Omaggio a Gilbert Durand

Gilbert Durand ha concluso la sua lunga giornata terrena il 7 dicembre 2012.
Il Centro Studi MYTHOS, l’Istituto di Psicoantropologia Simbolica e Tradizioni Religiose,
la rivista «átopon» ne ricordano con profonda e commossa gratitudine gli insegnamenti,
la guida attenta, la vicinanza, la generosità, il coraggio con l’articolo pubblicato
in occasione 
del riconoscimento a lui tributato quale ‘Maestro di Mitoanalisi’ .
Ci siano sempre su questa terra uomini,
che gli angeli della Natività cristiana
chiamano “uomini di buona volontà ”
e che i Giudei chiamano “Giusti”
che sappiano sempre e ovunque dire NO
a ciò che in qualsiasi luogo
rischi di tradire l’umanità.

Gilbert Durand
Time present and time past
Are both perhaps present in time future
And time future contained in time past.
If all time is eternally present
All time is unredeemable.
What might have been is an abstraction
Remaining a perpetual possibility
Only in a world of speculation.
What might have been and what has been
Point to one end, which is always present.
.
Go, go, go, said the bird: human kind
Cannot bear very much reality.
Time past and time future
What might have been and what has been
Point to one end, which is always present.

Thomas Eliot

Gilbert Durand e la Mitodologia

In occasione dell’Omaggio a Gilbert Durand ‘Maestro di Mitoanalisi’
Convegno I.C.S.A.T – Ravenna 20 maggio 2006

A. Iacuele e M.P. Rosati

Fare un ritratto di Gilbert Durand è compito difficile a causa della personalità complessa e poliedrica del pensatore e dell’uomo che, impegnato attivamente in ogni battaglia civile e culturale, percorre la via dell’ermeneuta interrogandosi incessantemente sui significati palesi e nascosti di ogni avvenimento, ogni gesto, ogni rito, ogni mito che appartiene alla vicenda umana all’interno della più grande vicenda cosmica. Di questa ricerca di senso egli ha fatto la sua missione, traendo la forza per dire ripetutamente No a tutto ciò che in mille maniere diverse rischia di annichilire l’uomo vanificando il suo cammino antropologico più significativo, il cammino spirituale.

Alchimia
Alchimia

Gilbert Durand, maître à penser, antropologo, filosofo e ermeneuta tra i più sottili e coraggiosi del novecento, ha fondato nel 1966 il celebre C.R.I. (Centro di Ricerca sull’immaginario) dell’Università di Grenoble da cui sono nati nel mondo più di cinquanta Centri di ricerca, attivamente presenti nel dibattito transculturale e transdisciplinare.

La sua ricerca di filosofo ed ermeneuta si è confrontata con quella dei pensatori più autentici e originali della nostra epoca (tra cui G. Bachelard, R. Bastie, M. Eliade, C. G. Jung, H. Corbin, G. Dumézil, C. Lévi-Strauss, S. Lupasco, R. Thom) e da tali incontri sono scaturiti avvenimenti culturali tra i più significativi e fecondi.

L’ampiezza della attività di studioso di Gilbert Durand si è esplicata attraverso un gran numero di opere magistrali (molte delle quali tradotte in più lingue: inglese, tedesco, italiano, spagnolo, portoghese, polacco, rumeno, cinese, coreano, giapponese…), saggi, articoli accolti in enciclopedie, annali, riviste specializzate, opere collettive. Nelle sue opere il rigore scientifico si unisce alla vivacità dell’intelligenza, alla folgorante penetrazione delle intuizioni, agli inattesi accostamenti che collegando domini diversi fanno scaturire illuminanti scintille. Le sue pagine estremamente lucide e vibranti di intima convinzione, emanano forza e intensità e riflettono sempre la luce di un vasto e antico sapere.

Intensa e feconda la sua partecipazione come professore alle attività accademiche nelle università francesi e estere, a simposi, seminari, colloqui in tutto il mondo che hanno segnato momenti e svolte decisive nel percorso culturale del nostro secolo. Durand ha sempre sentito la necessità di contattare uno a uno tutti i domini del sapere alla ricerca di momenti di scambio, di incontri autentici e dialettici (ma polemos panton patér, come dice Eraclito) in cui fosse possibile il confronto sui temi importanti e decisivi per cercare ovunque e sempre le strutture profonde, i lineamenti simbolici, le forme formanti che si presentificano a differenti livelli nell’uomo e che sono i gradi successivi di una ricerca verticalizzante, in quanto rivelatrice di senso.

Tra i meriti di Durand è quello di aver compreso la grande portata euristica della ricerca epistemologica di Gaston Bachelard, suo maestro. Seguendo la sua strada è passato dall’epistemologia della scienza all’epistemologia del senso e all’ermeneutica poetica aprendo una affascinante prospettiva sui paesaggi dell’immaginario letterario. La sua Psicoanalisi della neve (1953), scritto altamente poetico dedicato al maestro Bachelard, ci fa già presentire l’inquietudine di chi è sospinto oltre la verità del fare della scienza tecnocratica, oltre la verità dell’essere surreale della poesia, alla ricerca di una realtà simbolica in cui le cose sensibili e transitorie rinviino a realtà metafisiche.

Durand si muove nell’ambito della vera filosofia che «… è saggezza terrestre che sa far posto, accanto alla scienza esatta e ideale, alle intimità della poesia e della mitologia», perché, secondo le sue stesse parole «… ogni saggezza che non ha un pizzico di follia non è veramente umana; l’umanesimo autentico è quello che sa dare spazio alla debolezza e a tutto ciò che è errore agli occhi della scienza. Ci vuole di tutto per fare un uomo».

Nel dopoguerra, con la sua autorità culturale, scientifica ed etica, ha denunciato la crisi in cui erano cadute le cosiddette scienze umane. «Il nostro XX secolo è ossessionato dalle scienze umane, quasi per una nostalgia o un rimorso, ma impotente riesce soltanto a sezionare un cadavere usando i bisturi dello sperimentalismo psicologico, del pansessualismo (…) di analisi storiche o linguistiche».

Il nuovo Spirito antropologico

Gilbert Durand ha avvertito che un ‘Nuovo spirito antropologico’ stava sorgendo e ha alacremente lavorato per dargli vita (cf. G. Durand, Nouvel Esprit anthropologique, 1975). Ha saputo cogliere la grande rivoluzione epistemologica del nostro tempo che affermava la necessità di superare la radicale distinzione tra sapere razionale e sapere immaginario. Una nuova ragione con i propri assiomi incontrava una fenomenologia organizzata dell’immaginario, già esplorata dagli psicoanalisti e dagli psicologi del profondo.

Due modalità del sapere (due serie di processi interscambiabili, per lo meno nelle loro grandi concettualizzazioni), quella che procede dalla ragione più attiva (soprattutto dalle teorie fisiche post-eisteiniane) e quella che sorge dall’esplorazione dell’immaginario nella simbolica post-freudiana, si incontravano senza confondersi (poiché è la specificità del punto di applicazione che decide i metodi) per convergere in una filosofia d’insieme, in nuove forme a priori non kantiane, in una temporalizzazione di fenomeni non hegeliana, in logiche non aristoteliche.

Angeli in Gloria, Battistero di Firenze
Angeli in Gloria, Battistero di Firenze

Etologia, simbologia, mitologia, psicologia del profondo stavano creando un nuovo dominio epistemico che veniva ampliando l’orizzonte epistemologico in cui la triade epistemica di Foucault (psicologia, linguistica e sociologia) rischiava di mutilare e sfigurare l’Uomo riducendolo in un letto di Procuste.

Era ormai giunto il momento di gettare le fondamenta per costruire un’unica Scienza dell’Uomo che tenesse conto del sapere tradizionale dell’uomo sull’uomo, un uomo che, al di là di ogni localizzazione spazio-temporale, sente di essere sempre ‘lo stesso’, proprio come gli dei sono sempre gli stessi.

Hermetica ratio e il principio di similitudine

Durand ha saputo dunque spezzare il nodo gordiano del metodo di origine aristotelica, unidimensionale e bivalente per proporci una Hermetica ratio, una nuova scienza ermetica, una ‘filosofia del no’ che secondo l’epistemologia di Einstein dicesse no alla dualità di soggetto-oggetto, di materia-spirito.

La nuova scienza, posta sotto il patrocinio di Hermes il mediatore, doveva offrire la trama per un unico tessuto capace di inglobare le coerenze (visibili in una logica non binaria) in seno ad una trans-disciplinarità aperta alla pluralità della psiche e della cultura, sempre nel rigoroso rispetto di ciò che è specifico di ogni disciplina e di ogni metodologia. Dunque alla ‘unicità del metodo’ aristotelico per cui la differenza è percepita come variazione dualistica (vero o falso) si sostitisce ‘il politeismo dei valori’ fondato sul pluralismo delle singolarità (cf. G. Durand, L’Ame tigrée, les pluriels de Psyché, 1980), garante dell’unità comprensiva, coerente del Sapiens.

Al principio di identità aristotelica basato sulla ‘non contraddizione’ e sul ‘terzo escluso’ si sostituiscono i principi di ‘identità semantica’ (tra simbolizzante e simbolizzato), del tertium datur e il ‘principio di similitudine’. Il principio di similitudine, su cui si fonda il testo ermetico per eccellenza, la Tabula Smaragdina, rivela la coincidentia oppositorum tra ‘alto’ e ‘basso’, tra ‘esteriore’ e ‘interiore’, tra ‘visibile’ e ‘invisibile’, tra microcosmo e macrocosmo. Possiamo anche dire che la similitudine è l’intuizione (la visione immaginale) della scienza che sa riconoscere la virtù costitutiva delle cose, il denominatore comune della conoscenza nel soggetto conoscente come nel soggetto conosciuto.

Ad essa può essere paragonata la sincronicità di cui parla C. G. Jung, una sorta di coincidenza tra immagini, esperienze interne della psiche e avvenimenti del mondo esteriore. Il philosophos della scienza ermetica è come un iniziato al segreto cosmico grazie alla mediazione di Ermete Trismegisto (tre volte grande), per Jung archetipo del vecchio saggio e cioè del portatore di senso.

Nella tragedia di Eschilo, Prometeo incatenato, il titano ribelle che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, liberarli e salvarli dal dolore, è costretto a interrogarsi sulle conseguenze del suo dono. Padre di ogni conquista tecnologica, sconta, incatenato alla roccia, la pena della sua hybris. La conoscenza tecnologica separatrice consuma l’uomo, come l’avvoltoio di Zeus divorerà il fegato di Prometeo. Ma nel confronto con Ermete, il messaggero di Zeus, Pro-meteo (colui che pre-vede) afferma che può allontanare l’angoscia del dolore, della morte, in quanto pre-vede la verità del Tutto: questo è il sapere che salva dal dolore. L’uomo è mortale e nessun rimedio della tecnica può salvarlo dall’angoscia dell’annientamento, ma la via della verità che dal cieco divenire si apre alla visione dell’eternità del Tutto può consentirgli di allontanare l’angoscia facendogli pre-sentire, al di là di ogni divenire, il suo essere nel Senso del Tutto.

Ermete, psicopompo, guida delle anime, è figura emblematica per ogni terapeuta dell’‘anima’ che tenti di ricondurre la coscienza lacerata e alienata verso il Sé e l’accettazione del mistero del Senso del Tutto.

Scienza dell’uomo e tradizione

Durand nel Colloquio di Cordova ‘Scienza e coscienza’ (ottobre 1979), assieme a scienziati di rilevanza mondiale di differenti campi quali la Fisica, la Neurologia, la Psicofisiologia, la Psicologia analitica, la Filosofia e le Scienze Religiose, ha evidenziato la scoperta di traiettorie convergenti tra forme di pensiero tradizionale e forme di pensiero scientifico e la rivoluzione epistemologica in atto nella scienza contemporanea (G. Durand, Science de l’homme et tradition, le nouvel esprit anthropologique, 1979).

Le forme di pensiero tradizionale, estremamente antiche, affondano le loro radici nel terreno magico-religioso, mitico, escatologico, da cui scaturiscono le produzioni di un inconscio metarazionale che vanno dal sogno (che contiene ancora l’impronta dell’immaginario della specie) alla visione profetica, dall’allucinazione individuale o collettiva alle teofanie che hanno dato origini a religioni (come l’esperienza teofanica vissuta da Mosè sul Sinai, o quella vissuta da Paolo sulla via di Damasco). Storici delle religioni, etnologi e antropologi ritrovano tali forme di pensiero in miti, leggende, racconti popolari, riti sciamanici e in culti appartenenti a differenti culture. Tale modalità di pensiero è propria delle arti tradizionali, delle correnti mistiche ed esoteriche, delle scienze come l’alchimia e l’ermetismo a cui si sono dedicate le più alte menti della nostra cultura rinascimentale (vedi Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Giordano Bruno, ecc.).

Dioniso, immagine fotografica di L. Scaramella
Dioniso, immagine fotografica di L. Scaramella

Le più avanzate metodologie della Scienza dell’Uomo si sono trovate a riscoprire e a fare proprie le verità basate sul principio di similitudine e ‘simpatia’ tra i mondi e veicolate in particolare dall’ermetismo. L’ermetismo implica che ogni linguaggio sia un mesocosmo (in cui figure e simboli pregnanti costituiscono una sorta di ponte tra microcosmo e macrocosmo), un luogo intermedio tra il cosmo dei significanti e il cosmo dei significati. Al contrario le forme di ciò che chiamiamo ‘pensiero scientifico’ sono in realtà molto recenti nel computo astronomico delle ere; pretendono di svelare le leggi implicite nel divenire naturale, le quali fanno che gli esseri e le cose siano come sono, attraverso un processo di deduzione logica, da premessa a conseguenza, da causa ad effetto, secondo il postulato che deve ritenersi ‘scientifico’ solo ciò che può essere verificato sperimentalmente da ciascuno e può essere misurato con rigore.

La forma di pensiero logico-scientifico, nonostante sia soggetta a limitazioni fortemente restrittive in quanto non si occupa dei campi immensi che suscitano l’interesse ancestrale e permanente dell’uomo (l’origine e il fine ultimo di tutto, la vita, la morte, il dolore, il destino e il suo senso, il significato dell’uomo nell’universo, ciò che è unico e irripetibile e per questo tanto più prezioso ecc.), ha portato a risultati straordinari quanto alle tecniche trasformatrici della materia, alla conquista della forza, dell’energia, della velocità, del potere di produzione e di sterminio. Ma Durand evidenzia come in realtà i popoli siano affascinati soprattutto dall’aspetto magico delle tecnologie scientifiche, mentre sfuggono loro completamente i sistemi di idee, le teorie, i paradigmi (potremmo dire i miti e i riti) che sono dietro queste prodigiose tecnologie e queste macchine dall’inquietante efficacia.

Tuttavia è proprio nelle pieghe invisibili che passa l’essenziale. Le scienze moderne più avanzate ci presentano nuovi orizzonti che sanno d’antico.

Dalle grandi rivoluzioni storiche della relatività, della teoria quantica, della cristallografia avanzata e della geometria frattale risultano nuovi modelli di universo, come la vertiginosa nozione di un universo composto di ordini ‘espliciti’ che emergono da un ordine ‘implicito’ e che ad esso ritornano, secondo quanto ci propone la fisica teorica di David Bohm. Come ancora le sincronicità acausali scoperte nei domini delle particelle subatomiche come nei domini di alcuni fenomeni psichici che interagiscono in maniera ugualmente acausale con fenomeni perfettamente ‘oggettivi’(vedi la sincronicità esplorata da C. G. Jung assieme al fisico Pauli).

Ci si rende conto che questi universi richiamano le grandi cosmogonie ‘poetiche’ dell’induismo e del buddismo, la concezione della molteplicità dei mondi espressa negli yantra indotibetani o taoisti, le visioni di Jacob Boheme o i sistemi del pensiero alchemico e della filosofia ermetica a lungo attivi in Occidente.

Le Strutture antropologiche dell’immaginario

Gilbert Durand ha dato forma monumentale alla concezione di uno ‘strutturalismo figurativo’ nella sua opera fondatrice, il trattato Les structures anthrpologiques de l’imaginaire, introduction à l’archétypologie générale, pubblicata per la prima volta nel 1960. L’opera ha acquistato l’ampiezza di una vera galassia dell’immagine e dell’immaginazione simbolica in cui le strutture, lungi dall’essere formalizzate e fissate in astrazione spaziale (topologica), ci appaiono al contrario dinamizzate dai contenuti vissuti che conferiscono loro sostanza e intenzionalità ontologica.

La traiettoria di questa ricerca di sensi profondi, archetipici, fondatori e fecondatori di forme mitiche, artistiche e religiose ha portato Durand a ipotizzare un ‘fantastico trascendentale’ (quale quello presente nei sogni di romantici e surrealisti) e a concepire un sistema di integrazione logica simile a quello che S. Lupasco ha creato a partire dall’osservazione dei fenomeni della fisica e della biologia.

Dopo la costruzione di questa magistrale ‘archetipologia generale dell’immaginario’, Durand ha intrapreso una ricerca mitocritica su alcuni assi principali: il deciframento dei mitemi che sono alla base della produzione di oggetti di utilità corrente e della creazione di opere d’arte o della lenta elaborazione degli stili; lo studio delle correlazioni della scienza generale e unificata dell’uomo produttore di simboli con le scienze analitiche, cosiddette esatte; l’interpretazione dei segni e delle figurazioni involontarie dell’immmaginario (ormai quasi atrofizzato e respinto nell’incoscio) del nostro quotidiano moderno.

La mitoanalisi

Durand ha fortemente sottolineato la sua convinzione che la costruzione di una nuova antropologia potesse passare solo attraverso la ‘mitoanalisi’.

L’idea di una mitoanalisi si era venuta sempre più delineando in Durand durante gli Incontri di Eranos (nella villetta sul Lago Maggiore ad Ascona, in Svizzera) che dal 1939 per molti anni hanno costituito la fucina della cultura del XX secolo sì da essere definiti dei veri ‘ciclotroni’, accelleratori di idee.

Ermete Trimegisto,  cattedrale di Siena
Ermete Trimegisto, cattedrale di Siena

Grazie alla statura eccezionale di pensatori, filosofi, storici, uomini di scienza attenti a aprirsi l’uno alla ricerca dell’altro (ricordiamo soltanto M. Eliade, E. Benz, H. Zimmer, C. G. Jung, G. Sholem, K. Kerényi, L. Massignon, Tillich, H. Corbin, G. Tucci, J. Servier, J. Daniélou) questi incontri amicali tra studiosi di varie discipline hanno contribuito a riformulare le questioni essenziali del pensiero del nostro tempo e aperto la via a svolte epocali.

In sintonia con Carl G. Jung, Durand si è avventurato nei vasti e inediti orizzonti dell’intelligenza ‘genetica’, patrimonio del Sapiens sapiens: miti, credenze, rituali dell’ Homo religiosus, abissi dell’inconscio da cui sgorgano efflorescenze mitologiche mescolate a sogni e a visioni grandiose. Come Mircea Eliade, Durand ha ipotizzato che proprio la comprensione del mito sarà annoverata un giorno tra le più significative esperienze del XX secolo.

La mitoanalisi di Durand è una analisi dei miti che va oltre una lettura puramente sociologica. Il mito, grazie al suo metalinguaggio, integra e rende presenti nella vita quotidiana e banale gli elementi fondanti dunque eterni,‘sacri’, numinosi, Kerigmatici: divinità, attributi numinosi, archetipi. Nel mito (parola) si esprime il linguaggio dell’essere, ma un essere che ‘incarnatum est’ e proprio per questo può farsi comprensibile per l’uomo. Il mito è infatti ‘racconto esemplare’ che affronta tematiche cosmologiche, escatologiche, teologiche, problemi dell’esistenza umana, dell’individuo e del gruppo al quale appartiene. «Le strutture e le figure mitiche sono lo specchio nel quale possiamo guardare il volto delle opere dell’uomo e decifrare la legenda (che sempre ancora deve essere letta) della condizione umana e del suo destino».

Per Durand la grammatica e la retorica universale del discorso umano si centrano sull’immagine simbolica e sull’elaborazione delle strutture mitiche inseparabili tanto dai contenuti rappresentativi e affettivi quanto dalla coerenza interna dei significati. Durand ha ordinato i simboli fondamentali secondo le categorie della distinzione (o regime diurno che ha come schema le antitesi e i cui archetipi sono puro-impuro, chiaro-scuro), dell’unione e della confusione (o regime notturno, retto dallo schema della discesa e penetrazione i cui archetipi sono profondità e intimità).

La sua antropologia, tanto figurativa quanto strutturale, ha creato una archetipologia generale che cerca le forme invarianti della traiettoria antropologica e una mitocritica che si interessa alle opere della cultura, al fine di comprendere come la dinamica archetipica del mito strutturi, organizzi e infine ‘animi’ le opere dell’uomo. Si passa in tal modo da una mitoanalisi ad una sociologia del profondo (analoga ad una psicologia del profondo) atta a determinare gli archetipi sociali e a esaminare con maggiore chiarezza le derive, le fluttuazioni e anche gli occultamenti che nel corso della storia della società subiscono i grandi miti ispiratori di differenti espressioni: opere d’arte, ideologie, sistemi politici, sociali, economici.

A Durand gli psicologi analisti junghiani riconoscono il ruolo di maestro della mitoanalisi. J. Hillman in particolare ha evidenziato le ampie e articolate possibilità offerte dalla mitoanalisi attraverso la lettura non solo psicologica, ma anche socioistorica delle varie figure mitiche che rappresentano uno stesso archetipo (ad es. Venere, Demetra, Giunone, Diana, come figure di Anima, archetipo del femminile).

La Mitodologia

La ‘fantastica trascendentale’ illustrata negli anni ‘60 dalle ‘Strutture antropologiche dell’immaginario’ è divenuta una ‘mitodologia’, una rifondazione del metodo delle scienze (non più separate in scienze della materia e scienze dello spirito) ad opera del repertorio dei grandi miti archetipici che da sempre hanno presieduto alla costruzione di ogni sapere, compreso il sapere scientifico.

Nel suo libro del 1996 Introduction à la mythodologie. Mythes et societés, opera di profonda e vasta cultura (rara visione sinottica che spazia dai paradossi della fisica moderna alla storia della spiritualità francescana) in cui la chiarezza del linguaggio si accompagna a grande audacia speculativa, Durand elabora l’epistemologia di una vera scienza dell’immaginario e ne sviluppa le molteplici applicazioni nel campo della storia della cultura.

L’immaginario (cf. L’imaginaire, 1994), identificato al mito, inteso come costruzione di immagini archetipiche ridondanti è un linguaggio metastorico di forme psichiche costituito da mitologemi che si attualizzano attraverso dei drammi, storie fondanti che riguardano cosmogonie, dei, avvenimenti iniziali.

Diversamente dalle tradizioni evemeristiche o positiviste che vedono nei miti e nei simboli fictions proiettive o sintomi di infrastrutture sociali, per Durand i miti avrebbero origine da nuclei di senso autonomo. I miti si sviluppano alla maniera di un processo di embriogenesi (nello sviluppo dell’embrione è possibile individuare un carattere direzionale e stabile dei tessuti), dunque non per una causalità a tergo (relazione di causa e effetto), ma per attrazione formativa in cui la causa finale si confonde con la forma compiuta.

La natura e la funzione dei miti si illuminano quando se ne riconosce un senso immateriale, implicante, potenziale, costituito da forme informative primordiali che si attualizzano nello spazio e nel tempo attraverso un processo di ‘ridondanza’ (paradigma proveniente dalle scienze dell’informazione) che fissa il senso eliminando ‘il rumore’. Dietro ogni simbolizzante c’è sempre un ‘altrove’ che lo fonda.

Secondo Durand, lo studio dei miti appartiene a pieno diritto alla nuova epistemologia generale condivisa dalle scienze contemporanee, partecipi della ‘Scienza dell’Uomo’ infine unificata (fisica, medicina, fisiologia, psichiatria, etnologia, sociologia, storia delle religioni ecc.) che ha posto il focus sulla realtà delle forme, dei simboli e sul potere delle immagini, e costituisce una scienza generale della topica e della dinamica dei fatti culturali.

Sulla scia di Bastide e di Moles, Durand esamina le possibilità dell’immaginario e i suoi numerosi effetti strutturanti, verificando come nella vita del mito possano manifestarsi periodi intensi e esplosivi, o momenti di distanza dal reale, o fenomeni per così dire eretici. La sua mitodologia elabora un modello euristico delle figure mitiche (dominanti o recessive) e del loro sviluppo in tendenze che oscillano in un andamento a fasi periodiche di ascensione e discesa, in cui i temi del mito sono captati, rinforzati o si dissolvono. I miti sono dei sistemi in evoluzione, obbediscono a configurazioni successive che Durand indica con metafore geografiche. I miti si inscrivono così in ‘bacini semantici’ in cui confluiscono diverse correnti e da cui nascono corsi più importanti che acquistano nome e in cui si versano altri corsi, ma le acque si dividono, si disperdono in meandri, si dissolvono in un delta.

Attraverso lo studio dei miti sia sincronico che diacronico, osservando come la sisistemica delle forme (sincronia) si pluralizza nella storia (diacronia), Durand esamina le variazioni delle forme culturali nel tempo: sia le opere d’arte individuali (mitocritica) che le forme direttrici di una società (mitoanalisi).

Questa visione culturale meta-storica permette di cogliere una ritmica dell’immaginario in cui un tema mitico cede il posto a un altro.

L’immaginario, non più oscura dimora di credenze illogiche o folli, ma matrice delle rappresentazioni e degli avvenimenti di una società, diviene logica creatrice che fa comprendere non solo l’economia generale del senso e la storia come sistema, ma anche i derivati patologici e le tragedie connesse. Perché i miti respinti provocano rabbiose reazioni quando ci si oppone alla loro incarnazione (vedi il mito di Dioniso che, respinto dalla città per ragioni di ordine, affascina le donne di Tebe che lo seguono sui monti trasformandosi in menadi furiose e terribili).

Durand ha abbozzato una mitoanalisi del XX secolo che conferisce straordinaria coerenza pluralistica e dinamica all’insieme dei fatti culturali della modernità e della postmodernità. Ha rilevato come i miti del XIX secolo (miti prometeici, faustiani, miti di conquista, di lotta contro le tenebre, del progresso della storia, del superbo imperium sulla natura e sugli uomini) siano tramontati lasciando una Wast land disincantata, inaridita, eppure assetata di un farmaco salvifico.

Nei temi della poesia e dell’arte del XX secolo è quindi subentrato un altro regime dell’immaginario, più ‘notturno’: sorge il bisogno di intimità, il rimpianto nostalgico di mondi infantili, l’attaccamento alla terra, la sete di un ritorno all’equilibrio. Da qui la nascita di una nuova antropologia, di una nuova gnosi, la riscoperta della tradizione ermetica e dell’antico mito dell’Alchimia o Arte di Ermete. Nel segreto dei loro laboratori gli alchimisti compivano un’operazione immaginale nell’Unus Mundus, l’universo degli archetipi, un atopon che regge sia il cielo dell’anima che la terra delle localizzazioni oggettive. La loro difficile e segreta ricerca di trasformazione della materia attraverso le varie tappe dell’Opus (nigredoalbedorubedo) indicava un percorso interiore iniziatico la cui meta non era una conquista tecnica o materiale: l’oro volgare o l’elisir di lunga vita terrena, ma l’oro spirituale dei filosofi, la vera sapienza, sempre collegata ad un ‘altrove’ assoluto, vera ricchezza e vero farmaco.

Mito temi e variazioni

Aquarant’anni dalla pubblicazione di Le strutture antropologiche dell’immaginario, Introduzione all’ archetipologia (1960) Gilbert Durand ha continuato con entusiasmo e alacrità nella sua opera di ricercatore indomito sul tema del mito. Le ricerche svolte per quasi mezzo secolo sull’Immaginario, facoltà strategica del pensiero dell’Homo Sapiens, hanno confermato la necessità di una ricerca collegiale, pluridisciplinare e transdisciplinare che sappia evitare, per quanto possibile, le ossessioni personali, i provincialismi delle specializzazioni e gli etnocentrismi a favore di un’unica ‘Scienza dell’uomo’.

Oltre al Centro di Ricerca sull’Immaginario dell’ Università di Grenoble, i circa cinquanta centri di ricerca pluridisciplinari e transdisciplinari sorti, per l’impegno di Durand, nelle cinque parti del mondo hanno elaborato, attraverso un lavoro collegiale, numerosi testi sul simbolo, il mito, il fantasma, il racconto letterario orale e scritto. Ne è un esempio l’opera a quattro mani Mythe, thèmes et variations (2000) nata dalla ricerca intrecciata degli studi di Durand stesso (appassionato della cultura europea come delle culture esotiche della Cina e del Brasile) e della studiosa cinese Chaoying Sun.

Gilbert Durand, grazie alla comunione di studi e ricerche con Chaoying Sun, ha riscoperto la vastità e la profondità del bacino semantico della cultura cinese, vero tesoro dell’umanità, nella cui materia mitica si è immerso ritrovando nuove immagini, miti, simboli le cui radici affondano nelle strutture figurative dell’immaginario umano. Questi sguardi incrociati sul mondo dell’Immaginario sono una garanzia supplementare contro gli abusi dell’etnocentrismo.

In Mito, temi e variazioni, vediamo riconfermata la convinzione profonda che le strutture permanenti si modulano con le variazioni più circostanziali e i dettati oggettivi si intrecciano con le diverse forme delle risposte della soggettività perché la vitalità umana, lungi dall’esprimersi in un unico percorso lineare scandito da tappe progressive, emerge in maniera ciclica, spiraliforme, dedalica, secondo aspetti disordinati e contraddittori in cui ogni movimento in avanti viene integrato da un ritorno indietro che serve a fondare nel fertile sostrato del passato il nuovo seme, la nuova possibilità.

Per Durand l’Immaginario, come il tema di una sinfonia, può modularsi all’infinito, svilupparsi, variare, sempre sorretto dall’ineluttabile solfeggio della natura umana. Già dal titolo, Mito, temi e variazioni (con un gioco di parole su ‘mitemi’ materia di base di ogni universo mitico), Durand vuole annunciare un tentativo sempre più spinto al fine di chiarire le variazioni, derivazioni, recezioni di quei nuclei duri che sono le strutture archetipiche e simboliche del mito. Ma nel contempo allude anche alle tecniche musicali. Mito e musica in effetti hanno molte intenzioni e procedure comuni. L’uno e l’altra si svolgono nel tempo, l’uno e l’altra sono linguaggi non dimostrativi e non descrittivi che per meglio raggiungere la comprensione mentale utilizzano il procedimento principe di ogni persuasione (si potrebbe dire con Charles Mauron di ogni ossessione): la ridondanza.

Durand si sofferma sulla ‘complessità e stabilità della materia mitica’ insistendo sulle motivazioni del cambiamento del mito: polisemia, dunque ‘incertezza’ di molti oggetti simbolici, derivazioni che precipitano le diverse recezioni dei momenti storici, identità culturali che colorano in maniera sfumata un simbolo o un mito, fluttuazioni biografiche che segnano le immagini ossessive, diffusioni di un tema simbolico attraverso differenti recezioni culturali.

Durand mette anche in luce ‘risonanze universali e scambi generali’, ritorna alle permanenze, ai residui dell’Immaginario sotto due modalità antropologiche: la ‘risonanza’ che accorda semanticamente un insieme culturale a un altro insieme e lo ‘scambio generalizzabile’ della simbolica. Citiamo solo un esempio: dopo aver evidenziato il nesso tra i miti delle divinità della folgore e l’agiografia di Sant’Antonio l’Eremita, guarda alla risonanza dei mitemi antoniani in una importante leggenda dell’immaginario cinese, il Xyou Ji ‘Il viaggio verso l’Occidente’. In tal modo ha potuto rinvenire una straordinaria concordanza tra il mito cinese della ‘Età della grande Concordia’ e quello occidentale dell’ ‘Età dell’oro’.

L’Immaginario, luogo del metasapere

Gilbert Durand ha lavorato in fraterna e feconda collaborazione anche con Henry Corbin, l’orientalista che ha rivelato all’Occidente alcuni dei più straordinari testi filosofici e mistici dei maestri iranici e islamici della teosofia orientale centrati sulla fondamentale importanza del mondo immaginale, un mondo intermedio nel quale si schiudono le rivelazioni profetiche e si compiono gli eventi della storia sacra.

Raffigurazione dell'Anima Mundi  secondo l'astrologia rinascimentale
Raffigurazione dell’Anima Mundi
secondo l’astrologia rinascimentale

Durand nei suoi studi sulle strutture antropologiche dell’immaginario aveva concluso che non c’è soluzione di continuità tra immaginario e simbolico e che l’immaginario è il connettore obbligato attraverso il quale si costituisce ogni rappresentazione umana. L’immaginario non è una delle tante discipline, ma il tessuto connettivo tra le discipline, il riflesso, o possibilità di riflessione che consente di scoprire significati ulteriori al di là del significato banale in una continua ricerca di senso. Si tratta del sapere di ogni sapere, di un metasapere che si pone ai confini di ogni conoscenza, una sorta di gnosi che dallo studio del fondamento di ogni sapere evidenzia un ordine che trascende ogni sapere perché li collega tutti.

Durand ha visto nell’immaginario, imaginatio vera, una immaginazione creatrice, la facoltà umana più elevata che ci permette di raggiungere un universo spirituale, un mundus imaginalis, quel mondo intermedio in cui secondo quanto dicevano i maestri persiani «i corpi divengono spirito e lo spirito diviene corpo». Questa facoltà può accedere a un tempo, l’illud tempus dei miti e delle favole, che sfugge alle leggi dell’entropia newtoniana e ha una distesa figurativa (un ‘non-dove’, un atopon) che trascende lo spazio delle localizzazioni geometriche. Come tale permette all’uomo un riscatto dall’oppressione della sua situazione contingente, dalla prigione della pura fattualità meccanica, concedendogli di intravedere una nuova possibilità di libertà e di salvezza.

L’antropologia del sacro

Durand ha esplorato nella sua ‘antropologia del sacro’ le strutture religiose archetipiche dell’uomo. Con il saggio L’uomo religioso e i suoi simboli, ha collaborato al Trattato di Antropologia del Sacro (1989), imponente opera in sei volumi diretta da Julien Ries, il grande studioso di storia delle religioni dell’Università Cattolica di Lovanio.

In tale studio Durand ha ribadito come all’interno della rivoluzione epistemologica della seconda metà del novecento, in accordo con il nuovo sprito scientifico, le Weltanschauungen, le logiche, le assiomatiche della scienza più moderna, è nato un nuovo spirito Antropologico che ha riabilitato i concetti di ‘immaginario’ di ‘simbolo’ di ‘rito’, riscoperto le potenze del pensiero simbolico e riconosciuto l’innegabile perennità della struttura religiosa del Sapiens. Elemento fondamentale di ogni esperienza umana è il desiderio di ‘altrove’.

I simboli sono ritenuti segni non arbitrari che rinviano attraverso un rapporto naturale a qualcosa di assente, o di impossibile da percepire: «il simbolo è una rappresentazione che fa apparire un senso segreto; esso è l’epifania di un mistero».

La grandiosa convergenza della ricerca scientifica più avanzata (fino ai ‘confini della materia’) con la conoscenza religiosa ha permesso di vedere nel processo simbolico il modo in cui una trascendenza si manifesta attraverso segnali immanenti, oppure, nella direzione inversa, il modo in cui le percepibili ridondanze immanenti al tempo e allo spazio costituiscono tracce che indicano un senso che le trascende. L’attività simbolica viene così giudicata come la più specifica dell’homo sapiens che è anche homo religiosus proteso innanzitutto nell’attività di costruzione di se medesimo, o potremmo dire con Jung, in cammino nel processo di individuazione verso il raggiungimento del Sè.

Molti studiosi contemporanei, storici della religione, antropologi, scienziati hanno usato il termine gnosi, secondo Paolo (Rm 2, 20) «conoscenza dell’essenziale» per indicare il cammino di tale ricerca. Ciò che caratterizza questa nuova gnosis è il fatto che non ci sia più separazione tra le intuizioni e i ragionamenti del nuovo spirito scientifico e i discorsi delle religioni e delle mistiche (sermones mythici).

Per Jung le grandi immagini, le immagini archetipiche della psiche, normale o patologica, dell’homo sapiens sono le dramatis personae di ogni scenario mitico e di ogni racconto religioso e (secondo le leggi della sincronicità) del destino umano.

Al convegno transdisciplinare promosso dall’Istituto Mythos «La cerca del sacro e la sua simbolica» (Svizzera, Bougy st. Martin, 1992) e presieduto da Gilbert Durand hanno partecipato rappresentanti delle tre religioni abramiche, antropologi, psicoanalisti e studiosi di simbologia i quali, uniti in un’unica ‘cerca’, hanno condiviso la loro esperienza di studiosi e di uomini che testimoniano nella loro vita la fede abbracciata. Durand nel discorso di apertura ha ribadito che dagli albori l’Homo sapiens è legato al sacro da un legame (= religione) naturale che implica non solo ‘le strutture antropologiche’ del suo immaginario, ma soprattutto le strutture e le funzioni stesse del suo equipaggiamento cerebrale. La neurologia, l’anatomofisiologia dell’encefalo, l’etologia ominide hanno dimostrato come ogni rappresentazione umana sia in qualche modo simbolica. La mediazione rappresentativa del simbolo si manifesta attraverso differenti gradi di collegamento e differenti distanze tra segno simbolizzante e significato simbolizzato.

L’archetipus descrive le strutture plurali, le forme vuote, le istanze ultime della simbolica da cui dipende ogni rappresentazione umana, compreso il ‘linguaggio’ delle rivelazioni. Il religiosus, il collegamento in cui esiste il più grande scarto tra simbolizzante e simbolizzato, usa scale di rivelazione per tentare di raggiungere la sembianza dell’Assoluto ‘completamente altro’. L’arte interviene come funzione ausiliaria, una sorta di sursum, e aggiunge un surplus iconico, musicale o letterale che concretizza attraverso l’opera le aspirazioni degli altri collegamenti.

Durand conclude che il mondo della religione, dell’arte e il mundus archetipalis della psicologia del profondo appartengono all’ordine del collegamento ultimo, sono il vertice della rappresentazione del Sapiens, il punto culminante di ogni simbolizzazione; l’attività simbolica va verso l’invenzione (nel senso etimologico di andare verso) del sacro. Ancora più chiaramente afferma che il religiosus è ciò che modella l’attività simbolica e che questa a sua volta è la definizione del ‘genio’ specifico del Sapiens.

Questo convegno, nel quale Durand presentò il I numero della rivista di psicoantropologia simbolica e tradizioni religiose «atopon», come gli incontri di Eranos, rimangono nella memoria dell’Istituto Mythos come momenti numinosi.

L’antropologia della libertà

Ci sembra impossibile anche solo per dare un’idea del portato culturale di Gilbert Durand non ricordarne il carattere di generoso combattente, poco più che ventenne aveva organizzato in Francia, con i suoi altrettanto giovani compagni di liceo, un gruppo di partigiani della resistenza che si erano posti il compito di esprimere, con tutta la forza ideale della loro gioventù, pronti al sacrificio estremo, un grande No fondatore ad ogni tentazione di vigliaccheria che, in cambio di una pace troppo comoda ma disonorevole, avrebbe tolto alla Francia la sua dignità di nazione libera.

Durand fu catturato dalla Gestapo, torturato e condannato a morte, salvato in extremis dai suoi compagni. Le conseguenze delle ferite di allora hanno continuato ad accompagnarlo fin nella sua vecchiaia.

Ma lo spirito di giovane combattente indomito di quegli anni permane anche nel vecchio saggio pluridecorato al quale è stato offerto dalla comunità Ebraica della Savoia nel maggio del 2001 a Chambéry, sua città natale, l’altissimo riconoscimento della medaglia di ‘Giusto tra le Nazioni’.

In tale occasione egli è riuscito a far sì che il commovente rito di questa cerimonia fosse un vero rito, in cui rivive e si presentifica la più alta forma archetipale dell’uomo, la ricerca del Sé, della propria autenticità di uomo libero, in armonia e rispetto delle leggi eterne del cosmo, che sempre sono e saranno e che già erano prima ancora che fossero mai state formulate da alcuno.

Ha testimoniato il suo essere uomo «che libertà va cercando ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta», intellettuale che da sempre vive, opera e combatte, al di là di ogni engagement politico, per la libertà dell’uomo e della polis che è il contesto in cui l’uomo esercita i suoi diritti, i suoi doveri e la sua ‘professione’ di uomo. Ma ha ribadito il suo No di sempre a ogni politica che in nome del fine giustifica i mezzi e in tal modo tortura, avvilisce, distrugge gli uomini. Proprio i mezzi usati indicano la natura del fine a cui si vuol pervenire. Le recenti esperienze storiche ci hanno fatto dolorosamente comprendere come drammi atroci possono sorgere anche dal tentativo di raggiungere nobili fini quando si utilizzano non altrettanto nobili strumenti. Durand ci ha ricordato che «il campo di concentramento di Buchenwald-Weimar costruiva il suo universo intorno a quella quercia sotto la quale Goethe un tempo aveva sognato la fraternità degli uomini e dei popoli».

Il pericolo è sempre in agguato sotto le forme più insidiose, magari i meravigliosi progressi della tecnica (Timeo Danaos et dona ferentes!).

Il vero dono di Prometeo all’uomo non è la tecnica, attraverso la quale l’uomo non ha potuto dare senso al suo dolore, quanto un sapere atopon, luogo dell’immaginario, spazio profondo del significato, spazio spirituale e dunque spazio dell’utopia, spazio amico che salva dal tempo e dalla morte. Questo sapere è salvifico in quanto permette di allontanare l’angoscia del nulla, la paura della morte e dunque l’impossibilità di accettare la vita. Nel mondo immaginale in cui tutto prende senso ed è supporto simbolico di senso, è possibile anche dar senso al dolore e dunque sopportarlo. è il dolore ‘in-sensato’, il dolore a cui non riusciamo a dare senso che finisce con il divenire insopportabile e rischia di gettarci nella follia.

Può salvare l’uomo, anche da se stesso, solo l’episteme (il sapere che radica) basata non sulla parcellizzazione del reale e su una ottica umana riduttivistica che vede le cose nascere e perire, ma sulla ricerca di com-prensione del Senso del Tutto, della necessità del destino, della legge inviolabile secondo cui tutte le cose si raccolgono nell’unità immutabile.

A. Iacuele e M.P. Rosati


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