III Convegno internazionale
Istituto di Psicoantropologia Simbolica MYTHOS (*)
Roma Aprile 1994
…Sono figlio della Terra e del cielo stellato,
sono riarso di sete e muoio, ma datemi, subito,
la fredda acqua che scorre dalla palude di Mnemosine…
Roma, a Palazzo Baldassini, si sono svolti nei giorni 15 e 16 aprile 1994 i lavori del III Convegno Internazionale di Psicoantropologia Simbolica e Tradizioni religiose promosso dalla rivista « átopon »e dal Centro Studi Mythos Istituto di Psicologia analitica, Psicoantropologia simbolica e Tradizioni religiose di cui sono presidenti Gilbert Durand e Julien Ries.
Per due giorni molto intensi storici, filosofi, teologi, studiosi delle religioni, psicoanalisti si sono impegnati sul tema in un dialogo interculturale e in una visione transdisciplinare che, al di là della specifica precipua competenza di ciascun relatore, ha dato testimonianza dell’unità di una cultura che sa permanere viva e creatrice grazie all’esperienza profonda e meditata del suo passato, delle sue radici, delle sue tradizioni.
Il Convegno è stato aperto da una lunga interessantissima relazione del presidente, il professor Giovanni Pugliese Carratelli, accademico dei Lincei, insigne studioso del mondo classico e della cultura orfico-pitagorica.
Il Professor Pugliese Carratelli si è soffermato sull’importanza e la peculiarità di questa cultura, sorta in Magna Grecia, che valorizza fortemente la memoria, rappresentata come la divina Mnemosyne, madre delle Muse. Le fresche acque che scorrono dalla fonte di Mnemosyne costituivano un farmaco salvifico di vera vita celeste e di liberazione dagli affanni della vita mortale per gli iniziati ai misteri orfici, i quali durante l’esistenza dedicata alla cura del Nus, l’intelletto illuminato dalla coscienza, erano arrivati alla consapevolezza della propria origine archetipica, espressa nella formula segreta di riconoscimento “sono figlio della terra e del cielo stellato” che, incisa in una sottile lamina d’oro arrotolata, li accompagnava nella tomba. Tale profonda consapevolezza, come l’abitudine ad un’indagine complessa che non si fermasse mai soltanto all’esame dei fatti esterni del mondo visibile, ma che sapesse guardare all’interiorità e studiare armonicamente la vita dell’organismo fisico insieme a quella della psiche, era, come ha ricordato Pugliese Carratelli, il fulcro della scuola medica ippocratica ispirata dal medico pitagorico Alcmeone. Fondamentale importanza veniva data all’anamnesi (memoria del passato), nella quale il singolo fatto contingente veniva illuminato dalla consapevolezza proveniente dall’indagine profonda del passato e compreso attraverso i nessi che lo legano all’universale. Per tale motivo l’anamnesi era infatti ritenuta momento inscindibile della comprensione del presente (diagnosi) e della previsione degli eventi futuri (prognosi).
Il tema della profezia, predizione del futuro, fodata sulla divinazione del passato (arte nella quale eccelllevano i Greci) che consiste nel saper cogliere ciò che sempre è stato, sempre è e sempre sarà, superando attraverso un’intuizione conoscitiva le anguste definizioni temporali dell’hic et nunc, è stato ripreso dal professor Armand Abécassis, filosofo e studioso di esegesi rabbinica, che ha illustrato il fondamentale e dirompente ruolo politico e sociale del profeta nel mondo giudaico. Il profeta usa un linguaggio simbolico, ricco e suggestivo, capace di rompere ogni sistema che rischia di chiudersi ed irrigidirsi, al fine di aprire l’animo di coloro che lo ascoltano alla voce del Trascendente, su cui si fonda ogni istituzione umana e temporale, ma che rimane sempre un Altrove, e additare una via di salvezza proprio nel ricordo di questo Altrove, mai nominabile, mai definibile.
Rino Fisichella, professore di teologia fondamentale, ha ripreso l’insegnamento biblico circa la memoria intesa non solo come ricordo di eventi passati, ma come fondamento delle relazioni interpersonali in quanto garante del valore del presente e di un futuro carico di senso. Nella storia della Chiesa infatti, proprio la memoria dell’Evento della Cena Pasquale crea contemporaneità ed è pegno di vita futura come partecipazione piena alla vita divina. E sulla memoria si innesta sia la tradizione orale che quella scritta la cui trasmissione è la vita stessa della Chiesa.
Il riconoscimento del Trascendente, la coscienza del mistero della vita umana sono presenti già agli albori dell’umanità: i riti funerari, gli affreschi parietali delle grotte del paleolitico testimoniano un’arte simbolica e legata a tradizioni culturali vive nella memoria dell’Homo Sapiens, ma già presenti anche nell’Homo erectus. J. Ries ha ribadito, avvalorandola con le ultime scoperte scientifiche, la sua teoria dell’Homo Religiosus: un uomo che con la sua coscienza estetica e con il pensiero mitico mostra una coscienza religiosa, cioè una profonda consapevolezza della sua posizione nel cosmo, del mistero della vita e della morte e che si pone il problema della sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Da questa coscienza religiosa nasceranno le grandi religioni che si trasmetteranno grazie alla memoria attraverso le tradizioni inizialmente orali e quindi scritte.
L’importanza della tradizione orale, che ha per strumento principale la parola e per archivio la memoria, è sottolineata da Pietro Ravasio, missionario Comboniano e antropologo, attraverso la testimonianza di alcune culture africane (Sidamo e Zande) non schiave della tecnica e con profondo senso del sacro e una visione religiosa dell’universo e nelle quali si ´incarna la bellezza iniziale del mondo, l’innocenza, la grazia.
La cultura africana e i suoi riti iniziatici, come quelli degli uomini-belva, assimilati ai riti misterici dell’orfismo, sono stati oggetto della relazione del grande etnoantropologo Jean Servier. Con le iniziazioni gli uomini-belva cercano di ritrovare il mistero delle origini, di possedere la potenza del Sé, attraverso il contatto con il mondo muto della foresta e gli animali che vi abitano. Come è del resto narrato dal mito di Orfeo, solo dopo la discesa agli inferi, cioè il confronto con l’inconscio e la presa di coscienza della propia parte animale, è possibile l’emergere dell’Anima.
Un profondo confronto con sé stessi, vissuto nell’interiorità, e da cui nasca una memoria, che sia ricordo e comprensione del senso più profondo degli eventi del passato, risponde all’aspirazione della psiche di fondere la finita esperienza esistenziale con l’intuizione dell’essere partecipe dell’eternità e infinità del cosmo.
Tale cammino di ricerca di una profonda consapevolezza attraverso una riappropriazione di quella memoria archetipale su cui si fonda la nostra esperienza del mondo e si struttura la nostra storia personale, al pari di quella dell’umanità, è visto dalla Psicologia analitica Junghiana come una delle possibili vie di salvezza offerte oggi all’uomo occidentale. Nella relazione di A. Iacuele e M. Rosati si dice che l’arte della memoria, coltivata da ogni tradizione sapienzale, può aiutare l’uomo ad attingere alla ricchezza del proprio bagaglio archetipico, a comprendere che egli è “figlio della terra”, ma “anche del cielo stellato”. Pur partendo dagli angusti limiti dell’Io, l’uomo può arrivare a superarli, guardando al Sé, alla Totalità che include l’Io. ´’Partendo da te stesso avrai trovato la via per uscire da te stesso”, aveva detto Monoimo.
Michel Hulin, professore di filosofia indiana alla Sorbonne, ha mostrato come al nostro vocabolo “memoria ” corrispondano in sanscrito due termini dal semantismo sconcertante e che rappresentano due concetti alquanto diversi: smirti ( la funzione passiva della memoria) e smarana (l’atto del fissare lo spirito su qualcosa e quindi del ricordare). Gli Yoga Sutra danno un valore negativo alla memoria inconscia, essenzialmente affettiva che tende a trattenere la dimensione di frustrazione- gratificazione delle esperienze passate, e dunque incatenare l’uomo al dinamismo del samskara (eterno angoscioso flusso dell’illusione e delle sofferenze). Gli Yoga Sutra invitano l’uomo a spezzare questo cerchio eliminando i klesha (piaghe, ferite inerenti alla condizione umana) e facendo sì che gli smirti (atti di lucidità) lavorino nell’inconscio e a poco a poco liberino la memoria dai suoi aspetti passionali e confusionali, affinché egli possa, ridivenuto trasparente a se stesso, divenire Purusha, l’Uomo cosmico.
NOTA:
* L’istituto Mythos ha pubblicato gli atti del convegno nel IV volume della rivista “Atopon”