L’uccello d’oro Spunti per riflessioni

Annamaria Iacuele

Di questa fiaba (riportata di seguito all’articolo), così bella e ricca, vogliamo sottolineare alcuni passaggi che possano essere spunti di riflessione.

uccellodoro2Cominciamo dalla situazione iniziale descritta con rapide pennellate. Un re possedeva dietro il suo castello un giardino delle delizie nel quale c’era un albero che dava mele d’oro. Ma quando le mele, arrivate a maturazione, vennero contate, dovette accorgersi che già il giorno dopo ne mancava una e così nei giorni seguenti. E’ un momento importante quello in cui ci accorgiamo che, giorno dopo giorno, dal nostro giardino vengono a mancare i frutti preziosi a cui fino a quel momento non avevamo dato particolare attenzione, dandoli quasi per scontati. Il prenderne coscienza fa sì che possiamo iniziare la nostra ricerca per ritrovare ciò che è venuto meno, per ricostituire il nostro giardino nel suo splendore iniziale. E così il re della nostra favola chiede ai suoi figli di fare la guardia alle sue mele d’oro.

La sovranità del re, la sua regalità (gli psicoanalisti junghiani direbbero la sua funzione conscia dominante) è affiancata dai suoi tre figli, altri aspetti della sua personalità, espressioni simboliche della sua psiche. I due figli maggiori, quelli su cui conta maggiormente, possono rappresentare quegli aspetti consci (quelle funzioni psichiche ausiliarie) che ci aiutano a inserirci nel contesto sociale ad armonizzarci con esso e a vivere nella maniera più idonea e piacevole in questo mondo. Sul terzo figlio il re non sembra fare troppo affidamento, proprio come la nostra mente trascura alcuni aspetti che ci sembrano poco significativi per la nostra affermazione nel mondo e non coltivandoli li lascia sprofondare nell’inconscio, eppure sono questi che vanno a formare quella quarta funzione psichica, la più permeata dalle profonde enrgie dell’inconscio, sorgente inesauribile della forza creativa.

Il cammino individuativo, il percorso che ci porta a divenire ciò che siamo, a fare veramente nostro, per averlo riconquistato, il giardino delle delizie nel quale ci trovavamo inizialmente, comincia proprio da ciò che avevamo trascurato e a cui non avevamo dato valore, l’ultimo figlio, che ancora non si è distinto nella vita sociale. Nella notte, quando la nostra coscienza, non più illuminata dalla luce chiarificatrice del sole, si addormenta, la nostra parte meno brillante sembra riuscire a cogliere ciò che pur si muove quasi impercettibilmente nell’oscurità. E così, a differenza dei fratelli, il terzo figlio non si addormenta mentre sta di guardia all’albero delle mele, rimane vigile e attento e riesce a percepire una luce che gli fa scorgere ciò che gli altri non hanno visto, lo apre a un’altra dimensione appartenente ad un altro piano di realtà, l’uccello d’oro, di cui intuisce l’importanza, la valenza simbolica e di cui riesce a cogliere un piccolo segno, una piuma. Il re a questo punto ha preso coscienza che il suo regno vale molto meno di quel piccolo segno e non avrà pace fino a che non riuscirà ad avere l’uccello d’oro.

Ancora una volta i due fratelli maggiori partiti su richiesta del re padre alla ricerca dell’uccello d’oro, falliscono nell’impresa. Troppo abituati ad agire in conformità delle usanze della collettività e di ciò che sembra a prima vista più conveniente e anche più comodo e più piacevole, prigionieri del loro egoismo, non solo trascurano gli avvertimenti della volpe che incontrano proprio all’inizio del loro cammino e la cui saggezza proviene da una remota istintiva sapienza, ma addirittura tentano di sopprimerla. E ancora una volta il fratello più piccolo, a cui nessuno voleva dare affidamento e che pure si propone animato da interiore certezza, si mette in cammino alla ricerca del bene più prezioso di ogni bene. Egli sa ascoltare la voce della saggia volpe che lo aspetta all’orlo della foresta (luogo in cui le regole e gli ordinamenti della vita civile non hanno valore ed è necessario rapportarsi ad altra saggezza) e gli consiglia di riposare la notte in una povera casupola, dove raccoglierà nel silenzio esteriore ed interiore le energie profonde della sua anima. Egli sa cogliere il momento decisivo, l’opportunità, il kairòs come dicono i greci, che la vita gli presenta e che richiede sacrificio e concentrazione; non si cura della vivace e rumorosa accoglienza del ricco alloggio scelto dai fratelli, così comodo da far loro dimenticare la propria missione. Il nostro eroe invece si affida alla volpe che gli parla con la voce del sano istinto e dell’intuizione che tutto sa del presente del passato e del futuro e la vince su ogni conoscenza puramente razionale. Monta a cavalcioni della sua coda… ‘e via con i capelli che fischiavano al vento’.

uccellodoroNonostante il suo entusiasmo e la spinta propulsiva che gli viene dal coté animale della sua anima, il viaggio procede non senza intoppi, fermate, regressioni che lo portano a rischio della vita quando si fa prendere da vecchi pregiudizi, sentimentalismi, affetti antichi. Tuttavia la volpe viene sempre in soccorso premiando le sue buone intenzioni e, tappa dopo tappa, superando ogni volta una prova, eludendo un guardiano, spianando una montagna che restringe il suo orizzonte, egli conquista l’uccello d’oro, messaggero di una saggezza che viene dal profondo inconscio e foriero di illuminanti intuizioni, ma anche il cavallo d’oro espressione di una rinnovata energia che egli sente di poter cavalcare e che lo accompagnerà sulla giusta strada. Infine raggiungerà e si farà amare anche dalla bella principessa.

Gli errori dell’eroe divengono una felix culpa, occasione di un ulteriore ampiamento della coscienza: l’uccello che si fa sfuggire lo porta al cavallo d’oro e il cavallo che scappa lo porta a conquistare la bella principessa, a integrare nella sua psiche un aspetto ‘anima’, pur con difficoltà e a prezzo di ulteriori prove. Esistono tuttavia parti non integrabili, quelle che gli alchimisti chiamano terra damnata, e, in questa favola, è ‘carne da forca’ che non può essere riscattata, l’irriducibile invidia dei fratelli che può solo respingere la parte buona, il fratello che pure li aveva salvati e farlo nuovamente precipitare in basso, nel pozzo profondo.

Ogni conquista è una conquista dell’anima che ha il compito di integrare in una nuova consapevolezza il tesoro che prima giaceveva trascurato, dormiente nella parte più inconscia, e di prendere coscienza dell’esistenza di un livello superiore da raggiungere per arrivare alla piena realizzazione del sé, ‘perché tutta la natura brama ardentemente alla luce della coscienza’, (S. Paolo).

Ogni fiaba è il racconto di un viaggio iniziatico. I pochi esseri umani che nella vita hanno raggiunto la meta, la realizzazione definitiva hanno conosciuto lampi improvvisi di illuminazione spesso dopo una notte di molti anni. Tali esperienze numinose si alternano con periodi grigi, regressioni, scoraggiamenti che tuttavia non fermano la ricerca di una vera ricchezza spirituale una volta che l’intensità del nostro attaccamento al mondo materiale si è ormai affievolita. E, come nella nostra favola, anche se la prima luminosa intuizione, l’uccello d’oro, indicava che si dovesse cercare in alto, in cielo, il cammino procede poi per cunicoli bui, a contatto con la pesantezza della materia, nell’oscurità dell’inconscio, perché là giace la materia prima che va purificata, trattata, liberata da ciò che non può essere ulteriormente trasformato, e infine sublimata e portata ad un nuovo stato, per poter ritornare nel giardino luminoso dove nuovamente splendono tutte le mele d’oro.

Annamaria Iacuele


 

L’uccello d’oro

Fratelli Grimm

Una volta c’era un re che dietro il suo castello aveva un giardino delle delizie, nel quale c’era un albero che dava mele d’oro. Quando le mele furono mature vennero contate, ma già il giorno dopo ne mancava una. Fu annunciato al re e questi ordinò che sotto l’albero ogni notte ci fosse un guardiano. Il re aveva tre figli e al calar della notte mandò il più vecchio nel giardino, ma quando fu mezzanotte quello non ce la fece a resistere al sonno e il giorno seguente mancava una mela. La notte seguente toccò al secondo figlio far la guardia, ma a lui non andò meglio: non appena suonò mezzanotte s’addormentò e al mattino mancava una mela. Il turno di vegliare toccava ora al terzo figlio che era pronto; ma il re non aveva tanta fiducia in lui perché pensava che non fosse meglio dei suoi fratelli, anzi… ma alla fine gli diede il permesso. Il giovane si mise sotto l’albero, vegliò e non permise al sonno di farla da padrone.

golden_birdQuando suonò mezzanotte, qualcosa frullò nell’aria, e, nel chiarore della luna, vide venir in volo un uccello le cui piume erano tutte d’oro. L’uccello si posò sull’albero e aveva appena staccato una mela quando il giovane gli lanciò contro una freccia. L’uccello fuggì, ma la freccia lo aveva colpito e una delle sue piume d’oro cadde a terra. Il giovane la raccolse e il mattino seguente la portò al re e gli raccontò quello che aveva visto durante la notte. Il re riunì il consiglio e tutti dissero che una piuma come quella valeva più di tutto il regno. «Se la piuma è tanto preziosa», disse il re, «una non mi basta. Voglio avere tutto l’uccello.» Il figlio più vecchio si mise per via, e, fidandosi della propria intelligenza, era convinto di trovare l’uccello d’oro. Quando ebbe camminato per un po’ scorse sul margine della strada una volpe, imbracciò il fucile e prese la mira. Ma la volpe gridò: «Non sparare. In cambio ti darò un buon consiglio. Tu cerchi l’uccello d’oro. Bene, stasera arriverai in un villaggio dove ci sono due locande, una di fronte all’altra. Una è ben illuminata e ci si sta in allegria; ma non fermarti lì, va nell’altra, anche se il suo aspetto non è buono». «Che consiglio mi può dare una bestia così stupida!», pensò il figlio del re e sparò, ma mancò il bersaglio, la volpe con un salto distese la coda e corse nel bosco. Egli proseguì e la sera giunse al villaggio. C’erano due locande: in una si cantava e ballava, l’altra aveva un aspetto misero e scuro. «Che bel matto sarei», pensò, «se andassi in quella locanda stracciona e lasciassi stare l’altra più bella.» Così andò nella locanda più allegra, se la spassò per bene e dimenticò l’uccello, suo padre e ogni buon insegnamento. Poiché il tempo passava e del figlio più vecchio non c’era traccia, il secondo s’incamminò per cercare l’uccello d’oro.

Come il primo trovò la volpe che gli diede il buon consiglio che egli non seguì. Arrivò alle due locande e in quella che risuonava di grida e canti c’era suo fratello che lo chiamava dalla finestra. Egli non poté resistere, entrò e se la spassò.

Passò ancora del tempo; il più giovane dei figli voleva andare a cercare la sua occasione, ma il padre non voleva permetterglielo. «E inutile», diceva, «se i suoi fratelli non hanno trovato l’uccello d’oro, tanto meno sarà lui a trovarlo. Se gli capita una disgrazia non saprà come cavarsela perché lui non è come gli altri.» Ma alla fine, per aver pace, lo lasciò andare. Davanti al bosco c’era di nuovo la volpe, lo supplicò di graziarla e offrì il suo buon consiglio. Il giovane era buono e disse: «Stai tranquilla, volpina, non ti farò nulla». «Non te ne pentirai», rispose la volpe, «e perché tu possa andar più in fretta, sali dietro sulla mia coda.»

Appena s’era seduto la volpe si mise a correre e via a tutta velocità per boschi e prati, tanto che al giovane i capelli fischiavano nel vento. Quando arrivarono al villaggio il giovane smontò, seguì il buon consiglio e, senza tanto guardarsi attorno, si fermò nella povera locanda dove passò tranquillamente la notte. Il mattino seguente, quando giunse in aperta campagna, ritrovò la volpe che gli disse: «Ti dirò cosa dovrai fare. Vai sempre avanti dritto, alla fine ti troverai davanti un castello e ci sarà tutta una schiera di soldati. Non badarci perché dormiranno e russeranno tutti: passa in mezzo a loro, entra svelto nel castello, attraversa tutte le stanze finché arriverai in una stanza dove è appesa una gabbia di legno con l’uccello d’oro. Lì vicino c’è una gabbia d’oro tutta vuota che fa bella mostra di sé, ma bada bene di non togliere l’uccello dalla gabbia brutta e di metterlo in quella preziosa, altrimenti male te ne incoglierà ». Dopo queste parole la volpe distese di nuovo la sua coda, il principe vi montò a cavalcioni e via a tutta velocità con i capelli che fischiavano al vento.

Arrivato al castello il principe trovò tutto proprio come aveva detto la volpe. Entrò nella stanza dove c’era l’uccello in una gabbia di legno e accanto ce n’era una d’oro: c’erano anche le tre mele d’oro. Allora egli pensò che sarebbe stato ridicolo lasciare quell’uccello nella brutta gabbia, aprì lo sportello, lo afferrò e lo mise in quella d’oro. Ma l’uccello dette un grido acutissimo, si svegliarono i soldati e tutti si precipitarono nella stanza e condussero il giovane in prigione.

Il giorno dopo fu portato in giudizio e poiché aveva riconosciuto la sua colpa, fu condannato a morte. Ma il re di quel paese gli disse che gli avrebbe fatto grazia della vita se gli avesse portato il cavallo d’oro, più veloce del vento. Come compenso gli avrebbe poi donato l’uccello. Il principe si mise in cammino, triste e sospiroso: come avrebbe trovato il cavallo d’oro? D’un tratto vide la sua vecchia amica, la volpe, accucciata sulla strada. «Vedi», disse la volpe, «cosa ti è successo a non darmi retta! Ma fatti coraggio, io ti starò vicino e ti dirò come fare per arrivare nella scuderia dove c’è il cavallo d’oro. Devi andare sempre diritto, arriverai a un castello, e lì davanti alla scuderia stanno sdraiati gli stallieri, ma dormono e russano e tu potrai portar tranquillamente fuori il cavallo. Ma a una cosa devi badare: mettigli la sella brutta di legno e cuoio e non quella d’oro che è appesa lì vicino, altrimenti male te ne incoglierà.» Poi la volpe stese la coda, il principe vi salì a cavalcioni e via di carriera che i capelli fischiavano al vento. Tutto si svolse come aveva detto la volpe: arrivò alla scuderia dove era il cavallo d’oro, ma quando stava per sellarlo con la sella brutta pensò: «Un così bell’animale sfigura senza la sella che gli compete». Non aveva ancora toccato la sella d’oro che il cavallo cominciò a nitrire forte, gli stallieri si svegliarono, presero il giovane e lo gettarono in prigione.

Il mattino dopo ci fu il giudizio e fu condannato a morte, ma il re promise di fargli grazia e di donargli anche il cavallo d’oro se fosse riuscito a portargli la bella principessa del castello d’oro. Con il cuore grosso il giovane si mise per via, ma per sua fortuna presto ritrovò la volpina. «Dovrei lasciarti nella tua sfortuna», disse la volpe, «ma mi fai compassione e ancora una volta ti aiuterò. La tua strada conduce diritto al castello d’oro, ci arriverai di sera. Di notte, quando tutto tace, la principessa va a fare il bagno nel padiglione dei bagni reali. E quando entra, saltale addosso e dalle un bacio; ti seguirà e tu potrai portarla via con te, ma non lasciare che prenda commiato dai genitori, altrimenti male te ne incoglierà.» Poi la volpe stese la coda, il principe si mise a cavalcioni e via a tutta velocità che i capelli gli fischiavano al vento. Quando arrivò al castello d’oro trovò tutto come gli aveva detto la volpe. Aspettò fino a mezzanotte. Quando tutto giaceva nel sonno più profondo e la bella principessa si diresse verso i bagni, egli saltò fuori e le diede un bacio. Ella disse che lo avrebbe seguito volentieri, ma piangendo a calde lacrime lo supplicò che le desse il permesso di salutare i suoi genitori. In principio lui fece resistenza alle sue preghiere, ma quando, piangendo sempre più forte, gli si gettò ai piedi, finì col cedere. Non appena la fanciulla si avvicinò al letto del padre, questi si svegliò e con lui tutti quelli che erano nel castello e il giovane fu preso e gettato in prigione.

golden_bird2Il mattino dopo il re gli disse: «Meriti la morte, sarai graziato solo se spianerai il monte che è davanti alle mie finestre e che mi toglie la vista e questo lo devi fare in otto giorni. Se ci riuscirai avrai in premio mia figlia». Il principe si mise a scavare e a spalare senza posa, ma quando dopo sette giorni si accorse che aveva fatto ben poco e che il suo grande lavoro non aveva reso pressoché nulla, cadde in una profonda malinconia e la speranza di riuscire lo abbandonò. Alla sera del settimo giorno comparve la volpe e disse: «Non meriti proprio che io mi occupi di te, ma va pure a dormire, farò io il tuo lavoro». Il mattino dopo, quando il giovane si svegliò e guardò fuori dalla finestra, il monte non c’era più. Il giovane corse pieno di gioia dal re e gli annunciò che aveva soddisfatto l’impegno. Il re, volente o nolente, dovette mantenere la parola e dargli sua figlia.

I due partirono e la fedele volpe presto li raggiunse. «Certo il meglio ce l’hai, ma alla fanciulla del castello d’oro appartiene anche il cavallo d’oro.» «Come posso averlo?», chiese il giovane. «Te lo dirò io», disse la volpe, «prima devi portare la fanciulla al re che ti ha mandato al castello d’oro. Subito tutti ne saranno contenti e ti daranno il cavallo e te lo condurranno davanti. Monta subito in sella, dai la mano a tutti in segno di saluto, per ultimo dalla alla bella fanciulla e quando le hai afferrato la mano, con uno strattone tirala in sella e parti a briglia sciolta, nessuno potrà raggiungerti, perché il cavallo è più veloce del vento.» Tutto andò a gonfie vele e il figlio del re portò via la bella fanciulla sul cavallo d’oro.

La volpe non si fece attendere e gli disse: «Adesso avrai anche l’uccello d’oro. Quando sarai vicino al castello dove si trova l’uccello, fa scendere la fanciulla e io la terrò sotto la mia protezione. Poi, sul cavallo d’oro, entra nel cortile: a quella vista tutti si rallegreranno e ti porteranno l’uccello d’oro. Appena avrai la gabbia in mano, sprona il cavallo e torna a riprenderti la fanciulla». Poiché tutta la faccenda era andata benìssimo, il principe voleva tornarsene a casa con i suoi tesori, ma la volpe disse: «Ora mi devi ricompensare per l’aiuto». «Cosa vuoi?», chiese il principe. «Quando siamo nel bosco uccidimi e tagliami la testa e le zampe.» «Che bel ringraziamento sarebbe», disse il giovane, «non lo posso assolutamente esaudire.» La volpe disse: «Se non vuoi farlo ti dovrò lasciare, ma prima di andarmene, voglio ancora darti un buon consiglio: non comprare carne da forca e non sederti sulla vera del pozzo». Detto questo sparì nel bosco. II giovane pensò: «Che tipo strano e che idee bizzarre ha mai. Chi mai potrebbe comprare carne da forca! E poi l’idea di sedermi sulla vera del pozzo non mi è proprio mai venuta!» Proseguì con la bella fanciulla e sulla strada arrivò al villaggio dove erano rimasti i due fratelli.

C’era un gran tumulto e baccano e quando chiese di cosa si trattasse, dissero che c’erano due furfanti che dovevano essere impiccati. Si avvicinò e vide che si trattava dei suoi due fratelli che avevano fatto cose nefande e avevano dissipato tutta la loro fortuna. Domandò se non si poteva liberarli. «Se pagherete per loro…», rispose la gente, «ma perché sciupare il denaro per riscattare quei lazzaroni?» Senza esitare egli pagò e, quando furono liberi, proseguì il viaggio con loro.

Giunsero nel bosco dove per la prima volta s’era presentata la volpe e poiché il luogo era fresco e ameno e il sole brillava alto, i due fratelli dissero: «Riposiamoci un po’ accanto al pozzo e mangiamo e beviamo». Egli acconsentì, e, mentre parlavano, senza pensarci, si mise a sedere proprio sull’orlo del pozzo senza sospetto alcuno. Ma i due fratelli lo fecero cadere all’indietro, presero la fanciulla, il cavallo e l’uccello e li portarono al padre. «Non solo l’uccello d’oro ti portiamo, ma abbiamo conquistato anche il cavallo d’oro e la fanciulla del castello d’oro.» Tutti erano felici, all’infuori del cavallo che non mangiava, dell’uccello che non cinguettava e della fanciulla che piangeva in silenzio. Ma il fratello più giovane non era morto. Il pozzo per fortuna era asciutto ed egli era caduto sul muschio morbido senza farsi male, ma non era in grado di risalire. Anche in questo frangente la volpe amica non l’abbandonò, saltò giù vicino a lui e lo sgridò ben bene, perché s’era scordato dei suoi consigli. «Eppure», disse, «non mi riesce di far a meno di aiutarti a rivedere la luce.» Gli disse di afferrare la sua coda e di tenersi forte e lo tirò su. «Però non sei fuori pericolo», gli disse, «i tuoi fratelli non erano certi della tua morte e hanno circondato il bosco di sentinelle con l’ordine d’ucciderti se ti fai vedere.»

Accadde che un pover’uomo se ne stava seduto sul sentiero e questi scambiò gli abiti con il giovane e così quello arrivò alla reggia. Nessuno lo riconobbe, ma l’uccello si mise a cantare, il cavallo a mangiare e la bella fanciulla smise di piangere. II re chiese stupito: «Cosa significa tutto ciò?». Allora la fanciulla disse: «Non lo so, ero così triste ed ora sono così lieta, come se fosse giunto il mio sposo». E gli raccontò tutto quello che era accaduto, anche se i due fratelli l’avevano minacciata di morte se avesse parlato. Il re ordinò che tutta la gente che era nel castello fosse condotta davanti a lui. Arrivò anche il giovane nei suoi stracci da mendicante, ma la fanciulla lo riconobbe e gli si buttò fra le braccia. I perfidi fratelli vennero presi e impiccati, egli sposò la fanciulla e fu nominato erede al trono.

E la povera volpina? Molto tempo dopo il principe si recò nel bosco e incontrò la volpe che gli disse: «Ora hai tutto ciò che puoi desiderare, ma l’infelicità non ha fine e ancora è in tuo potere, salvami» e di nuovo chiese e supplicò di ucciderla e di tagliarle la testa e le zampe. Allora lui lo fece e non aveva nemmeno finito di farlo che la volpe si tramutò in un uomo che altri non era se non il fratello della bella figlia del re, finalmente libero dall’incantesimo che gli era stato gettato addosso. E così più nulla mancò alla loro felicità, almeno fino a che vissero.


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