Uno scrittore di cronache, girando attorno alle difficoltà dei giovani a piazzarsi nel mondo, per caso ha rievocato la vicenda di una donna di modesta nascita che aveva acquistato una prestigiosa posizione nell’Italia dell’ultimo quarto del 900.
Uomini illustri nella politica, nell’industria, nell’arte furono allora sotto il suo influsso; divenuta musa e consigliera ascoltata e seguita, il suo parere aveva fatto la fortuna o la sfortuna di ministri, stilisti, artisti, attori e imprenditori.
Potremmo ripetere la sempre valida boutade velenosa di Ugo Ojetti, che non esistono donne fatali bensì solo uomini cretini, eppure quali poteri avesse la prefata è una specie di mistero.
Questa donna infatti non era né particolarmente avvenente, e del resto la sua parabola durò molto oltre il periodo della fioritura, né era dotata di una di quelle intelligenze che si impongono, né di una cultura più che banale, né tantomeno di un buon carattere, essendo spigolosa, aggressiva e con la spocchia scostante delle parvenues in fretta.
Nonpertanto ha esercitato il suo ascendente su gran parte delle cariche eminenti dell’epoca. Sarà stata pure un’epoca mediocre, però alle volte la mediocrità delle situazioni può rendere più difficile districarsi che non un contesto di valore.
Dunque un mistero.
E sia che esistono solo cretini e non donne fatali, ma non è la risposta, è semplicemente la riformulazione della domanda. Perché mai questi, che eccellono nei loro campi, possono con quelle donne figurare da crétins? Per quale ragione personalità capaci di vincere sfide pericolose in campi pieni di insidie vengono attratti da quell’influsso?
Insomma, in che consiste la dote preziosa e rara che la signora amministrava con penetrante efficacia?
Direi questo: che quell’influsso altro non è che l’adulazione. E che quella donna fu abilissima nell’adulazione.
Ora, il bisogno di adulazione è una delle peggiori malattie (ne accenna perfino Platone nel Fedro). Una delle peggiori in quanto perfettamente agganciata all’invidia.
L’adulazione è una cura dell’invidia, ma una cura falsa, una cura che invece di guarire il male lo alimenta.
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Dice Platone nel Fedro (240 b): «… esistono altri mali, ma un dio ha mescolato alla maggior parte di essi un piacere momentaneo. Per esempio, all’adulatore, che pure è una bestia terribile e un grave danno, la natura ha, nondimeno, mescolato un piacere non privo di fascino. Potrebbe essere biasimata in quanto fonte di danno un’etèra, e con essa altre creature e attività del genere, che tuttavia, almeno per un giorno, possono essere piacevolissime.»
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Eperchè l’adulatore si rivolge all’invidioso (e lo seduce)? E perchè mai uomini tanto potenti erano invidiosi?
Tento la spiegazione: il potente più è potente e più è invidioso. Si potrebbe perfino dire che è diventato potente per aver dispiegato la sua invidia senza freno. E più è potente e più si sente minacciato, insicuro, invidiato. Chi prova invidia ha il terrore dell’invidia, ben sapendo quanto la sua invidia vorrebbe essere distruttiva.
Sono «convinti d’essere invidiati anche dagli altri come essi stessi si considerano degni d’invidia» (Fedro 232 a).
Il potente, fiorito e spronato dalla sua invidia, è insicuro e gode delle rassicurazioni dell’adulatore. Inoltre più l’adulatore è abile e perverso e più cade nella sua rete.
La storia, la grande non meno della piccola, è piena di adulatori che sfruttano l’insicurezza e diventano droga insostituibile contro l’invidia.
La maggior parte degli uomini non se rende conto: essi pensano di essere attratti dalle grazie fisiche e invece sono attratti da quelle psicologiche, non accetterebbero di essere presi nella rete di una seduttrice esclusivamente per parole e moine e la buttano sul lato più corposo.
Eppure, chi sa? può darsi che le due cose viaggino su un’unica carrozza.
Lo fa anche la mamma con il suo piccolo…
Ad ogni modo, non perdiamo i contatti con il punto della nostra partenza: adulazione e fascino, la necessità dell’illusione che consola.
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Il mito può aiutarci a capire? Può aprirci uno spiraglio sull’invidia?
Gli dèi – perfino gli olimpici, specie gli olimpici – sono invidiosi, perchè? Essi hanno un insistente tarlo nel cuore. Consapevoli di avere acquistato il governo dell’universo mediante violenza e inganno debbono temere che in eguale maniera possano perderlo ad opera di antagonisti di cui spiano i segnali oscuri.
Perciò puniscono Prometeo e gratificano Deucalione.
Prometeo è colui che inventò il sacrificio del bue preparando l’offerta delle parti in modo fraudolento; Zeus accettò fingendo di non capire che sotto il grasso appetitoso c’erano inutili ossa e poi lo punì crudelmente.
Entrambi, i due progenitori dell’umanità attuale, compiono un rito identico in apparenza, diversissimo nella sostanza. Il primo è conflittuale, il secondo si è piegato. Ancorché sia semplicemente l’altra faccia del primo.
Egli è colui che, invece di sfidare, à dula.
Da allora, gli uomini tentano la scalata all’Olimpo mediante una strada traversa.
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Riassumo la mia tesi.
L’invidia è una forma perniciosa, rancorosa e risentita, di ammirazione. Un’ammirazione mista a presunzione. L’invidioso vorrebbe essere invidiato ed essere degno d’invidia. Per questo motivo gli piace l’adulatore e non può farne a meno.
La stessa adulazione, dal canto suo, è un’ammirazione perniciosa in quanto si propone di aggiogare e sedurre. Essa si serve dell’invidia per raggiungere il suo fine meschino e nasce dall’invidia.
Invidia e adulazione procedono dalla medesima pianta e in definitiva sono le due metà congiunte d’un unico frutto.
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La problematicità della scalata al cielo addolora la condizione umana e sprona taluni a elevarsi altri a mettere la zavorra al prossimo. O ad aggrapparsi ai suoi piedi per farsi tirare su.
All’invidia pare non esserci rimedio, tranne forse la rassegnazione.
Da esperto del mondo, Plutarco si esprime in questo modo: «il peggior male che possa affliggere la politica è dunque l’invidia, che solo di rado tuttavia prende di mira la vecchiaia.
Perché, come i cani, secondo Eraclito, precisamente abbaiano contro chi non conoscono (= frammento 97), così l’invidia combatte chi comincia a far politica, sulla soglia, per dire, della tribuna impedendone l’accesso, ma non si comporta in maniera riottosa e selvaggia verso le reputazioni che le sono familiari e consuete, anzi le accetta di buon grado» (an seni sit gerenda respublica 787 c).
L’invidia si smorza con il tempo quando il successo che desiderava vedere soffocato diventa stabile e si presenta immodificabile.
L’invidia all’inizio è più spavalda e aggressiva perché si crede onnipotente e confida istintivamente di produrre effetti, mentre in seguito, con il tempo, si fa sorda, triste e risentita e perfino rassegnata.
A quel punto ad essa non resta che passare nell’adulazione.