L’immaginazione creatrice
e il processo di individuazione
"Il posto delle fragole": appunti per una comunicazione

Immagini che Curano
La funzione immaginativa in analisi e psicoterapia
Convegno nazionale I.C.S.A.T. (Ravenna 22-23 maggio 2004)

A. Iacuele e M.P. Rosati

Platone, nel Fedro , attraverso le parole del faraone Thamus, mostra il suo disappunto per la scoperta della scrittura che avrebbe prodotto la dimenticanza nelle anime di coloro che fidando in essa si sarebbero abituati a trarre i loro ricordi dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro, da se medesimi. Perché solamente nel discorso che ognuno reca in se stesso, scritto nella sua anima c’è chiarezza e compiutezza e verità. Invece venendo a contatto con molte cose senza un vero insegnamento si ottiene solo l’apparenza della sapienza, non la vera sapienza, e si diviene portatori di opinioni, non di verità

immaginazioneL’uomo sa che la sua esistenza è effimera e transitoria soggetta al fluire della vita, al tempo che tutto divora, al mutamento e all’estinzione e che la sua vita, come dice il poeta, è ombra di un sogno (Pindaro Pitica , VIII, 95-96 Effimeri (epameroi: esseri di un giorno) : chi siamo, chi non siamo? Sogno di un’ombra l’uomo).Tuttavia, come Platone ci insegna, alla nostra dipendenza dal mondo della phisis, da ciò che viene da fuori ( exothen ), dagli altri possiamo opporre un dentro ( endothen ), una intimità creata in noi stessi a partire da noi stessi, ( autous up’auton) . Dalla voce che si leva nell’intimità di noi stessi ha origine l’io che conosce se stesso, e dal passato custodito nell’intimo della nostra coscienza scaturisce la sorgente della memoria, la possibilità del ricordo. La prospettiva in cui viviamo la nostra esperienza individuale forgia la nostra anima e la nostra mente, ci fa consci di ciò che siamo, crea la nostra peculiare memoria, grazie a quel filo che nel fluire del tempo collega le impressioni derivate dai fatti dispersi, dagli eventi esterni della vita. Il soggetto si costruisce attraverso ricordi nati dall’interno, risultato di elaborazione, di selezione, della modalità in cui si vive il fluire interiore.

Il processo di interiorizzazione, la presa di coscienza di ciò che incontriamo, la tensione necessaria a strutturare nell’intimità la memoria profonda costituiscono il processo di individuazione, il vettore del Sé. Esistere è un trascorrere che termina con la morte e l’oblio, ma l’uomo può divenire “pastore e custode dell’essere” se sa creare un mondo interiore coerente che accolga le singole effimere esperienze, i più significativi vissuti individuali strutturandoli nella trama di una memoria vera e costruendo nella coscienza, nell’ endothen una diga che impedisca al tempo e alla natura di tutto travolgere e dissolvere.

Il discorso interiore nato dalla esperienza della nostra profonda intimità e consolidato nella memoria diviene linguaggio poetico e poietico che ci fa riconoscere il passato nel presente e vivere la presenza anche nell’assenza. Perciò Mnemosyne figlia di Cronos e Oceano è madre delle muse e alla sua sorgente, come indicano le laminette orfiche, debbono abbeverarsi le anime dei defunti che vogliono sfuggire all’oblio e alla morte definitiva.

Grazie al ricordo del passato vivente nella memoria l’esistenza umana libera il tempo dalla sua assoluta caducità e lo constituisce come futuro aperto a progetto, desiderio, speranza. Perché nulla si può sperare a partire soltanto dal presente. Il presente dell’uomo è sempre un presente storico nel quale la memoria del passato fondata su un universo ontologico di significati si armonizza con il progetto del futuro.

Infatti la vera memoria, non è mera presenza fattuale di un passato, archivio dei resti della vita e della nostra biografia, né soggezione ad un inamovibile destino che pretende di scrivere il nostro futuro come necessaria conseguenza di quel passato. Anche se il passato è saputo o riconosciuto, e da esso diviene prevedibile il futuro è sempre l’uomo che a partire dalla sua stessa interiorità dà vita alla sua memoria, ne fa coerenza interiore che gli permette di opporsi ad una memoria esteriore, come tale falsa e indifesa, e confrontarsi con il caso e il destino.

La vita effettiva consiste in un denso impasto di immagini che costituiscono un continuum , un pieno multidimensionale in cui convergono spazio e tempo, suoni e sapori, emozioni e pensieri. Esse sono la realtà in cui il soggetto e l’oggetto continuano l’uno nell’altro senza le distinzioni della gnoseologia e della epistemologia. Le cose del mondo a cui ci siamo legati e che abbiamo amato sono le cose del mondo come si sono aperte in noi, le immagini che di esso abbiamo creato sì che possiamo dire che il mondo siamo proprio noi e la particolare angolazione che si è costituita nella nostra parabola. Esso è la prospettiva che noi rappresentiamo e non può essere separato da noi. Il cammino della verità non sorge da alcuna struttura previa, non ha meta già definita, è continuo sforzo e critica, desiderio di conoscenza e linguaggio fatto di parole parlanti, non di parole parlate. Richiede l’incessante e instancabile sicurezza del tempo della mente, del tempo dell’ascolto e dell’intelligenza del suo sempre inconcluso significato. Le immagini simboliche, proprio in quanto grazie alla risonanza che da esse emana non si esauriscono nell’immediato, ma danno luogo ritraendosi alla creazione di uno spazio di pensiero, di riflessione, di meditazione, diventano scrigno di senso e specchio della vita dello spirito. Racchiusa in sé, nella sua solitudine, l’«anima» struttura la sua interiorità, vaso alchemico di ogni trasformazione e di ogni metanoia e da essa sorge la radice della memoria e della conoscenza e la «costruzione» dell’ essere dell’uomo, del suo Sé. I filosofi chiamano cammino della verità ciò che gli psicologi analisti chiamano processo di individuazione, raggiungimento del Sé.

Il mondo moderno ha frugato con inquietudine sotto le apparenze, nella convinzione che la realtà fosse solamente sotto, dietro e non si è reso conto che non appena ci si trova davanti a ciò che prima stava dietro ecco che ipso facto questo stesso non è più un rovescio ma a sua volta diventa un dritto il quale implica ancora un ulteriore rovescio, senza sosta inconclusivamente. Non bisogna cercare oltre le apparenze, oltre le immagini: perché oltre ci sono altre immagini. La nostra vita intellettuale, la nostra coscienza, la nostra affettività sono inseparabili dalle immagini attraverso cui ci avviciniamo alla natura prima delle cose sì che possiamo dire che le immagini sono esse già la realtà, il fondo, l’essere, il principio.

Il tema dell’immaginale è presente in molte filosofie e saperi tradizionali.

L’idea tradizionale islamica di un mundus imaginalis vuole significare come nella essenza più intima dell’uomo il me profondo e il mondo non sono realtà separate ma coincidenti. Il me e il mondo consistono entrambi in immagini – visioni, orizzonti, aperture, luci – ma non sono per questo motivo vuoti, vani e rarefatti perché al contrario solo le immagini sono realtà dure, effettive, permanenti e eterne.

Simili le idee espresse nella dottrina del buddismo. La idea che dobbiamo operare un lungo esercizio per arrivare a scoprire la natura immaginale della realtà non deve portare alla falsa presunzione che l’io possa distinguersi da essa librandosi in sé perfetto e che essa sia mero vuoto. Tutto, sia l’io sia il mondo, sono immagine. Ma l’immagine non è il nulla, è una forma, una prospettiva.E nessuna prospettiva può darsi senza tutte le altre prospettive. L’essere parmenideo, l’essere che è se stesso, è spazio, coesistenza, compresenza.

Nel nostro secolo, ci fa notare Gibert Durand, i giganteschi mezzi di riproduzione e trasmissione di immagini hanno creato una inflazionata civiltà delle immagini che ha comportato all’interno della civiltà occidentale una rivoluzione culturale gravida di temibili effetti che minacciano l’umanità stessa del Sapiens. La civiltà occidentale infatti, a differenza delle altre civiltà non occidentali, è rimasta fino ad oggi dipendente dalla cosiddetta “galassia Gutemberg” cioè dalla supremazia della stampa, della comunicazione scritta – con i suoi procedimenti logici, sintattici, retorici – sull’immagine mentale (immagine percettiva, immagine ricordo, immagine fantastica, ecc.) o iconica (raffigurazioni dipinte, disegnate, scolpite, fotografate). Ciò in quanto ha fondato il principio di realtà su una verità unica, su un’unica procedura di deduzione della verità, su un modello unico dell’assoluto inperrscrutabile e innominabile di cui si è eretta a sola erede. La sua filosofia di stampo aristotelico-cartesiano basata sulla esclusiva valorizzazione dei procedimenti razionali e della logica deduttiva del post hoc propter hoc ha dato mostra di iconoclastia endemica e di notevole sfiducia nei procedimenti immaginativo-intuitivi. L’improvviso instaurarsi di un regno onnipresente dell’informazione che veicola immagini visuali che non poggiano sulla supremazia dell’immaginazione e sul riconoscimento della plurivocità e dello spessore semantico del simbolo ma solo sulla fiducia nel metodo sperimentale e nella teorizzazione matematica, proprie del razionalismo iconoclasta dell’occidente possono secondo G. Durand provocare un “effetto perverso”. L’enorme produzione ossessiva di immagini convogliate nel dominio della distrazione e della cosiddetta informazione impongono troppo imperiosamente il proprio messaggio a ‘spettatori passivi’ che vengono orientati dalle attitudini collettive della propaganda fino a restare privi di ogni possibilità di giudizio di valore e dunque di scelta, parallizzati, anestetizzati nella loro creatività immaginativa, fino all’annullamento.

Per tale ragione è oggi ancora più importante – dice G. Durand – rivalutare, contro l’avanzata dello scientismo razionalista il Romanticismo, il Simbolismo e il Surrealismo i quali hanno promosso una rivalutazione positiva del sogno e dell’immaginario preparando il terreno da cui è nata la psicologia del profondo. A S. Freud va infatti il merito di aver riproposto l’attenzione delle immagini oniriche la cui importanza ben nota nel mondo antico e fino all’età medioevale era completamente ignorata dal positivismo occidentale. A C. G. Jung il merito di aver riscoperto le immagini archetipiche proprie dell’inconscio collettivo e il potenziale terapeutico della immaginazione attiva. Soltanto l’immaginazione attiva può ampliare il nostro orizzonte visivo, sollevarci su un piano più alto, trasformando così la nostra visione degli avvenimenti, la nostra capacità e possibilità di comprensione del mondo, consentendoci un autentico cambiamento, una vera metanoia.

Ricordando lo splendido film di Ingmar Bergman capolavoro dell’arte filmica del ‘900 “Il posto delle fragole” possiamo usare come esemplificazione di immagini creatrici (e dunque in quanto tali terapeutiche) le immagini dei sogni e le immagini delle visioni scaturite dall’intimo dell’anima del protagonista, che riescono a far vivere la sua memoria profonda consentendogli una autentica metanoia.

Il sogno iniziale

Il protagonista, Isak Borg di settantasei anni, alla vigilia della solenne festa di giubileo dopo 50 anni di onorata professione come scienziato fa un sogno terribile che lo porta a svegliarsi alle 3 del mattino di soprassalto. Vaga nella città deserta. C’è un silenzio inquietante. Il grande orologio della bottega dell’orologiaio è senza lancette, anche l’orologio nel taschino è senza lancette. C’è un uomo di spalle, quando Isak si avvicina e lo fa girare scopre che è senza volto, crolla e diviene un mucchio di polvere. Isak prova un profondo senso di smarrimento. Continua a camminare senza trovare la strada. Il silenzio è interrotto da un suono di campane a morto. C’è un corteo funebre. Il carro senza guidatore sta per investirlo, poi cozza contro il muro della chiesa fracassandosi. Scivola a terra una bara che si apre; Isak si avvicina e una mano che esce fuori dalla bara lo tira a sé con forza. Nel cadavere dell’ uomo vestito da cerimonia Isak spaventato vede se stesso.

Il nostos in compagnia di Marianne

In seguito a questo sogno prenderà una decisione repentina. Non prenderà più l’aereo per raggiungere il luogo della cerimonia bensì utilizzerà le quattordici ore che lo separano per fare il viaggio con la sua auto attraverso il paese (una sorta di nostos ). La nuora Marianne, che a causa di un contrasto con il marito da qualche tempo era ospite del professore chiede di accompagnarlo. è questa l’occasione in cui la nuora (giovane donna) esprime la sua opinione sul suocero, sulla sua durezza e rigidità che hanno reso difficile la vita del figlio e quindi hanno pesato negativamente sulla loro vita di giovane coppia. Isak ascolta, sorpreso e colpito da quella sincerità così diretta e dall’immagine di sè che gli viene rimandata.

Il posto delle fragole selvatiche

Durante il viaggio Isak sente l’impulso di fare una piccola deviazione per fermarsi presso la vecchia casa immersa in una foresta di betulle e affacciata sulla baia, nella quale aveva villeggiato assieme ai genitori, ai nove fratelli e alla cugina Sara, ogni estate fino all’età dei venti anni. Là va a ricercare “il vecchio posto delle fragole selvatiche”. E lì, mentre assapora le fragole, ha una visione di grande intensità che lo riporta alla sua giovinezza: gli compare la cugina Sara, l’amore della sua vita, con cui era segretamente fidanzato, ma che si fa sedurre dal fratello Sigfrid, molto più audace e intraprendente del troppo “a modo” Isak. Sara, pur tra le lacrime di rimorso, non può resistere alla gioiosa vitalità di Sigfrid che diventerà suo marito e al quale darà 6 figli.

A questo punto compare nella realtà una giovane donna, in tutto somigliante alla cugina Sara della visione, che in procinto di partire per una vacanza in Italia, decide di chiedere un passaggio al vecchio professore Isak al quale si rivolge con affettuosa indulgenza e dal quale viene ricambiata da affettuosa ironia. Con lei viaggiano due giovanotti: il fidanzato ufficiale studente di teologia e un simpatico amico futuro medico (una sorta di riedizione del giovane serio Isak e dello scanzonato fratello).

Un disperato esempio di vita coniugale

La macchina guidata dal professore si scontra con una macchina proveniente in senso contrario che sbanda. Dall’incidente emergono tutti incolumi ma la macchina che ha sbandato è inutilizzabile e i due occupanti vengono ospitati nella macchina di Isak e di Marianne. Essi sono due coniugi di media età, tra di loro in palese antico contrasto, lui insopportabilmente sarcastico, con un atroce atteggiamento di superiorità, lei in preda ad una crisi di nervi, che si torturano vicendevolmente offrendo una triste visione della vita. Marianne, che cerca di difendersi da ogni disperante e disperata negatività, fortemente infastidita dal loro comportamento li prega di scendere: i giovani ospiti non devono essere contaminati da un troppo amaro esempio di vita vissuta.

La gratitudine dei semplici

Il rifornimento di benzina verrà fatto presso una stazione in una località in cui Isak aveva iniziato la sua carriera professionale come medico. I gestori sono 2 coniugi, persone semplici, autentiche e sorridenti, che lo riconoscono e che rifiutano decisamente di essere pagati per esprimergli la loro antica gratitudine “mi avete visto nascere, avete aiutato a venire al mondo tutti I miei fratelli. E ci ricucivate quandi ci facevamo qualche ferita, ci curavate quando eravamo ammalati; avete curato tutti quanti qui attorno quando facevate il dottore qui… Noi non dimentichiamo. Chiedete a chiunque in città o nelle campagne qui attorno. Tutti si ricordano del dottore e di ciò che ha fatto per loro”. Promettono che chiameranno Isak il figlio che aspettano. Anche queste immagini di lui stesso che gli vengono rimandate con tanta sicurezza turbano Isak che inavvertitamente pronuncia le parole: “Forse avrei dovuto restare qui”.

Dov’è l’antico amico 

A pranzo, su una terrazza dalla quale si godeva una splendida vista sul lago, tutti sono commossi dai ricordi pieni di umanità che scaturiscono dalla memoria di Isak in quella atmosfera di bellezza e pienezza. I discorsi dei due giovani amici di Sara si incentrano sul senso della vita per l’uomo moderno. Per il futuro medico, razionalista, l’uomo moderno vede solo l’insignificanza della propria vita e il terrore della morte biologica. Per il teologo l’uomo non può rassegnarsi a ciò e deve cercare la fonte eterna di ogni emanazione. La discussione teorica si spegne lentamente e in maggior sintonia conl’atmosfera di tranquillità del momento Isak, Marianne e Anders il futuro teologo, recitano alternandosi come traendoli da un’antica profonda memoria versi solenni sulla nostalgia e la ricerca dell’antico amico.

“ Dov’è l’amico che ovunque vo cercando? L’alba è l’ora più intensa della nostalgia. Quando il giorno si invola ancora io non trovo Lui anche se il cuore è ardente, vedo la Sua traccia dappertutto ove una forza si disvela. In una spiga di grano, nel profumo di un fiore. In ogni segno, in ogni spiro d’aria c’è l’amor Suo C’è il Suo sussurro nella brezza estiva ”.

L’incontro con la madre 

La tappa successive del viaggio sarà una visita di Isak alla vecchia madre di 96 anni. La madre è lucida e ricorda tutti i suoi figli, di cui l’unico sopravvissuto è Isak, e Sarah moglie di Sigfried. Ma i suoi ricordi sono gelidi come l’atmosfera che la circonda, tutto è ordinato, asettico: la sua memoria assomiglia alla scatola in cui conserva alcuni oggetti del passato, simili a relitti di un naufragio, tra cui un orologio senza lancette, in cui Isak riconosce l’orologio dell’incubo mattutino. Marianne, a cui Bergmann affida il ruolo di una umanità che vuole affermare la vita, si sente rabbrividire da questa questa donna fredda come il ghiaccio, più spaventosa della morte stessa, circondata dalla solitudine.

Lo specchio di Sara 

Si riprende il viaggio e Isak fa un nuovo sogno incubo. La cugina Sara lo fa guardare allo specchio ed egli vede un vecchio brutto professore emerito che celebra il suo giubileo e nonostante tutta la sua scienza non sa nulla della allegria della vita e del gioco dell’amore. Isak nel sogno, attraverso i vetri della finestra chiusa, assiste alla vita felice che Sara e Sigfrid conducono insieme nella casa. Nessuno si accorge di lui che disperatamente bussa a quella finestra. Eppure Isak sente che questi sogni lo stanno conducendo a qualcosa:“Non posso negare che in questi sogni ci fosse una sorte di premonizione che influenzò la mia coscienza e vi si insinuò con una forza implacabile….Mi immergevo attraverso un caleidoscopio di immagini strane verso un centro al quale tendevo benché inerte e quasi incosciente.”

Il giudizio e la pena 

Il sogno continua con il signor Alman, proprio il personaggio impietoso e sarcastico dell’incidente d’auto che lo chiama quasi ad una prova d’esame professionale. L’esame va male: Isak non riesce a vedere nulla nel microscopio, non sa leggere strane lettere che indicano quello che dovrebbe essere il primo dovere di un medico (chiedere perdono). Crede morta una paziente che invece scoppia in una risata isterica e si rivela essere l’infelice moglie di Alman. Sul libretto dell’esame viene scritto il giudizio: incompetente; a ciò si aggiungono le accuse di indifferenza, egoismo, mancanza di riguardo formulate dalla moglie. Ed ecco Altman conduce Isak nella foresta ove assiste ad una scena in cui la propria moglie (morta 30 anni prima) dopo essersi fatta sedurre da un corteggiatore occasionale, rimprovera della sua situazione la indifferente gelida superiorità con cui suo marito Isak l’ha sempre trattata.

La pena che Alman decreta per Isak è la solitudine che del resto si è conquistata con il suo freddo atteggiamento da chirurgo di fronte alle difficoltà o alle cose spiacevoli della vita.Nel sogno ritorna la cuginetta Sara, a cui il vecchio Isak esprime nostalgia e rimpianto: “Non è sempre stato così, se tu fossi rimasta con me. Se solo tu avessi avuto un po’ di pazienza.” Sara si avvia camminando svelta fino a scomparire senza che il vecchio Isak riesca a raggiungerla.

Marianne afferma la vita e l’amore 

Isak si sveglia, vede Marianne seduta nella macchina accanto a lui e le racconta di aver fatto uno strano sogno. Isak sente che questi sogni lo stanno conducendo a qualcosa:“Non posso negare che in questi sogni ci fosse una sorte di premonizione che influenzò la mia coscienza e vi si insinuò con una forza implacabile….Mi immergevo attraverso un caleidoscopio di immagini strane verso un centro al quale tendevo benché inerte e quasi incosciente.”…

“è come se cercassi di dire qualcosa a me stesso, qualcosa che non voglio udire quando sono sveglio…che sono morto pur essendo vivo”.

Marianne ha un trasalimento e per la prima volta riesce a parlare a Isak del suo problema con il marito Evald, figlio di Isak e che lei definisce simile al padre. Quando aveva annunciato ad Evald di aspettare un bambino, e che era decisa ad averlo la reazione di Evald era stata terribile:“Questa vita mi disgusta e non voglio avere una responsabilità che possa costringermi ad esistere un giorno di più di quanto voglia. …Tu hai un dannato bisogno di vivere di esistere e di creare la vita… il mio bisogno è di essere morto, completamente morto.” All’ultimatum del marito: o il bambino o me, Marianne aveva risposto andandosene di casa e chiedendo ospitalità al suocero, sperando in un suo aiuto. Isak è sinceramente addolorato e comprende come la reazione di Evald nasca dalla sua esperienza di bambino vissuto in un’atmosfera di paura, infedeltà, sentimenti di colpa, insomma “una graziosa riproduzione dell’inferno”, proprio l’atmosfera creata dai due coniugi che avevano provocato l’incidente. Eppure Marianne afferma: “ma noi ci amiamo”.

Isak dà e riceve amore 

Il viaggio è arrivato al termine. L’auto si ferma presso la casa di Evald dove nel frattempo la governante di Isak era sopraggiunta sistemando ogni cosa. Non ci sono grandi manifestazioni di affetto. I sentimenti e le emozioni, come sempre, sono contenuti, ma si ha l’impressione che tutto scivoli con più armonia, anche tra Marianne ed Evald.

.Dopo la cerimonia del giubileo Isak torna finalmente a casa del figlio per riposare. C’è atmosfera di insolita cortesia e di trattenuta tenerezza tra il professore e la premurosa governante. Sentendo canti e suoni provenienti dal giardino Isak si affaccia alla finestra. La giovane Sara con i suoi due compagni prima di riprendere il viaggio verso l’Italia gli dà uno speciale saluto: “Ciao, papà Isak, lo sapete, siete voi il mio vero amore, oggi, domani e sempre” grida allegramente e sparisce nella notte estiva.

Isak tenta anche di parlare con il figlio, si interessa discretamente delle sue decisioni rispetto a Marianne e sente che il figlio, pur nella sua incertezza, ha deciso di rimanere con Marianne. Vorrebbe anche dirgli che rinuncia alla restituzione del prestito, ma il loro discorso è interrotto da Marianne che entra in camera per salutare Isak il quale riesce ad esprimerle il suo affetto che viene ricambiato .
Isak: Ti voglio bene Marianne, -.
Marianne: ti voglio bene papà Isak, lo bacia leggermente sulla guancia e sparisce.

Non ci sono più fragole 

La giornata è veramente finita e Isak cerca di prendere sonno ritornando ai ricordi dell’infanzia. Ritorna con la memoria al posto delle fragole selvatiche e a tutto quello che aveva sognato o rievocato o provato durante quella giornata.

Ecco un’ultima visione, dolce e rappacificante. Si affaccia la cugina Sara, che gli ricorda che non ci sono più fragole, è ora di andare a cercare suo padre e sua madre e Lei lo aiuterà. “Mi prese per mano e d’un tratto ci trovammo in uno stretto braccio di mare dall’acqua cupa e profonda. La riva opposta che si elevava in un dolce pendio erboso, era illumminata dal sole.” Dall’altra parte del fiordo scorge il padre che pesca tranquillamente e la madre che legge un libro. Nonostante egli pur volendo chiamarli non riesce ad emettere suoni essi lo scorgono e lo salutano. C’è anche il vecchio panfilo con la vela rossa che naviga liscio alla brezza leggera, e lo zio Aron e i fratelli, le sorelle, la zia, Sara che solleva in alto il bammbino. La voce di Isak, portata via dalla brezza estiva, non giunge a destinazione, ma “non mi dispiaceva, anzi mi sentivo piuttosto allegro”.

* * * 

“Il posto delle fragole” può essere visto come il luogo utopico costruito nella memoria interiore dal quale può nascere e/o rinascere il processo creativo del “costruire la propria vita” o processo di individuazione in cui lo spirito afferma la propria libertà interpretativa rispetto alla rigidità di di un destino già scritto fondato su una memoria che viene dal di fuori, da documenti oggettivati e oggettivanti.

Questo luogo utopico è il luogo iniziale, quel paradiso perduto, verso cui vanno tutte le nostre aspirazioni. In esso regna la coincidentia oppositorum , propria di ogni situazione iniziale, che precede ogni scelta, quando le decisioni (tagli) non sono ancora prese e tutte le possibilità sono compresenti.

Ritornare a questo luogo utopico salvato all’interno della coscienza nell’endothen, vuol dire attivare un processo neghentropico, sottrarsi all’entropia del tempo lineare che porta irrimediabilmente alla morte (quando les jeux sont faits et rien ne va plus). Ciò permette di ridare vita al passato, di leggerlo in un nuovo senso, di riscattarlo, di redimerlo, di recuperare ciò che sembrava essere stato definitivamente eliminato per riconsegnarlo al mondo delle possibilità, per costruire a partire da esso un futuro che non sia già dato, già previsto, cioè solo passato immodificabile congelato dal rigor mortis.

Permette quindi quell’apertura (o riapertura del gioco della vita) a partire dalla quale solamente è possible sottrarsi al dominio paralizzatore di un potere altro che non lascia alcuna apertura alla possibilità e alla costruzione del proprio essere. Permette di sottrarsi all’idea di un destino che abbia già deciso unilateralmente la meta finale senza concedere alcuna possibilità di confronto, di esame, di giudizio, di appello.

Il posto delle fragole è dunque un átopon, un luogo della memoria, che alberga nel profondo di ogni persona. In esso è ogni origine e ad esso si deve tornare per ricominciare daccapo, per trovare la forza e l’energia per un continuo rinnovamento, per combattere la legge inesorabile dell’entropia, per andare oltre ogni forma di nichilismo. Questo significa affermare la possibilità di una propria individuazione ricontattando il mito del sole che ogni mattino nasce nuovamente portandoci la luce di un giorno nuovo, dell’aurora consurgens che è alla base di ogni processo alchemico come di ogni trasformazione profonda e di ogni processo di guarigione.

A. Iacuele e M.P. Rosati

 


Articoli correlati