sapessero la maniera con cui, adoperando il fuoco, si fanno le cose e con quali gesti di fuoco si padroneggia l’origine.
A un certo punto, e cioè da quello che chiamiamo origine perché l’origine è cominciata a essere sé stessa proprio allora, fra gli abitanti di quell’ordine si scatena una lotta furibonda per accaparrarsi il privilegio di esserne unici ed esclusivi titolari del possesso.
Si formano le schiere e le alleanze, variamente incrociate, e si profilano le gerarchie dell’ordine nuovo. La pretesa al centro della lotta scatena di per sé un’alterazione dell’equilibrio. Tuttavia non si sarebbe potuto neanche immaginare una pretesa di portata così radicale, se l’equilibrio primigenio che a causa sua si infrangeva fosse stato immune di ogni suo germe e non le avesse offerto un appiglio.
Una rottura tanto profonda nella solidarietà di quello che cominciò a essere definito il vecchio ordine si ripercosse a ritroso, potremmo dire, dato che le idee stesse di avanti e di ritroso furono introdotte allora. Il mondo comune degli uomini e degli dèi apparve ipocrita, ingiusto e precario. Gli uomini ebbero certamente un ruolo di primo piano nella vicenda e ci fu qualche altro dio che li assecondò e si fece trainare dalla loro audacia e dal credito che loro si attribuiva di un potere misterioso.
Non è vero che non esistono documenti su come siano andate le cose, perché il documento probante è costituito dall’insieme della situazione universale in atto e dalla condizione umana presente. Questa può essere ritenuta di non facile interpretazione mentre si tiene sotto gli occhi di tutti; a parte il fatto che possa essere spiacevole guardare – sfidando la paura – ciò che si vede.
Gli uomini si trovano in una condizione indubbiamente penosa; la potenza di cui dispongono – di raggiungere altissime vette nella creazione – si accompagna a un’inarrestabile malattia. E su di loro, da alleato e patrono, siede ora in trono un dio unico, diventato una specie di superuomo organizzatore della storia. La storia, dal canto suo, ha consolidato un mondo indifferente e disperato in cui, contraddizione suprema, l’uomo si considera un fine.
Bisogna, a ogni modo, riflettere sul seguente punto fondamentale, che dèi e uomini rappresentavano ognuno dalla propria angolazione un aspetto necessario ed eterno dell’universo e che pertanto nella loro vicenda – lotta, pretesa, esito della lotta, condizione attuale – ha trovato espressione l’essenza dell’intero universo.
Gli uomini puniti e decaduti non risiedono in una regione separata da quella che occuparono all’epoca in cui nacque il contrasto con il dio che si voleva unico. Qualunque sia il punto dell’universo che si voglia prendere in considerazione, lì sta riassunta ab æterno la totalità dell’accaduto.
L’intero mondo degli dèi e degli uomini contiene le molteplici varianti della nostra attualità cosmica che, proiettate su una scala metafisica, non sono nemmeno più varianti elastiche e aleatorie bensì la necessaria complicazione di un unico destino.
Il dolore degli uomini retribuisce con perfetta corrispondenza intrinseca la loro libera scelta ed è dunque meritato, se non altro perché nel fatto stesso di avere introdotto la sceltasi trascinano strettamente insieme responsabilità, colpa, merito, premio e castigo.
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Uomini e dèi vivevano insieme e appartenevano allo stesso ordine e in esso esaurivano l’intero universo. Ora, in esso e in essi viveva anche il male. Il male era non uno fra gli altri, degli dèi o degli uomini, ma era tutti, dal momento che tutto era in tutti e che ogni valore apparteneva a tutti.
La presenza del male aveva mantenuto viva un’inquietudine insopportabile e alla fine era riuscita a scatenare una voragine vorticosa perché, nel desiderio di separarsene e di allontanarlo dal mondo ritenuto perfetto, dèi e uomini hanno aperto un’immane lotta per la gerarchia e l’unicità.
Si presumeva che colui il quale fosse risultato unico si sarebbe dimostrato con ciò stesso emendato dal male, proiettandolo nel campo avverso.
Tuttavia il male, prima che fosse sospinto entro un confine esclusivo e associato a dolore morte malattia paura quali suo triste e necessario corteo, era dio e stava in ogni dio e uomo. E così stava e era per sempre, essendo quello un ordine eterno e nessun ordine successivo in apparenza altro può essere se non la sua stessa ripetizione ed esplicitazione.
Infatti, nel modo stesso in cui si stava allora, ora e sempre si sta. Il male stava in ognuno non per un giorno bensì eternamente, qualunque sia la figura che ognuno assuma per toglierselo di dosso. Sicché ciò che è parso venire dopo era già prima.